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 2014  marzo 21 Venerdì calendario

AVASTIN-LUCENTIS, BASTA VISIONI COMPLOTTISTICHE


Caro Direttore,
una regola aurea da usare nei sistemi e nelle società il cui funzionamento dipende dalla circolazione di informazioni e conoscenze controllate, ma anche incerte, è non confondere piani diversi di analisi, ragionamento e valutazione. Perché se si mettono in gioco criteri inadeguati rispetto al contesto, si possono fare danni. Come nel presunto scandalo Avastin/Lucentis, che sulla base dell’inchiesta condotta dall’Antitrust configurerebbe da parte di Novartis e Roche una truffa ai danni del sistema sanitario e dei pazienti. La vicenda, se sarà discussa e giudicata in chiave ideologico-complottistica, potrebbe danneggiare ulteriormente l’immagine dell’Italia sul piano della capacità di tutelare i suoi organismi tecnici da aggressioni politiche o giudiziarie in linea di principio non giustificate.
Lasciando agli organi giudiziari di accertare e perseguire eventuali reati, preoccupano l’aggressione e i giudizi sommari rivolti al comportamento di Aifa e della sua direzione, là dove si confondono i termini tecnici e scientifici della questione con considerazioni e valutazioni di natura politica ed economica. Gli studi scientifici e clinici dicono che Avastin e Lucentis non sono identici sul piano chimico, e non producono esattamente gli stessi effetti rispetto al trattamento di una malattia oftalmica specifica. Questi fatti non sono in discussione. Ora, nel processo di regolazione dei farmaci che da circa mezzo secolo si vuole basato su prove di sicurezza ed efficacia, le agenzie regolatorie che supportano tecnicamente il governo sono tenute a controllare questi due parametri, sicurezza ed efficacia di un farmaco, e a vigilare sulla loro eventuale fluttuazione nel tempo. Questi dati sono una base oggettiva e neutrale per assumere decisioni politiche ed economiche relative a rischi e a costi.
Avastin è dunque un po’ meno efficace e sicuro, o non controllato e per questo non autorizzato a livello regolatorio per quella malattia oftalmica. Ma costa meno. Ora, qualunque farmaco autorizzato può essere offerto ai pazienti e proposto dai medici (come si usa dire «in scienza e coscienza» e come la legge permette, a discrezione del medico) anche al di fuori delle indicazioni cliniche per cui è prescritto e regolato (off label). In regime di autonomia decisionale il paziente informato potrà scegliere. Ovvero ministero e governo possono decidere di non pagare quello più sicuro e/o efficace, preferendo il risparmio economico al risparmio di qualche effetto collaterale per i pazienti. Ma il compito di una struttura tecnica, come l’agenzia regolatoria, non è, e non dovrebbe essere di decidere quanto rischio far correre o quanto lo Stato è disposto a pagare. Bensì di controllare le prove scientifiche e tecniche a tutela del paziente. Che sono le informazioni valide che il medico potrà dare nel contesto di una decisione consensuale, e da cui deve partire qualunque scelta politica o economica. Cioè se lasciare al mercato la regolazione dei prezzi, subire gli accordi tra le imprese farmaceutiche, preferire la convenienza economica rispetto alla sicurezza e all’efficacia, ecc. Decisioni che devono essere politiche, nel senso che spetterebbero a organismi democraticamente eletti, se non si vuole cadere nella tecnocrazia.
Sirene ideologiche antimercato o anti-industriali e paranoie complottistiche o moralistiche vorrebbero trascinare in un regolamento di conti politici una tra le più qualificate e apprezzate agenzie regolatorie occidentali, compromettendo l’uso funzionale di competenze e regole trasparenti senza le quali non si riuscirà mai a smascherare i veri conflitti di interesse e le truffe economiche messe in atto contro i pazienti e il sistema sanitario.
Il Paese si è già distinto in ambito internazionale per un’inaccettabile sentenza contro la Commissione Grandi Rischi, usata come capro espiatorio per la tragedia imprevedibile accaduta a causa del terremoto dell’Aquila. Evitiamo di dimostrare ulteriormente che l’Italia è ridotta al punto da distruggere quelle competenze ed efficienze istituzionali che incredibilmente riesce ancora a creare, e senza le quali non si esce dal declino e dalla crisi.

Docente di Storia della Medicina, Bioetica ed Epistemologia Medica
Università La Sapienza-Roma