Barbara Corrao, il Messaggero 22/3/2014, 22 marzo 2014
LA RISCOPERTA DELL’AFRICA
IL CASO
Più veloce della Cina, del Brasile, di Russia e India. Chi l’avrebbe detto, è l’Africa. Che non è più il Paese dei vecchi stereotipi, inghiottito dalla fame e dalle guerre, ma un continente in crescita (+6% quest’anno secondo il Fondo monetario internazionale). Sei delle dieci economie che tra il 2001 e il 2010 hanno marciato più rapidamente si trovano nella fascia subsahariana, con enormi potenzialità di sviluppo concentrate soprattutto in quattro settori-chiave: risorse minerarie, costruzioni, agroalimentare, beni di consumo. E nel 2050 almeno un abitante del pianeta su tre sarà nato nel continente nero.
Rimangono, certo, problemi e difficoltà: dalla corruzione, alla fragile stabilità politica, alla soglia dell’estrema povertà che riguarda ancora circa il 40% della popolazione ma è in costante calo mentre le condizioni di vita stanno migliorando rapidamente. E così la penetrazione dei cellulari ha già raggiunto il 50% della popolazione e il reddito pro-capite avanza del 2% l’anno. Stati Uniti, Francia, Brasile, Cina, Turchia si sono mossi prima e ben oltre il fenomeno del «land grabbing». L’università di Stanford, per esempio, una delle più prestigiose d’America, ha aperto un centro ad Accra in Ghana che prevede anche la formazione con corsi di studio a distanza in collegamento Web con gli Usa
L’INIZIATIVA
L’Italia è partita in ritardo ma sulla ri-scoperta dell’Africa sta costruendo una propria via puntando su partenariato (coinvolgendo anche gli immigrati in Italia) e sostenibilità. «Iniziativa Italia-Africa» è decollata a fine 2013, in febbraio la Farnesina ha riunito a Roma i ministri dell’Agricoltura di una trentina di Paesi africani. Tutti segni di un’attenzione che cambia. «È il primo passo di un treno lanciato - spiega Luigi Marras, direttore del dipartimento per la mondializzazione e le questioni globali del Mae - a cui si potranno attaccare lungo il percorso tanti vagoni». La stazione sarà una grande conferenza intergovernativa a Roma a fine 2014, da replicare stabilmente ogni due anni.
L’«Iniziativa Italia-Africa» punta a dare massa critica alle tante iniziative polverizzate tra missionariato, volontariato e singole imprese, un ruolo lo stanno svolgendo anche le Camere di commercio, a Milano con Promos e a Roma con Network globale, l’agenzia che offre servizi alle aziende per l’internazionalizzazione.
Il segnale che l’Africa non è più vista come una meta accessibile solo per i grandi gruppi come Eni o Salini, da sempre presenti, o come Enel che sta facendo rotta verso Sud Africa e Marocco puntando sulle rinnovabili. «Le nostre peculiarità si adattano molto bene al contesto e agli obiettivi dei politici africani che guardano con enorme interesse al nostro sistema cooperativo e consortile e al mondo delle Pmi e dei distretti», sottolinea Massimo Zaurrini che conosce bene il continente e ha da poco fondato il mensile «Africa e Affari» proprio per dare conto della rivoluzione in corso.
GLI EMERGENTI
Nigeria e Sudafrica sono sicuramente sotto i riflettori ma l’Ispi, l’Istituto di studi internazionali, individua altri 6 Paesi da tenere sott’occhio, nel rapporto (150 pagine) realizzato per il ministero degli Esteri. Si tratta di Angola, Etiopia, Ghana, Kenya, Mozambico e Senegal. Camerun, Uganda e Zambia potrebbero aggiungersi. Un dato su tutti: nei quatro settori-chiave di cui si è detto, la crescita attesa è di 1.000 miliardi di dollari entro il 2020; oltre la metà, nei beni di consumo. Aumenterà la domanda di servizi (banche, istruzione, tlc, salute) e quella per beni non alimentari e di abitazioni. «C’è bisogno di elettricità e infrastrutture. Centri commerciali e abitazioni anche di lusso - spiega l’avvocato Eugenio Bettella dello studio internazionale Rödl & Partner - sono richiesti nelle grandi città e si trascinano dietro l’arredamento per case, uffici o alberghi. Il made in Italy è percepito come indiscusso standard qualitativo. Nell’agroalimentare, la fase di raccolta e trasformazione delle materie prime è quasi del tutto assente».
«Dal 2001 ad oggi abbiamo assistito in Sub Sahara 12 aziende tra cui le romane I&SI (sistemi di sicurezza) e Grillini (costruzioni). Alcune hanno operato con capitali propri, altre con una nostra quota in equity» racconta Simone Santi, Ad di gruppo Leonardo che offre business consulting in 15 Paesi dell’area. «Facendo piccoli passi, rispettando il Paese in cui si opera, siamo diventati una piccola multinazionale tascabile». In conclusione: più difficile fare business in Italia o in Africa? «In Italia, senza dubbio».