Guido Ruotolo, la Stampa 22/3/2014, 22 marzo 2014
AMMINISTRATORI SOTTO ASSEDIO 351 ATTENTATI DEI CLAN NEL 2013
Fa paura l’offensiva contro gli amministratori pubblici. Intanto perché crescono gli atti intimidatori con il passare degli anni. Il 2013 si è chiuso con 351 episodi, 66% in più rispetto al 2010, quando ne furono contati 212. Azioni di stampo mafioso, con incendi di auto (24%), lettere con minacce (25%, metà delle quali accompagnate da un proiettile). E poi incendio di abitazioni o proprietà del bersaglio scelto (5%), uso di tritolo, bombe carta, molotov, petardi (4%).
Ma, visto che la maggior parte delle minacce sono rivolte agli amministratori locali, sindaci, assessori, consiglieri comunali, i piromani colpiscono anche indirettamente, prendendo di mira mezzi della raccolta dei rifiuti, auto dei vigili urbani, scuolabus. E se a Villaputzu, Cagliari, viene fatta trovare una finta bomba davanti alla aula consiliare, a Pizzo Calabro viene dato alle fiamme il portone del Municipio.
Avviso Pubblico è una associazione che mette insieme amministratori che ha la missione di sensibilizzare e promuovere la cultura della legalità. E ieri, nei Musei Capitolini, ha presentato il suo terzo rapporto: «Amministratori sotto tiro. Intimidazioni mafiose e buona politica».
I dati, i numeri, sono molto preoccupanti. Gli attacchi sono stati portati in 18 regioni, 67 province, 200 comuni. Al primo posto la Puglia, con 75 episodi (21%), segue la Sicilia con il 20% e la Calabria (19%): 213 episodi su 351 in tutto. Significativo il dato della Emilia Romagna, 10 episodi; Lazio 15; Veneto 9; Lombardia, Piemonte e Toscana 8 episodi.
Guarda alle prossime scadenze elettorali (Europee e amministrative) il presidente dell’Antimafia, Rosy Bindi, che si preoccupa di lanciare un messaggio molto chiaro: «È fondamentale creare un meccanismo di controllo e monitoraggio delle candidature che saranno presentate».
È un invito alla politica a fare attenzione, a guardarsi dentro. Verrebbe da dire che questa è la stagione delle occasioni perdute. Aveva deciso di mandare un segnale al Paese molto forte, il precedente Parlamento, con l’approvazione della legge Severino, che impediva ai condannati in via definitiva di candidarsi. La lacerazione che si è creata con la contestazione della legge votata da tutti a partire di Forza Italia, che non voleva che la si applicasse a Silvio Berlusconi, è difficilmente sanabile.
Ci sono gli amministratori per bene esposti alle intimidazioni che resistono. E ci sono quelli che soccombono, che vengono arrestati per concorso esterno all’associazione mafiosa. Nel 1991, dopo un episodio agghiacciante a Taurianova, nella Piana di Gioia Tauro, dove a una vittima del tribunale della ’ndrangheta fu mozzata la testa, il legislatore decise di sospendere le regole, prevedendo lo scioglimento del consiglio comunale sulla base di sospetti di condizionamenti mafiosi. Dal ’91 ad oggi sono stati emessi 243 decreti di scioglimento. Al primo posto la Campania, con 94 casi, seguono la Calabria, 73, e Sicilia, 61 casi.
Diciotto mesi di gestione commissariale. Il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, chiede più tempo prima di tornare alle urne. Mentre il ministro per gli Affari Regionali, Maria Carmela Lanzetta, sindaco-bersaglio di intimidazioni di Monasterace, Calabria, ha annunciato che sta lavorando a una riforma della legislazione sulle gestioni commissariali delle amministrazioni pubbliche.
Il fatto che ci siano stati 351 atti intimidatori contro amministratori pubblici è un’inaccettabile provocazione alla democrazia. L’introduzione della legge che scioglieva i consigli comunali per infiltrazioni doveva rappresentare una sfida dello Stato alla criminalità organizzata.
È difficile capire, dopo 23 anni dall’entrata in vigore di quella legge, chi ha vinto e chi ha perso.