Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 22 Sabato calendario

CINA, VIETNAM, COREA, I CENSORI FEROSI DI INTERNET

Giano bifronte. Che ha acceso luci, ma resta circondato da troppe ombre. Internet ha a­perto il mondo dell’informazione, democraticizzato il flusso, avvolto il mondo in una ragnatela di contenu­ti virtuali. Ma al tempo tesso ha (in­volontariamente) scatenato una contro-guerra, una reazione allar­mata, una guerriglia alla libertà con cui ha inseminato il mondo.
La Cina è il vero campione di questa ostilità alla Rete e al suo potenziale eversivo. Come avvertono gli e­sperti di Reporters Without Borders – nel rapporto sui Nemici di Inter­net 2014, Pechino è stata tra le pri­me ad intuire la sfida che la Rete a­vrebbe lanciato alla politica cinese. Ed è stata tra le prime a correre, mas­sicciamente, ai ripari, per anestetiz­zare la rivoluzione del Web. Grazie all’occhiuta e tentacolare presenza del State Internet Information Office (Siio), l’organo che tesse la tela della censura nel Paese, sono oggi dete­nute in Cina almeno 70 persone a causa della loro attività on-line. E al­meno tre dei 30 giornalisti che si tro­vano dietro le sbarre – fa sapere il rap­porto – sono stati condannati per quello che hanno pubblicato sulla Rete. Emblematico il caso della re­porter Liu Hu, giornalista del quoti­diano Xin Kuai Bao. La sua “colpa”? Avere sollecitato, attraverso il suo ac­count Weibo, le autorità ad indagare un funzionario per sospetta corru­zione.
La lista dei blogger, vessati dal­la polizia cinese, è lunga. A vigilare sulle loro attività, ci sarebbe un pic­colo esercito di 70mila funzionari. U­na sfida titanica e quasi disperata se si considera che oggi sono 618 mi­lioni gli utenti di Internet, 53,3 mi­lioni di utenti in più rispetto allo scor­so anno. Ma non solo Cina. Tra i principali ne­mici di Internet il rapporto annove­ra altri due Paese asiatici, il Vietnam e la Corea del Nord. Dallo scorso an­no Hanoi ha affinato le armi contro la libertà del Web. Il cosiddetto “de­creto 72”, ha stabilito che i social network possano essere utilizzati so­lo per «fornire e scambiare informa­zioni personali». Tra le attività illega­li figurano il «ridicolizzare usanze e tradizioni nazionali», le «pratiche di superstizione», ma anche qualsiasi materiale che «danneggi la sicurez­za nazionale» e «contrasti il gover­no ». Vietato anche semplicemente postare articoli su Facebook o rilan­ciare notizie su Twitter. A ruota è se­guito, a gennaio, il decreto 174 che i­nasprisce le pene contro i blogger.
Non è da meno la Corea del Nord. Al­la Central Scientific and Technologi­cal Information Agency è affidato il compito di imbavagliare Internet con lo scopo di mantenere isolata la po­polazione del “regno eremita” e, al tempo stesso, renderla più facil­mente raggiungibile e asservibile al­la propaganda di regime.
Ma attenzione, avverte il rapporto: se i tre Paesi asiatici sono in testa nel­l’agitare la bandiera della censura, tentazioni censorie e controlli delle informazioni in nome della osses­sione della sicurezza, hanno conta­giato anche l’Occidente. A comin­ciare dagli Stati Uniti, come testimo­nia lo scandalo del Datagate, svelato da Edward Snowden. Stesse “accu­se” vengono rivolte alla Gran Breta­gna e all’India. Per contrastare que­sto atteggiamento «schizofrenico» nei confronti della libertà su Inter­net, il gruppo dei Reporters Without Borders ha chiesto apertamente l’in­tervento delle Nazioni Unite.