Gianni Dragoni, il Sole 24 Ore 22/3/2014, 22 marzo 2014
NO DI MORETTI AL TAGLIO DELLO STIPENDIO
Scontro tra l’a.d. delle Fs Mauro Moretti e il premier Matteo Renzi sul tetto agli stipendi dei manager di società pubbliche.
Moretti ha detto che «senza dubbio» se ne andrebbe dalle Fs se gli venisse tagliato lo stipendio, pari a 873.666 euro al lordo delle tasse nel 2012. Renzi ha detto la scorsa settimana che nessun manager pubblico dovrebbe guadagnare più del presidente della Repubblica, cioè 239.181 euro lordi l’anno, questo lo stipendio di Giorgio Napolitano.
«Confermo l’intervento sugli stipendi dei dirigenti pubblici. Sono convinto che anche Moretti, quando vedrà la ratio degli interventi, sarà d’accordo con me», ha replicato Renzi ieri. Moretti era stato netto: «Lo Stato può fare quello che desidera, sconterà poi il fatto che una buona parte di manager vada via. Prendo 850mila euro all’anno, il mio omologo tedesco ne prende tre volte mezza tanto. Ci sono forse dei casi da dover rivedere, ma – ha osservato Moretti – la logica secondo cui uno che gestisce un’impresa come la nostra, che fattura più di 10 miliardi di dollari all’anno, deve stare al di sotto del presidente della Repubblica è una cosa sbagliata»».
Di tetto agli stipendi dei manager pubblici si parla da anni. Ci avevano provato i governi Prodi, Berlusconi e infine Monti con il decreto «salva Italia», mettendo come limite ai compensi degli amministratori di società controllate dallo Stato (escluse quelle in Borsa) lo stipendio del primo presidente della Cassazione, pari per quest’anno a 311.658,53 euro lordi.
Ma quel tetto non è mai scattato, perché mancava un decreto ministeriale di attuazione. Si è scoperto ieri che quel decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 17 marzo: è datato 24 dicembre 2013 e firmato da Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia dell’ex governo Letta. Ma è stato registrato alla Corte dei Conti il 14 febbraio e ha completato la trafila burocratica solo dopo l’insediamento di Renzi. Infatti il «visto» del Guardasigilli è apposto dal nuovo ministro della Giustizia, Andrea Orlando.
Intanto, i compensi di molti manager sono rimasti al di sopra di tale tetto, che ora Renzi vuole abbassare. Un aspetto curioso è che l’anno scorso il Parlamento ha approvato in sordina una deroga che esclude dal tetto gli stipendi dei vertici delle società che emettono obbligazioni quotate. Così sono sfuggiti alla tagliola degli stipendi i vertici di Cdp (l’a.d. Giovanni Gorno Tempini ha guadagnato 1,035 milioni lordi nel 2012), di Poste Italiane (l’a.d. Massimo Sarmi ha avuto 2,2 milioni nel 2012) e Fs.
Anche il presidente di Poste è ben oltre il tetto, Giovanni Ialongo ha ricevuto nel 2012 903.611 euro. L’ex direttore generale della Rai, Mauro Masi, ha ricevuto 473.768 euro lordi nel 2012 come a.d. della Consap. Il nuovo d.g. della Rai, Luigi Gubitosi, nominato da Mario Monti, guadagna 650mila euro lordi l’anno.
Invece sono sempre stati esclusi dal tetto i manager delle società quotate controllate dallo Stato. E i loro stipendi sono i più alti tra i manager pubblici. Nel 2012 Paolo Scaroni, a.d. dell’Eni, ha guadagnato 6,52 milioni lordi, Fulvio Conti (Enel) 3,95 milioni, Flavio Cattaneo (Terna) 2,33 milioni, Alessandro Pansa (Finmeccanica) 1,02 milioni.
Sono tutti a fine mandato, Renzi deve scegliere entro il 13 aprile chi guiderà queste società. I renziani preannunciano molti cambiamenti. Tuttavia, anche in caso di conferma, i loro stipendi potranno essere tagliati del 25% rispetto al 2013, secondo una norma del decreto del Fare di Letta. Si salvano solo gli stipendi già ridotti di almeno il 25% nei 12 mesi precedenti al decreto del Fare: questo lascerebbe indenne lo stipendio di Gianni De Gennaro, che alla nomina a presidente di Finmeccanica, il 4 luglio 2013, si è autolimitato lo stipendio entro il tetto di 300mila euro l’anno, pur non essendo obbligato. E anche Pansa, nominato a.d. di Finmeccanica il 13 febbraio 2013, essendo già direttore generale ha rinunciato alla parte fissa del compenso del nuovo incarico.