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 2014  marzo 21 Venerdì calendario

E PUTIN FA COSTRUIRE IL PONTE CHE ANCHE GLI ZAR SOGNAVANO


DAL NOSTRO INVIATO SINFEROPOLI — E adesso calce&martello. Ponti d’oro. Un ponte vero: «È la prima cosa di cui abbiamo bisogno», dice Vladimir Putin: «Una via più corta, dove far passare le nostre auto e i nostri treni». La riunione sulla Crimea è durata parecchio, mercoledì al Cremlino. Per fare i conti di un’economia che «non sembra messa meglio di quella della Palestina», come ha spiegato il ministro per lo Sviluppo regionale, Igor Slyunayev. Per scovare cinque-dieci miliardi di dollari da investire al più presto: «In fondo una spesa irrisoria — dicono gli analisti moscoviti di Alfa Bank — in una Federazione che a fine febbraio aveva accantonamenti per 170 miliardi». Ben vicino perché potesse ascoltare bene, lo Zar Vladimir ha voluto il ministro dei Trasporti, Maksim Sokolov: serve una grande opera che stupisca il mondo, gli ha comandato. Qualcosa per unire fisicamente i crimei ai russi, zittire gli ucraini e chi ci sanziona. Serve il Grande Ponte sullo Stretto di Kerc: la chilometrica campata fra il Mar Nero e il Mar d’Azov che la Russia sogna da almeno cent’anni e che una lunga maledizione di guerre e rivoluzioni, tormente di neve e tangenti a pioggia, ha sempre impedito di tirar su. «Ci aspetta una grande impresa», ha avvertito Putin.
Annettere è connettere. I soldi, dopo i soldati. Il ponte di Kerc, due miliardi d’euro di spesa, sarà il cordone ombelicale fra la Grande Madre e l’ultimogenita repubblica. L’unica via di collegamento (aerei e vaporetti a parte) che eviti l’Ucraina. Il progetto è pronto da un po’: sette chilometri e mezzo di strada, di rotaia e forse di tunnel sottomarino. Cinque anni di lavori già appaltati ad Avtodor, il gigante statale delle costruzioni, consiglio d’amministrazione dove siede lo stesso ministro Sokolov. Quando a novembre il presidente ucraino Viktor Yanukovich aveva voltato le spalle all’Europa, ed era scoppiata la rivolta di Maidan, il primo abbraccio di Mosca era stato proprio questo: un bell’accordo per il ponte dei sogni e dei sospiri. Un regalo, a conclusione di dieci anni di negoziati e di un’intesa che Putin, lui in persona, aveva salutato come «la vittoria comune di due popoli fratelli». La cacciata di Yanukovich, l’invasione della Crimea hanno accelerato tutto. Il 3 marzo, il premier russo Dmitri Medvedev ha firmato il decreto, accantonato il denaro necessario, preteso uno studio di fattibilità entro il 2015. «Daremo ricchezza a tutta l’area», promette ora Medvedev: il Mar d’Azov è lo sbocco del Don, di qui passano i grandi commerci meridionali della Russia, un collegamento tra Kerc e Krasnodar aiuterà il turismo sul Mar Nero (che al 70 per cento era ucraino, finora) e porterà più treni, più tir, più futuro…
Non sarà facile. Il ponte da solo non basta: intorno, bisogna costruire grandi barriere, frangiflutti, frenare le correnti dello stretto, evitare i disastri del passato. Perché da Nicola II a Stalin, ci hanno provato tutti. E tutti hanno fallito. La voglia del ponte spuntò ai primi del Novecento: gli Zar ce l’avrebbero anche fatta, non li avesse distratti la Grande guerra. Nel ’43 fu l’architetto del Reich, Albert Speer, a convincere Hitler: sei mesi per i piloni e un passaggio sospeso sull’acqua, accorciare il percorso del petrolio del Caucaso, aprire una via veloce verso l’Asia. Il ponte fu consegnato al Führer nei tempi stabiliti, ma servì solo alla ritirata dei tedeschi: la Wehrmacht lo fece saltare. L’anno dopo, toccò a Stalin. Che recuperò le macerie. E ordinò di rifarne un altro. L’Armata Rossa provvide in gran fretta, forse un po’ troppa fretta, e l’opera tenne appena sei mesi, il tempo per farci passare la delegazione sovietica di ritorno da Yalta. La forza dei due mari, il ghiaccio, i materiali scarsi: il crollo fu inevitabile. Definitivo. «Dobbiamo costruirlo noi prima che lo facciano i russi», ci riprovò una decina d’anni fa Yulia Tymoshenko, quand’era premier dell’Ucraina. Fece la solita commissione. Girarono le solite mazzette. Finché non arrivò Putin, a fregare tutti.