Paolo Rossi, la Repubblica 22/3/2014, 22 marzo 2014
NOVAK DJOKOVIC “ECCO LA DIETA PER DIVENTARE UN CAMPIONE”
«I contropiede restano il suo marchio di fabbrica, non c’è che dire. A Novak Djokovic piace sorprendere. Sempre. Che sia su un campo da tennis o nella vita di tutti i giorni. Ricordiamo con nostalgia le sue imitazioni (meravigliose) dei vari Federer, Nadal, Sharapova (tanto per citarne alcuni). Poi smise di scherzare (gli altri si risentirono) e si prese lo scettro del mondo, spodestando proprio Federer e Nadal. E oggi con cosa ci vuole sorprendere? Con un libro. Dov’è la novità, direte? Che non è autobiografico, come fan tutti. Novak Djokovic ha scritto un libro di ricette. Ma tranquilli, non lascia il tennis. Non va a cercar fortuna a
Masterchef e dintorni. Il volume (Il punto vincente,
lo si trova in libreria da martedì 25, Sperling & Kupfer, 16,50 euro) è il racconto segreto (non più tale, ormai) di un problema fisico.
Un problema che potrebbe avere — o che magari ha già avuto — qualsiasi sportivo, tennista e non. «Stavo per trionfare nella finale dell’Open di Croazia del 2006. La folla sugli spalti tifava per me, e la mia squadra mi sosteneva a gran voce» ricorda il campione serbo. «Ma io non li sentivo. L’unica cosa che udivo era un ruggito nella testa. E provavo un gran dolore: qualcosa mi otturava il naso, mi comprimeva il petto e mi versava cemento liquido nelle gambe». Non proprio la situazione che aveva pianificato quel ragazzino che, tredici anni prima, seduto davanti al televisore nel minuscolo salotto sopra la pizzeria dei suoi genitori, nello sperduto paesino di montagna di Kopaonik, in Serbia, aveva visto Pete Sampras vincere Wimbledon rimanendo folgorato sulla via di Damasco: «Decisi che un giorno ci sarei stato io al suo posto». Da quel giorno il piccolo Nole ha iniziato a scalare la montagna, fino ad arrivare al top. Poi l’ostacolo. Incomprensibile. «Avevo capacità, talento, motivazione. Avevo le risorse per sperimentare ogni genere di allenamento fisico e mentale concepito dall’uomo, nonché i medici migliori del pianeta a mia disposizione. Mi allenavo nel modo giusto, giocavo nel modo giusto, ma a frenarmi era qualcosa che non avrei mai sospettato».
Il cibo. Cioè il fattore che nel passato è stato spesso sotto stimato. Un esempio, Ivan Lendl, il cecoslovacco leggenda degli anni Ottanta. Mangiava «mezza dozzina di uova strapazzate a colazione, due o tre hamburger a pranzo, con tanto di Coca Cola, e una bistecca la sera. Mangiavo qualsiasi cosa. Se non mi avesse fatto male, anche il cibo per cani sarebbe andato bene» ammise un giorno, dopo essere stato costretto dal suo staff a sottoporsi ad analisi del sangue, che constatarono un eccesso di protidi e tasso di colesterolo ampiamente sopra la media.
«Nel tennis di oggi, invece, una minima variazione in termini di abilità tecniche, condizionamento atletico o stato mentale può fare la differenza » ribadisce Djokovic, che parla per esperienza diretta. «Impazzivo perché non capivo l’origine: mi allenavo tutte le mattine e tutti i pomeriggi. Ogni santo giorno sollevavo pesi, andavo in bicicletta e correvo per ore. Non c’era un motivo logico per cui dovessi essere fuori forma. Cambiai preparatore atletico e programma di allenamento. E cambiai anche allenatore, pensando che qualche accorgimento tecnico potesse liberarmi dalla maledizione. Mi sottoposi perfino a un intervento chirurgico al naso, sperando che mi aiutasse a respirare meglio».
No, non era quella l’area dove intervenire. E sapete chi era (possiamo dirlo, non sarà il finale del libro) il “grande virus” del Djoker? Il grano. Ci crediate o no, sostiene Djokovic, il grano è capace di interferire con il sistema digestivo e provocare disturbi, infiammazioni e malattie autoimmuni. Può palesare persino disturbi psichiatrici latenti e, infine, limitare la performance atletica. Provocare “annebbiamento” mentale, senso di spossatezza. Effetti che possono abbattersi su chiunque, in qualsiasi momento. Djokovic può testimoniarlo in qualsiasi tribunale. Buon per lui che ha creduto al nutrizionista che gli fece la diagnosi, iniziando un percorso che mai avrebbe creduto di compiere.
«Credo che alcune cose nella vita succedano perché devono succedere. Credo che nell’universo ci sia un’energia che ci connette tutti quanti e che in qualche modo ci permette di comunicare. E non credo che le cose succedano per caso tutte quello che ci capita ha una ragione sua precisa». Scompare così il Djokovic amante del pane, e spunta il Djokovic che mangia solo pasta senza glutine con le verdure. «Ma se devo fare uno strappo alla mia alimentazione, e voglio farmi un regalo, mangio un dolce e scelgo una torta al cioccolato. Faccio questa scelta perché nella mia alimentazione oltre al glutine ho eliminato zuccheri e lattosio. Quindi no cioccolato e no zuccheri raffinati. L’unico zucchero di cui mi alimento è quello contenuto nella frutta».
Ma tutte le ricette contenute nel libro? Non sono uno scherzo, e non diteglielo che s’arrabbia: «Capisco che tutti si aspettassero una mia autobiografia, ma a questo punto della mia carriera mi sembrava ancora presto e quindi per il momento ho preferito condividere le mie esperienze in termini di alimentazione e di stile di vita. Spero che per il momento vada bene così, credo ci siano spunti importanti da prendere in considerazione, ricordando però che questa è la mia esperienza e non è detto che sia perfetta per tutti».
La domanda, a questo punto, è spontanea: ma se mangiamo tutti così diventeremo dei Djokovic? «Ma no. Mica tutti devono mangiare come me. Io spiego che l’alimentazione è importante, e che si deve essere coscienti di questo. Verifichiamo, con test e esami, eventuali intolleranze e poi creiamoci uno stile alimentare adatto alle nostre vita e attività. Non deve essere il mio, ma è sicuro che un’alimentazione con meno glutine e zucchero
è vivamente consigliata. E se tutti iniziano a preoccuparsi della propria alimentazione succede che viviamo meglio, e sarei felice di questo».
Ne è davvero convinto Djokovic: «Tutti noi abbiamo qualcosa di dire e da trasmettere». L’altruismo è una delle priorità della vita, soprattutto per chi, come lui, è cosciente di essere un privilegiato: «I sacrifici veri sono quelli che fa la maggior parte della gente obbligata magari a fare lavori che non ama e con molto più stress e difficoltà del mio». È per questo — per il senso d’appartenenza (al popolo serbo) e l’aver sofferto (le bombe) in gioventù — che Novak Djokovic mantiene un equilibrio quasi da karma, anche dopo le sconfitte: «Io sono felice così. Nella vita ci sono cose più importanti che vincere a tennis o essere il numero uno». Come la salute, e per questo l’ultimo pensiero va all’amico Fiorello, reduce dall’incidente in scooter: «Ho saputo, e mi è dispiaciuto molto. Spero che Fiore si rimetta presto. Per questo non guido le moto...».