Gianni Clerici, la Repubblica 22/3/2014, 22 marzo 2014
UN TALENTO DA ATTORE PRESTATO AL TENNIS
Esiste un’iniziativa diffusa nel giornalismo contemporaneo, che tende a fare delle persone, nel caso dei campioni sportivi, dei personaggi. Un tempo, simile specialità era tipica degli scrittori, i quali si spingevano — disse Cyril Connolly — a far sì che i personaggi divenissero letterariamente immortali, mentre le persone scomparivano. Per rimanere al tennis, si è visto recentemente l’incredibile successo di un Pulitzer, J. R. Moehringer, che si è inventato l’inesistente personaggio di Agassi. E, non più tardi di ier l’altro, Federer ha affermato di «sentirsi Zen», dopo avermi domandato, in una conferenza stampa, chi mai fosse Freud. A questa sorta di deformazione diretta ai lettori, sfugge invece Novak Djokovic, detto Nole. Il testimonio più attendibile non è certo un simil-Moeringer, o Foster Wallace, il genio che ha scritto, sul campione svizzero «Federer come esperienza religiosa».
Il testimone è invece uno del mestiere, Fiorello, che mi ha assicurato, anni addietro, che Djokovic avrebbe potuto essere un suo collega, e probabilmente già lo era, visto il dialogo che i due avevano intavolato su un palcoscenico romano. Si trattava, in realtà, di Commedia dell’Arte, e non di testi scritti, ma qualsiasi teatrante sincero vi dirà che frammenti di commedia dell’arte continuano a insinuarsi beneficamente tra le battute previste dai commediografi.
Simile affermazione di Fiorello non fece che ripetersi ogni giorno per chi, come lo scriba, ebbe la fortuna di assistere a più di un Australian Open. Un ex-campione, Courier, riciclato in intervistatore, spinse Djokovic, dopo le partite, nel mezzo del Centrale, a imitazioni dei suoi avversari degni di un autentico attor comico. I match vittoriosi, di Nole, divennero non meno appetibili dei suoi sketch finali, che sollevavano ondate di applausi, e di risate. Purtroppo quella realtà dovette cessare, perché alcuni degli avversari, e il sindacato ATP, non gradirono quello svago, che sia in inglese, “play”, che in francese “jouer”, significa recita e recitare. L’inventore di una assoluta novità fu quindi costretto a limitarsi al gioco del tennis, e alla sua maggior specialità, gli straordinari colpi dagli angoli, in scivolata, per i quali sono necessarie giunture ed equilibrio non dissimili da un Nurejev o, per limitarci ai contemporanei, da un Bolle. Rimase quindi a bearci il Djokovic tennista, ma scomparve, per la mediocrità di chi era imitato, l’attore. Chissà se lo diverrà veramente, tra qualche anno, o come suggeriscono certi giornalisti serbi, non si dedicherà al palcoscenico della politica? In fondo, Reagan è stato solo il primo, tra i contemporanei.