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 2014  marzo 22 Sabato calendario

L’ULTIMA TRINCEA DEI MANDARINI


È LA sfida della porta accanto. Renzi punta molto sul taglio del costo dei dirigenti dello Stato per far quadrare i conti di quest’anno. Probabilmente però nemmeno il premier immagina quanto vicina a sé sia la fonte del problema che sta cercando di risolvere.
NON esiste in Italia un’amministrazione importante e emblematica come la presidenza del Consiglio, ma forse non ce n’è neppure una così pronta a sfidare tutto e tutti pur di non arretrare di un millimetro dai propri privilegi.
Da mesi Palazzo Chigi avrebbe dovuto procedere a una riduzione dei dirigenti di prima fascia in eccesso, secondo quanto impone la legge 95 del 15 giugno 2012. Quest’ultima, passata dal governo di Mario Monti, prevede una «riduzione delle dotazioni organiche dirigenziali» del 20%. In sostanza, a partire della presidenza del Consiglio, Monti aveva già deciso il taglio di un direttore generale di ministero ogni cinque.
A Palazzo Chigi non è successo. Forse ancora più sorprendente è che i mandarini della presidenza del Consiglio ancora oggi preferiscono sfidare la legge e smentire se stessi, pur di non piegarsi ai loro obblighi e procedere a quei tagli. Neanche il cambio di governo e del segretario generale della presidenza del Consiglio, con l’uscita di Roberto Garofoli e l’arrivo di Mauro Bonaretti, sembra aver sbloccato la situazione.
Per capire perché bisogna fare un passo indietro, al 2012. Le legge Monti del 15 giugno di quell’anno prevede che il 20% dei dirigenti di prima fascia siano messi in pensione non appena maturano il diritto, peraltro godendo di un trattamento privilegiato:
possono ritirarsi godendo delle condizioni precedenti
alla riforma Fornero.
Il problema è che per decidere se un organico è in soprannumero, bisogna prima sapere com’è composto. E per fare luce su questo aspetto è necessario che l’amministrazione coinvolta pubblichi i propri «ruoli dirigenziali », cioè un elenco di coloro che ne fanno parte e da quando.
Peccato però che sul sito Internet del governo quell’aggiornamento sui dirigenti di prima fascia di Palazzo Chigi sia stato tenuto fermo, per l’appunto, al primo giugno 2012. Congelato esattamente due settimane prima che la legge Monti lanciasse i tagli in caso di soprannumero negli organici in attività al 15 giugno. E poiché i «ruoli» di Palazzo Chigi non sono mai stati aggiornati per il pubblico, non sono neppure stati dichiarati esuberi e pensionamenti fra i dirigenti. Una scelta in violazione del decreto 33 del 2013 sulla trasparenza delle amministrazioni che, di fatto, aiuta anche a eludere la legge sul taglio degli alti dirigenti.
Il 2 dicembre scorso Repubblica segnalò il caso e due giorni dopo Garofoli, allora segretario generale di Palazzo Chigi, rispose con una lettera. Il numero uno dei mandarini di governo promise: «La Presidenza (...) provvederà nelle prossime ore ad adempiere gli obblighi di pubblicità», cioè ad aggiornare lo stato degli organici sul proprio sito Internet come fanno tutti gli altri ministeri. Da allora sono passati quasi quattro mesi e quella promessa è stata tradita. È successo l’opposto di ciò su cui Garofoli si era impegnato. Anziché «adempiere gli obblighi di pubblicità», Palazzo Chigi ha rimosso dal sito anche gli organici vecchi di quasi due anni. Si può forse essere perdonati se si pensa che lo ha fatto perché una loro attenta lettura faceva sospettare che, in effetti, ci sono dirigenti da mettere in esubero.
Nel frattempo Garofoli, uscito da Palazzo Chigi con l’avvento di Renzi, è stato premiato con il posto di capo gabinetto del nuovo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il suo successore Mauro Bonaretti, un fedelissimo del sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio, per ora non ha cambiato nulla di ciò che ha lasciato Garofoli. I «ruoli» dei dirigenti di prima fascia restano nella nebbia e, con loro, vi resta qualunque riduzione del personale e dei relativi costi.
Per Renzi non è un dettaglio, ma un test decisivo: sarà difficile per lui chiedere sacrifici ai manager pubblici in tutt’Italia, se non riesce a far rispettare la legge a quelli che lavorano nel suo stesso corridoio. Carlo Cottarelli, il commissario alla spending review, ha mostrato al premier che i più alti dirigenti dello Stato guadagnano molto più rispetto dei colleghi degli altri Paesi europei. I loro compensi sono di 12,6 volte il reddito medio pro-capite degli italiani, contro le 4,9 volte della Germania e le 6,4 della Francia. È ora di rimediare. Ma prima o poi qualcuno a Palazzo Chigi dovrà decidersi a dare l’esempio nella direzione giusta. Non nell’altra.