Giuseppe D’Amato, Il Messaggero 21/3/2014, 21 marzo 2014
KIEV FIRMA IL PATTO CON LA UE MA HA BISOGNO DI 70 MILIARDI
LO SCENARIO
MOSCA Nemmeno dopo la “rivoluzione arancione” filo-europeista del 2004 l’Ucraina aveva puntato la sua barra così verso Occidente. Dopo 360 anni di storia comune il divorzio con la Russia è ormai consumato e lo «Stato fuori dai blocchi, ponte tra Est ed Ovest», voluto dal deposto presidente Viktor Yanukovich, è un ricordo sbiadito.
IL CAPITOLATO
Oggi le nuove autorità di Kiev firmeranno il capitolato “politico” del patto di Associazione economica con l’Unione europea, causa prima del moto di protesta che ha generato l’“EuroMaidan” e, per reazione, la conseguente annessione da parte di Mosca della Crimea (regione russa, “regalata” all’Ucraina da Krusciov nel 1954, a suggello dei 3 secoli di amicizia tra i due popoli slavi orientali).
Ufficialmente il Cremlino si opponeva a tale accordo, giustificandosi con future possibili difficoltà commerciali tra le due repubbliche ex sovietiche. In realtà il problema era soprattutto di altro genere: avvicinandosi così tanto all’Ue, Kiev avrebbe fatto saltare la nascita di una specie di “mini-Urss economica” voluta da Putin entro il 2015.
Alla vigilia della firma di Bruxelles l’Ucraina ha rinunciato alla presidenza di turno della Csi, la comunità sorta dalle ceneri dell’Urss, ed anzi, come la Georgia dopo la guerra con Mosca nell’agosto 2008, ha scelto addirittura di ritirare la sua adesione all’organizzazione. Lo scenario “morbido”, creatosi dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, sta quindi cambiando radicalmente ed è giunto il momento delle decisioni cardinali.
L’obiettivo di Kiev, è inutile nasconderlo, è quello di una piena entrata come membro effettivo nell’Unione europea. Nel 2007 l’Ucraina faceva fatica a comprendere perché Bruxelles avesse accettato Bulgaria e Romania, Paesi di simili complessità economica ed ambientale, ma strategicamente meno importanti soprattutto dal punto di vista energetico. Ed a questo punto, dopo quello che è avvenuto in Crimea, altro scenario non è ipotizzabile. Serviranno pertanto marce forzate (altro che vent’anni di limbo!) ed imponenti investimenti europei ed americani.
UN PIANO MARSHALL
L’aspetto politico è il meno preoccupante: a parte le baltiche, l’Ucraina è l’unica repubblica ex sovietica dove veramente ha attecchito la democrazia. Difficilissimo è invece quello economico-finanziario con il Paese sull’orlo del default. Le garanzie Usa sui mercati internazionali insieme al credito di 11 miliardi di Bruxelles hanno finora evitato il peggio. Stando agli ultimi calcoli è necessario una specie di “piano Marshall”, circa 70-80 miliardi di euro, nel medio termine per ammodernare il tessuto industriale ucraino, troppo vecchio per concorrere in Ue e troppo dipendente dalla Russia.
GLI SVILUPPI
Da 3 a 7 miliardi sono solo da destinare ai gasdotti costruiti in epoca sovietica. In sintesi tutta questa pioggia di soldi dovranno essere investiti con lo scopo di portare l’Ucraina al livello della Polonia odierna, trasformatasi in una delle “tigri” continentali dopo 15 tribolati anni di passaggio dal comunismo all’economia di mercato. L’attuale partita geostrategica costringerà i membri dell’Ue a muoversi una volta tanto insieme. Non è che a Kiev è nata una nuova Europa?