Daniele Venturoli, Focus 21/3/2014, 21 marzo 2014
UN STORIA MOLTO INTRICATA
La vita umana comincia con un nodo. È quello che fa l’ostetrica al cordone ombelicale (in termini tecnici “funicolo ombelicale”), che durante la gravidanza ha consentito al feto di nutrirsi collegandolo alla placenta della madre. E la nascita si annuncia, riprendendo un’antichissima tradizione cinese e indoeuropea, esponendo un fiocco, cioè un altro nodo. Se il nodo fatto al cordone ombelicale è il più semplice di tutti (il “nodo semplice” o “collo”) già il fiocco, che originariamente si credeva proteggesse i neonati maschi contro le forze del male, nella sua versione più semplice è il “nodo piano ganciato” (il nodo, cioè, che si usa per annodarsi le stringhe delle scarpe).
A ben vedere, i nodi sono compagni nella nostra esistenza in modo trasversale, sia andando dall’antichità più remota ai nostri giorni, sia dall’infanzia alla vecchiaia. L’uomo preistorico ha fatto un balzo da gigante quando ha unito con un nodo una selce a un pezzo di legno, realizzando uno dei primi utensili. Oggi i nodi si sono smaterializzati, diventando i punti critici che sono alla base della rete Internet. Del resto il termine nodo viene dal latino nodus (che proviene a sua volta dall’antica radice nedh-, attaccare) e l’abilità di intrecciare (e sciogliere) nodi è stata fondamentale in diversi ambiti.
INTRECCI SALVAVITA. L’abilità nell’intrecciare nodi di chi va per mare è proverbiale. Da questa abilità poteva un tempo dipendere la propria salvezza. Anzi, per gli equipaggi delle navi dell’inizio del XIX sec., composti in genere da marinai che avevano iniziato a navigare da bambini senza neppure aver imparato a leggere e scrivere, intrecciare corde ormai inservibili per fare decorazioni e cestini diventò un modo per tenere impegnate le mani e la mente durante i lunghi viaggi, facendo allo stesso tempo pratica con i diversi modi di intrecciare le funi. Furono in particolare gli equipaggi delle baleniere, che potevano contare su corde di ottima qualità spesso spezzate dalle balene arpionate, a eccellere in questa attività, che consentiva anche di imparare i possibili modi di assicurare una cima all’arpione usato per la caccia. Con la navigazione a motore questa abilità divenne meno importante, ma è ancora oggi fondamentale per chi fa vela. Tornò in auge per un breve periodo quando i dirigibili cominciarono a solcare i cieli. Tra i nodi inventati in quel periodo, il nodo di Rosendahl, dal nome dell’ufficiale americano di marina Charles Rosendahl, utilizzato per unire tra loro le cime usate per spostare i dirigibili da un ormeggio all’altro; è noto anche come nodo Zeppelin, dal nome dei dirigibili realizzati in Germania all’inizio del ’900.
SIMMETRIE. I cestini realizzati dai marinai non sono l’unica applicazione dei nodi come decorazione. Uno dei motivi principali, impiegato già in mosaici di epoca romana (si trova, per esempio, nel pavimento a mosaico della chiesa di San Giovanni Evangelista a Ravenna, fatta costruire nel V sec. dall’imperatrice romana Galla Placidia), è il “nodo di Salomone”, a forma di due anelli intrecciati. In realtà non è un vero nodo ma, secondo la teoria matematica dei nodi, un link; era noto anche come “sigillum Salomonis”, dal nome del biblico re famoso per la sua saggezza. I nodi, inoltre, sono particolarmente importanti per distinguere i tappeti: le fibre che li costituiscono possono infatti essere annodate con nodi turchi, simmetrici, o persiani, asimmetrici. Il modo di annodare le fibre identifica quindi la zona di provenienza, mentre la loro densità per metro quadrato misura quanto un tappeto sia “fine”.
NOBILI SIGILLI. Un tipo particolare di decorazione sono poi i blasoni di molte famiglie nobili, dove spesso si trovano esempi di nodi. Come il “nodo Borromeo” (tra i simboli della famiglia ma di origine molto più antica) che è costituito da tre anelli intrecciati in modo che rompendone uno si liberino gli altri due, e fu impiegato anche come simbolo delle sue teorie dallo psicologo francese Jacques Lacan. Oppure il “nodo Savoia”, che ha la forma di un otto prima di essere stretto: ancora usato come nodo di arresto di cime e nasse in marineria, compare anche nella decorazione del collare simbolo dell’omonimo ordine cavalieresco, istituito nel 1350 da Amedeo VI di Savoia detto il Conte Verde. Che, tra l’altro, si dice avesse un vero e proprio culto per i nodi, che usava come decorazione di ogni cosa che indossava o impiegava, dall’elmo alla gualdrappa del cavallo. Al 1352 risale anche l’“Ordine del Nodo” (detto anche “dello Spirito Santo” o “del nodo d’Amore”), istituito da re Luigi I di Angiò, che obbligava i cavalieri che vi appartenevano a portare il nodo sugli abiti o sulle armi.
Ma a tutti può capitare di indossare nodi, basti pensare alle stringhe delle scarpe e alla cravatta: per quest’ultima, se ne fanno 3 o 4 al massimo (per esempio: semplice, doppio, Windsor, mezzo Windsor...) ma i matematici hanno dimostrato che esistono oltre 177.000 nodi possibili!
MISURA DEL TEMPO. Fin dall’antichità i nodi sono stati impiegati anche per marcare tratti di corda, per esempio per misurare la velocità di un’imbarcazione. E quando non esistevano orologi portatili, erano molto utili per segnare il tempo. Le sentinelle messe di notte a difendere le mura di una città si potevano rendere conto del tempo che trascorreva usando come torce delle corde spalmate di pece, annodate a intervalli regolari. Ogni volta che il fuoco raggiungeva un nodo, cambiava il turno di guardia. Il nodo scandiva anche, nelle prime recite del rosario, le litanie che si rivolgono alla Madonna. Anzi, quando i monaci eremiti del deserto del III e IV sec. le hanno introdotte, queste collane scandite da nodi prendevano il nome di “paternoster”. Del resto, andando molto più indietro, si nota che diverse civiltà hanno tra le loro divinità un trio di donne che interpretano il fato degli uomini filando, annodando e sbrogliando e, infine, recidendo il filo della vita. Sono le Moire per gli antichi Greci, le Parche per i Romani e le Norne per gli Scandinavi. Una di queste ultime, in particolare, chiamata Verdandi, poteva ogni tanto torcere il filo annodandolo e ingarbugliandolo, rappresentazione dei problemi che si incontrano nella vita, e sciogliendo i nodi lei stessa, se questo era destino.
DOPO IL BISTURI. Venendo più vicino a noi, molti progressi in campo medico sono legati all’invenzione di varianti del nodo di base per le suture, detto “nodo chirurgico”. Anche se adesso le tecniche di sutura non fanno più ricorso solo ad ago, filo e nodi ma utilizzano anche altri dispositivi (come clip metalliche, suturatrici automatiche, particolari colle), non va dimenticato che è stato grazie a una tecnica di sutura classica che sono stati possibili i trapianti di organo. Nel 1912, infatti, il premio Nobel per la medicina fu attribuito al francese Alexis Carrel, anche per avere inventato un nuovo metodo di chiudere le ferite profonde, che evitava le allora frequenti emorragie post-operatorie, e una nuova tecnica per cucire le pareti dei vasi sanguigni. Da un punto di vista tecnico, il nodo chirurgico è di norma un nodo dritto, con eventualmente un ulteriore nodo piano che lo blocca per sicurezza. Sembra che il suo inventore sia stato, nel XIII sec., Lanfranco da Milano che, fuggito dalla sua città natale per ragioni politiche, riparò in Francia dove diventò uno dei fondatori della scuola parigina di chirurgia.
Ma oggi noi tutti siamo immersi tra i nodi, se intendiamo quelli della rete Internet che è stata pensata per renderla in grado di funzionare anche se improvvisamente uno dei nodi scompare. I nodi nella Rete si basano su alcune architetture fondamentali, come la disposizione ad albero, a stella, ad anello ecc. Gran parte delle applicazioni tecnologiche che utilizziamo oggi, dai telefonini alle reti di computer, non sarebbe possibile senza questi nodi smaterializzati, strumento evoluto di quel primo nodo che teneva insieme il manico con la selce del nostro lontano progenitore.
Daniele Venturoli