Paolo Matsrolilli, La Stampa 24/3/2014, 24 marzo 2014
OBAMA, IL SUMMIT È GIA’ UNA POLVERIERA
Durante l’ultimo Nuclear Security Summit, come quello che comincia oggi in Olanda, al presidente Obama sfuggì un fuori onda imbarazzante. Era il marzo del 2012, anno elettorale, e parlando sottovoce all’allora presidente russo Medvedev, gli chiese di spiegare a Putin che dopo il voto sarebbe diventato più flessibile sul problema spinoso della difesa missilistica in Europa.
Si trattava di un’era storica fa. Ora con la Russia sembra tornata la Guerra Fredda, e oggi il capo della Casa Bianca incontrerà il G7 per creare un fronte unito, allo scopo di isolare proprio quel Putin con cui solo due anni fa sperava di dialogare. Ma questo non è l’unico fronte del mondo che si è surriscaldato, nel frattempo. Dal Pacifico al Medio Oriente, durante il viaggio in Europa e Arabia Obama dovrà affrontare una serie di emergenze che mettono a rischio la stabilità internazionale, e la sua eredità politica.
Si parte dall’Ucraina solo perché è l’ultima crisi in ordine di tempo. Il G7 era finito dopo il crollo del Muro di Berlino, quando l’imperativo era includere Mosca, in modo da trasformarla in partner, se non proprio alleato. Stasera invece il vecchio forum resuscita, per garantire che fra gli amici non si aprano crepe, e nonostante la Russia fornisca il 30% dell’energia all’Europa, Paesi come Germania e Italia restino fermi nell’applicare sanzioni che quanto meno scoraggino Putin dall’idea di annettersi altre regioni orientali dell’Ucraina, e magari cominciare a minacciare i Paesi baltici con la scusa di proteggere le minoranze russe a cui sta già concedendo i passaporti. Nessuno ha in mente di usare la forza, finora, ma se Mosca notasse che Berlino, Roma e altri sono timidi, potrebbe pensare che può usare le sue leve per scardinare l’intera architettura costruita dalla Nato dopo aver vinto senza sparare la Guerra Fredda.
Obama ne parlerà col segretario Rasmussen nel vertice di mercoledì a Bruxelles, dove visiterà per la prima volta l’Unione Europea. Qui si doveva discutere il nuovo trattato per gli scambi commerciali fra Usa e Ue, il Ttip, ma diventerà un’altra occasione per rinsaldare il legame strategico con gli alleati europei, davanti alla rediviva minaccia russa.
Prima del G7, però, stamattina Obama avrà un bilaterale col collega cinese Xi Jinping, per discutere un’altra crisi che in potenza potrebbe diventare assai più grave dell’annessione della Crimea. L’incontro con Xi, infatti, fa il paio con il trilaterale in programma col premier giapponese Shinzo Abe e la presidentessa coreana Park Geun-hye. La Cina finora è stata prudente, perché il separatismo della Crimea è un esempio pericoloso per le sue minoranze in Tibet e altre regioni. Se però Pechino decidesse di comportarsi con le isole Senkaku come Mosca a Sebastopoli, le onde di instabilità globale che si solleverebbero sarebbero molto più alte e pericolose. Altro che pivot verso l’Asia: il Pacifico diventerebbe l’area in cui la rivalità latente con la Cina si trasformerebbe in ostilità aperta, con opzioni di de-escalation ancora meno convincenti o più pericolose di quelle russe.
Non bisogna poi dimenticare che lo scopo del Summit nucleare sarebbe quello di mettere in sicurezza i materiali atomici pericolosi, per evitare che finiscano nelle mani dei terroristi. Questo ci porta nella terza area in ebollizione, cioè il Medio Oriente, che trema non solo per la guerra fra sunniti e sciiti in Siria, ma anche per il negoziato nucleare con l’Iran, che ha allontanato gli Usa dall’alleato saudita. Basti pensare che a Riad Obama avrebbe voluto riunire il Consiglio del Golfo, ma ha dovuto rinunciare perché l’Arabia è ai ferri corti col Qatar per l’appoggio dato ai Fratelli Musulmani.
Re Abdullah rimprovererà al presidente la trattativa con Teheran, proprio mentre diversi analisti americani dicono che un accordo fra sauditi e iraniani per spartirsi le aree di influenza sarebbe l’unica soluzione ai tumulti mediorientali. Benvenuti nel nuovo mondo dove il potere, per dirla con Moises Naim, è diventato troppo debole per risolvere i problemi, ma resta abbastanza forte per crearli.