Stefano Folli, IL 21/3/2014, 21 marzo 2014
NELLA STANZA DEI BOTTONI – [ALLE URNE EUROPEE UNA DEMOCRAZIA STANCA]
Fra poco gli europei andranno a votare per rinnovare il Parlamento dell’Unione e forse per la prima volta si renderanno conto di che cosa vuol dire scegliere come dovrà essere l’Europa del prossimo futuro. Questo voto, un tempo remoto e indifferente, oggi impone scelte cruciali, solleva questioni che sono entrate nella vita quotidiana di tutti i cittadini, in una vasta area continentale prigioniera di infinite contraddizioni politiche ed economiche. L’Europa condiziona i governi nazionali eppure essa non è un’entità sovranazionale compiuta, non è il prodotto di un’autentica integrazione. Per ora è una banca centrale, una moneta unica, una Commissione e alcune cancellerie che contano assai più di altre. Qualcuno pensa che l’Unione, al di là del nome, non sarà mai niente più di questo. Altri prevedono che l’euro non durerà e che si tornerà alle valute nazionali, non senza ulteriori passaggi drammatici. In tutto questo l’opinione pubblica è disorientata e i governi hanno pochi margini d’azione.
In un suo libro recente Lorenzo Ornaghi parla di “tarda democrazia” come del fattore che caratterizza la nostra epoca. E la questione europea entra a pieno titolo nell’analisi. Se ne sta accorgendo anche il giovane Renzi che ha portato nella stantìa politica italiana parecchio dinamismo e ora vede quanto sia difficile far ripartire i meccanismi di una democrazia invecchiata. In fondo, i grandi ideali ottocenteschi dei Risorgimenti nazionali, in Italia e altrove, erano un modo per dare nuovo senso alla democrazia del tempo. A maggior ragione nel Novecento l’ideale europeo, in quanto risposta ai totalitarismi, rappresentava un’altra scossa in favore di una democrazia ancora più radicata, capace di esprimere un’energia vitale sconosciuta alle generazioni precedenti. Oggi invece quell’ideale è spento e non è più una soluzione; al contrario, è forse parte del problema. La democrazia appare stanca e la sua luce rischia di affievolirsi troppo. Ecco perché i riformatori, non solo a Roma, fanno così fatica a imporsi e si rifugiano in un populismo morbido, ma poco efficace.