Vittorio Zincone, Sette 21/3/2014, 21 marzo 2014
«CAMBIAMO LA SCUOLA ROMPENDO UN TABÙ: PUNIAMO GLI INSEGNANTI INCAPACI»
[Stefania Giannini]
A trentuno anni era professore associato. A trentotto ordinario. Stefania Giannini, leader di Scelta civica ed ex rettore dell’Università per stranieri di Perugia, è il nuovo ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca. La incontro in viale Trastevere, nella sede storica del dicastero: stanze gigantesche, arredi ottocenteschi, corridoi vuoti.
È glottologa. Le mostro il video di Sara Maria Forsberg, la ragazza finlandese che ha spopolato su Youtube imitando 12 lingue inventandosi le parole. Commenta (renzianamente?): «La vita è ritmo». Provo a prenderla in contropiede: «Ha visto il film Smetto quando voglio? Quello con i ricercatori universitari sfigatissimi che si mettono a spacciare una droga sintetica inventata da loro?». Risponde ridendo: «Certo. Ho pure trovato un piccolo errore: uno dei protagonisti attribuisce alla lingua srilankese una derivazione inesistente dal sanscrito».
Liberale orgogliosa, Giannini si dà come obiettivo da ministro di portare “semplificazione e responsabilità”. A un certo punto, mentre racconta delle capriole necessarie per portare a termine la nomina di 360 dirigenti scolastici a causa dei possibili ricorsi al Tar, azzarda: «Se dobbiamo lavorare con la spada di Damocle delle sentenze dei giudici, sarà difficile migliorare i servizi scolastici. Ma non mi faccia dire queste cose, che poi mi licenziano».
Appena le ricordo le polemiche causate dal suo esordio con la visita a una scuola paritaria cattolica, replica thatcherianamente: «Lo Stato deve garantire la qualità dell’istruzione, ma ogni famiglia deve avere la possibilità di scegliere». E quando definisco “inciampo” l’intervista in cui disse che andava superato il meccanismo degli scatti di anzianità e che ha causato una reazione indignata dei sindacati, dice: «Per me non è stato un inciampo».
Ministro, perseverare è diabolico.
«Ribadisco con forza: solo in un sistema statico come il nostro l’anzianità è l’unico modo per valorizzare la figura dell’insegnante con un aumento dello stipendio».
L’alternativa?
«Premiare i più capaci, disponibili e preparati. I dirigenti scolastici dovrebbero avere l’autonomia per farlo e si dovrebbero assumere la responsabilità delle loro scelte. Un insegnante può essere premiato con un aumento dello stipendio, ma anche con il ruolo di coordinamento di un’area didattica».
Perché non si è mai andati in questa direzione?
«I sindacati hanno sempre preteso di tutelare tutta la categoria: non si valorizza chi ha più merito, ma si dà a tutti una garanzia minima. Tanti iscritti garantiti allo stesso modo vogliono dire più potere del sindacato. I tempi sono maturi per cambiare».
Renzi ha detto che questo governo ascolterà tutti, ma poi andrà dritto per la sua strada.
«Esatto. E il sindacato potrebbe rinnovare se stesso, diventando il garante e il custode della qualità del servizio degli insegnanti».
Oltre ai premi anche le punizioni?
«So dove vuole arrivare. Da una parte i più meritevoli promossi con un premio di produttività…».
Un premio di produttività?
«…se può trovi un’altra espressione dato che questa non è molto amata. Dall’altra si dovrebbe infrangere un tabù…».
E punire gli insegnanti incapaci?
«Anche con sanzioni, se non viene garantito un livello minimo di qualità».
E chi decide se viene garantito questo livello minimo? Gli studenti? I loro genitori?
«No. Non si può mettere la carriera di un insegnante nelle mani di dieci genitori che si lamentano. Chi dirige un istituto e deve rendere conto della qualità dei servizi si dovrebbe prendere anche questa responsabilità. Gli strumenti per procedere ci sono già, ma è sempre mancata la volontà politica. Basterebbe seguire l’esempio delle università».
Le università italiane non sono esattamente un esempio di limpida meritocrazia: fioccano i concorsi truccati, con accordi tra professori per premiare ricercatori segnalati…
«Possiamo evitare di usare la parola concorso? È un termine che non è nemmeno traducibile. Concorso? Parliamo di selezione: credo che una selezione corretta permetta sempre a chi lo merita di essere premiato».
I concorsi sono fatti apposta.
«Già. Ma secondo lei, se un professore vuole promuovere un asino, ci riesce meglio attraverso una complicata, ma manovrabile, procedura concorsuale o mettendoci la faccia?».
Si dia una risposta.
«Con il concorso».
Vuole abolire i concorsi?
«Non ho detto questo. Ma penso che non sia un delitto voler promuovere un proprio allievo. L’importante è metterci la faccia e prendersi la responsabilità didattica delle proprie scelte. Questa responsabilità ha dei costi di reputazione che incidono sulla sopravvivenza e la sostenibilità di un ateneo».
Lei è favorevole al finanziamento delle università pubbliche da parte dei privati?
«Sono favorevole a un’integrazione tra mondo del lavoro e mondo della formazione. Mi piacerebbe un sostegno degli imprenditori anche per il settore umanistico. E sì, penso che non sia un problema se un mecenate si offre di sponsorizzare una cattedra. Ma so che ci sarebbero molte resistenze».
Si temono ingerenze: la ricerca pubblica messa troppo al servizio dei privati…
«C’è un’interpretazione inadeguata del concetto di pubblico. Pubblico in Italia vuol dire gestito dallo Stato».
E invece…
«Invece dovrebbe voler dire al servizio della comunità. Lo Stato deve garantire, vigilando, che chiunque gestisca un determinato servizio pubblico lo faccia in favore della comunità. Pro populo. Questo è il modello liberale. Ma in Italia c’è ancora molto da fare».
Lei che studi ha fatto?
«Elementari e medie a Lucca. Università a Pisa. Dottorato a Pavia. Sono stata la prima a ottenere una laurea in famiglia. Mio padre aveva un bar pizzeria, ereditato da suo padre».
Era adolescente negli Anni Settanta. Ha mai fatto politica?
«No. Ma ero impegnata con un gruppo di volontariato cattolico».
È molto religiosa?
«In realtà non ho il dono della fede. Ma sono cresciuta con quei valori, nella Lucca bianca. I miei due figli, Enrico ed Edoardo, sono battezzati».
Hanno frequentato scuole cattoliche?
«Uno sì e l’altro no. Ora sono al Politecnico di Milano».
Favorevole o contraria ai matrimoni gay?
«Sono per i diritti delle coppie omosessuali».
Farete una legge sulle coppie gay?
«Non credo che sia nelle priorità di questa legislatura. Con questa maggioranza…».
Chi l’ha coinvolta in politica?
«Luca Cordero di Montezemolo. Nel 2010 mi chiamò per collaborare con ItaliaFutura per disegnare un’idea diversa di università».
Dopo soli tre anni è senatrice, ministro e segretaria di Scelta civica.
«È l’ultima cosa che avrei immaginato».
Scelta civica a Palazzo Madama ha otto senatori. Sono determinanti per la sopravvivenza del governo Renzi. Lei ha un notevole potere contrattuale.
«L’ho detto in Aula: voglio far cambiare verso al mondo dell’Istruzione. Non sarò un ministro che insegue Padoan per raccogliere qualche briciola».
A cena col nemico?
«Con Susanna Camusso. Ma non mi piace definirla nemico».
L’errore più grande che ha fatto?
«Forse non trasferirmi negli Usa, a metà degli Anni Ottanta».
La scelta che le ha cambiato la vita?
«Scegliere l’Università di Perugia. Dopo il dottorato sarei potuta andare anche a Siena o a Roma Tre».
Che cosa guarda in tv?
«Le news, qualche talkshow e i film».
Il film preferito?
«Match Point di Woody Allen. Un film geniale».
La canzone?
«Candle in the wind di Elton John. Drammatica. La colonna sonora della mia adolescenza, invece, era di Jackson Browne. Ricorda? Stay… just a little bit longer…».
Il libro?
«Domani nella battaglia pensa a me di Javier Marías. Eros e Thanatos».
Il libro che darebbe a uno studente di dieci anni?
«Pinocchio. Dentro c’è davvero tutto».
Conosce i confini della Siria?
«Libano, Giordania…».
Quanto costa un pacco di pasta?
«Circa un euro».
Conosce l’articolo 139 della Costituzione?
«Conosco il 138».
Il 139 dice che la forma repubblicana non è modificabile. Quale parola inserirebbe nella Costituzione?
«Felicità. Come in quella degli Stati Uniti».