VARIE 22/3/2014, 22 marzo 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - IL REFERENDUM SUL VENETO
CORRIERE.IT
TREVISO — Alla vigilia dell’anniversario della nascita della Repubblica di San Marco (era il 22 marzo del 1848 quando prendeva il potere il «governo provvisorio»), in piazza dei Signori a Treviso risuona tra le grida di giubilo della folla la «dichiarazione d’indipendenza del Veneto dall’Italia». Sul palco, novello Daniele Manin, c’è Gianluca Busato (ma tutti lo acclamano, semplicemente, «Giane») attorniato da quella variegata galassia che è il comitato Plebiscito.eu, anima del referendum online partito da Vedelago ed arrivato fino all’orecchio del Times e della Bbc. L’onore di leggere la proclamazione secessionista e i risultati della consultazione spetta ad Anna Durigon da Zero Branco («Una grande - ci sussurrano nel retropalco - ha fatto anche lo sciopero della fame»), emozionantissima al fianco di «Giane »: «Voti validi: 2 milioni 360 mila. Sì: 2 milioni 102 mila...».
E qua non si capisce più nulla: i mille e più in piazza (ma si mischiano anche i curiosi distratti dalla passeggiata in Calmaggiore) cominciano a gridare «Par tera, par mar, San Marco!» e «Viva San Marco!» a squarciagola, un po’ come i patrioti in quel dì del 1848. Stavolta non ci sono gli austriaci da scacciare ma l’Italia tutta, uno Stato «stupratore, usurpatore, parassitario, fallimentare » scandisce Franco Rocchetta, il fondatore della Liga «la madre di tutte le leghe», padre nobile dei venetisti d’ogni sorta. Quando la folla si cheta un pochino, guardata a vista da carabinieri discreti, scopriamo che c’è stato pure qualcuno che s’è preso la briga di connettersi per dire «no»: 257 mila persone. E poi ci sono i voti non validi, quelli che a detta di Busato sono stati via via scremati nottetempo grazie al sofisticato sistema di calcolo approntato dalla sua squadra (ha una società che produce app per iPhone e iPad): 6.815. E poi c’erano altri tre quesiti, marginali ma dall’esito un po’ sorprendente: sì all’Unione Europea, sì all’Euro, sì alla Nato.
È chiaro che ogni ragionamento non può prescindere da una domanda che è «la» domanda: ci si può fidare? Anche ieri sera gli «osservatori internazionali» chiamati a certificare i risultati non si sono visti all’orizzonte, così come i fantomatici imprenditori che avrebbero finanziato l’operazione, il cui costo è stimato dagli organizzatori in un paio di milioni. «Ne riparliamo nei prossimi giorni». Non resta allora che ascoltare Busato che, conteso dalle tivù, alla domanda «sarà lei il prossimo doge del Veneto?» tentenna, per poi sorridere: «Deciderà la gente», quasi che la possibilità non fosse poi così remota. Non sembra escludere neppure l’eventualità di una candidatura alle Europee, anche se «adesso non è questa la priorità». La priorità è mettere in piedi la nuova Repubblica Serenissima. Il compito di allestire le istituzioni di questo Stato nello Stato, prendendo contatto «con le cancellerie europee» (sic) per ottenere il riconoscimento del verdetto scolpito con lo scalpello del diritto all’autodeterminazione dei popoli, sono i campioni di preferenze riuniti nel «consiglio dei dieci». Busato, va da sé, stacca tutti con 135 mila voti, ma ci sono anche alti volti noti dell’indipendentismo, da Lodovico Pizzati a Gianluca Panto. «Se temiamo un’escalation violenta? - continua Busato - la violenza è quella dello Stato italiano, il regno del male e dei suicidi. La nostra rivoluzione digitale ha abbattuto il burosauro, siamo i sapiens davanti agli uomini di Neanderthal».
Sotto i portici di Treviso, capitale di una provincia in cui cento sindaci fanno causa allo Stato (e domani chissà, magari capitale della Serenissima del Terzo Millennio), gli indipendentisti sembrano quasi snobbare le iniziative del governatore Luca Zaia e del Carroccio in Regione, a cominciare dall’annunciato referendum istituzionale: «Se lo vogliono fare lo facciano, male non fa. Ma sono in rincorsa, all’inseguimento. L’agenda la dettiamo noi, se vogliono possono accodarsi. E da stasera siamo già indipendenti». Tra la gente, arringata da Giane un po’ in dialetto («Macché dialetto, è una lingua riconosciuta dall’Unesco e dall’Onu, va insegnata a scuola» s’infuria una signora) e un po’ nella lingua degli oppressori s’incontra di tutto: ci sono molti leghisti, come il consigliere regionale Giovanni Furlanetto, un tizio con la bandiera della Russia tra cartelli in inglese e in cirillico («Ci vorrebbe Putin anche da noi, altro che!, viva la famiglia tradizionale, basta carnevalate gay»), uno studente che fa suonare dall’iPhone «Juditha Triumphans» di Vivaldi sostenendo trattarsi dell’inno nazionale veneto. Un altro ha la scritta «Venexia» tatuata sulla gola. Ci sono tanti, tantissimi ragazzi («Prendo il treno tutte le mattine per andare all’università, sono in ritardo e fanno schifo. Con il Veneto indipendente finalmente diamo il benservito a Trenitalia»), tutti convinti che «le tasse debbano restare qui, basta mantenere il Sud». Busato li rassicura: «Presto troveremo il modo di tenercele».
Fino ad allora «esenzione totale» perché già si pagano le gabelle italiane, che bastano e avanzano. Poco lontano, sul limitare della piazza, c’è anche Luca Peroni, l’uomo che nel 1997 era alla guida del tanko dei Serenissimi all’assalto del campanile di San Marco: «Se questa è una pagliacciata, allora cos’è stato il plebiscito truffa del 1866? Non so cosa accadrà domani mattina ma vedo tanta fiducia tra i patrioti veneti questa notte. Spero sia arrivato il momento in cui il nostro popolo rialzerà finalmente la testa». La politica veneta e italiana potrà pure dividersi, come sta facendo da destra e sinistra. Ma può permettersi di fare finta di nulla?