Luca Miele, Avvenire 22/3/2014, 22 marzo 2014
CINA, VIETNAM, COREA, I CENSORI FEROSI DI INTERNET
Giano bifronte. Che ha acceso luci, ma resta circondato da troppe ombre. Internet ha aperto il mondo dell’informazione, democraticizzato il flusso, avvolto il mondo in una ragnatela di contenuti virtuali. Ma al tempo tesso ha (involontariamente) scatenato una contro-guerra, una reazione allarmata, una guerriglia alla libertà con cui ha inseminato il mondo.
La Cina è il vero campione di questa ostilità alla Rete e al suo potenziale eversivo. Come avvertono gli esperti di Reporters Without Borders – nel rapporto sui Nemici di Internet 2014, Pechino è stata tra le prime ad intuire la sfida che la Rete avrebbe lanciato alla politica cinese. Ed è stata tra le prime a correre, massicciamente, ai ripari, per anestetizzare la rivoluzione del Web. Grazie all’occhiuta e tentacolare presenza del State Internet Information Office (Siio), l’organo che tesse la tela della censura nel Paese, sono oggi detenute in Cina almeno 70 persone a causa della loro attività on-line. E almeno tre dei 30 giornalisti che si trovano dietro le sbarre – fa sapere il rapporto – sono stati condannati per quello che hanno pubblicato sulla Rete. Emblematico il caso della reporter Liu Hu, giornalista del quotidiano Xin Kuai Bao. La sua “colpa”? Avere sollecitato, attraverso il suo account Weibo, le autorità ad indagare un funzionario per sospetta corruzione.
La lista dei blogger, vessati dalla polizia cinese, è lunga. A vigilare sulle loro attività, ci sarebbe un piccolo esercito di 70mila funzionari. Una sfida titanica e quasi disperata se si considera che oggi sono 618 milioni gli utenti di Internet, 53,3 milioni di utenti in più rispetto allo scorso anno. Ma non solo Cina. Tra i principali nemici di Internet il rapporto annovera altri due Paese asiatici, il Vietnam e la Corea del Nord. Dallo scorso anno Hanoi ha affinato le armi contro la libertà del Web. Il cosiddetto “decreto 72”, ha stabilito che i social network possano essere utilizzati solo per «fornire e scambiare informazioni personali». Tra le attività illegali figurano il «ridicolizzare usanze e tradizioni nazionali», le «pratiche di superstizione», ma anche qualsiasi materiale che «danneggi la sicurezza nazionale» e «contrasti il governo ». Vietato anche semplicemente postare articoli su Facebook o rilanciare notizie su Twitter. A ruota è seguito, a gennaio, il decreto 174 che inasprisce le pene contro i blogger.
Non è da meno la Corea del Nord. Alla Central Scientific and Technological Information Agency è affidato il compito di imbavagliare Internet con lo scopo di mantenere isolata la popolazione del “regno eremita” e, al tempo stesso, renderla più facilmente raggiungibile e asservibile alla propaganda di regime.
Ma attenzione, avverte il rapporto: se i tre Paesi asiatici sono in testa nell’agitare la bandiera della censura, tentazioni censorie e controlli delle informazioni in nome della ossessione della sicurezza, hanno contagiato anche l’Occidente. A cominciare dagli Stati Uniti, come testimonia lo scandalo del Datagate, svelato da Edward Snowden. Stesse “accuse” vengono rivolte alla Gran Bretagna e all’India. Per contrastare questo atteggiamento «schizofrenico» nei confronti della libertà su Internet, il gruppo dei Reporters Without Borders ha chiesto apertamente l’intervento delle Nazioni Unite.