M. D. B., il Messaggero 22/3/2014, 22 marzo 2014
DA SARMI A MASI, ECCO IL CLUB DEI SUPER DIRIGENTI PUBBLICI
LA LISTA
ROMA Se davvero Matteo Renzi riuscirà a centrare l’obiettivo di mettere a dieta i dirigenti pubblici fissando il tetto dei compensi a quota 248 mila euro saranno in molti, nelle società controllate in tutto o in parte dal ministero del Tesoro, a farsi venire lo stesso mal di pancia inflitto dal premier a Mauro Moretti. Tra l’altro, con i 873 mila euro incassati nel 2012, l’ad di Ferrovie non è neppure il più pagato visto che alle Poste Massimo Sarmi, che riunisce nella stessa persona le cariche di ad e dg, gode di una retribuzione di 2,2 milioni.
Forte taglio in arrivo anche per il vertice della Cassa depositi e prestiti. L’ad Giovanni Gomo Tempini viaggia poco sopra un milione di euro. Mentre il presidente Franco Bassanini ha un reddito di 280 mila euro. In Invitalia l’ad Domenico Arcuri vedrà più che dimezzato il proprio compenso che vale 789 mila euro. Destino simile all’Anas (750 mila euro per l’amministratore unico, Piero Ciucci), al Poligrafico Zecca (oltre 600 mila euro per l’ad Massimo Prato), all’Enav (502 mila euro per l’amministratore unico Massimo Garbini), alla Consap (473 mila euro per Mauro Masi ) e alla Consip (475 mila euro per Domenico Casalino). Qualche sacrificio dovrà sopportarlo anche Giuseppe Sala. L’uomo che guida l’Expo Milano 2015 porta a casa 428 mila euro.
IL TETTO AGGIRATO
Tempi duri in vista anche in Sogei. Cristiano Cannarsa, alla testa delle società che controlla l’anagrafe tributaria, incassa 415 mila in qualità di ad. La forbice del premier Renzi andrà molto più a fondo rispetto a quanto incise quella armeggiata da Mario Monti. Nel 2012, il professore mise un tetto di 303 mila euro agli stipendi dei dirigenti pubblici fissando il limite sul livello di retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione. Ma il decreto Salva Italia congegnato dall’ex premier faceva un’eccezione per i manager delle società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato «che emettono esclusivamente strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati nei mercati regolamentari». Consentendo così ai grand commis legati a Via XX Settembre di continuare a viaggiare su livelli molto superiori. Tanto che, secondo una indagine dell’Ocse, i senior manager della pubblica amministrazione centrale italiana sono i più pagati dei Paesi industrializzati con uno stipendio medio 482 mila euro. Vale a dire 250 mila in più dei secondi classificati (i neozelandesi con 232 mila euro) e quasi il triplo della media Ocse. In Francia, un dirigente dello stesso livello rispetto a quello italiano guadagna in media 260 mila dollari all’anno, in Germania 231 mila e in Gran Bretagna 348 mila. Negli Stati Uniti, la retribuzione media è di 275 mila dollari.
Per centrare l’obiettivo che ha in mente (risparmi per 500 milioni dagli stipendi dei dirigenti pubblici ), il premier Matteo Renzi è comunque consapevole che non basterà tagliare i soli compensi top. Ma servirà invece un’opera molto più profonda e incisiva.
LE AZIENDE QUOTATE
Nella relazione che Carlo Cottarelli gli ha sottoposto, mister spending review ha infatti indicato le retribuzioni di tutto il corpo burocratico dirigenziale. E una simulazione realizzata dallo staff del premier ipotizza che una riduzione del 20 per cento degli stipendi dei dirigenti di primo livello e del 15 per cento degli altri dirigenti (oltre al tetto da 248 mila euro sugli stipendi dei manager pubblici ) potrebbe far risparmiare fino a 800 milioni. E anche di più, ovviamente, se Palazzo Chigi aprisse il dossier dei manager delle aziende quotate dello Stato. L’ad di Eni, Paolo Scaroni, ad esempio, ha visto lo stipendio salire per il 2012 a 6,4 milioni, staccando l’ad dell’Enel, Fulvio Conti, i cui compensi sono scesi a poco meno di 4 milioni. A Flavio Cattaneo, amministratore e direttore generale di Terna sono andati 2,35 milioni.