Cecilia Attanasio Ghezzi, Il Fatto Quotidiano 21/3/2014, 21 marzo 2014
LA CINA E I FIGLI DI NESSUNO I BABY BOX NON BASTANO PIÙ
Pechino Nelle periferie cinesi succede spesso. I neonati vengono abbandonati da madri che non se ne possono prendere cura. Sono troppo giovani, non hanno un compagno e non hanno gli strumenti economici e legali per combattere la maldicenza comune. Secondo il ministero degli affari civili solo nel 2012 in Cina sono stati abbandonati 570mila bambini, l’11 per cento in più rispetto all’anno precedente. E le strutture preposte all’accudimento e alle adozioni degli orfani ne avrebbero nutrito solo 100mila. Degli altri 470mila si sono perse le tracce. E se il fenomeno è diffuso in generale, è tanto più comune in quelle metropoli industriali, meta di decine di milioni di lavoratori migranti che sperano di realizzare così il loro sogno di fuga dalla campagne.
COSÌ LA REPUBBLICA popolare ha deciso di sperimentare le baby box, ruote degli esposti dei tempi moderni, che prevedono l’anonimato per chi abbandona, e le cure per il neonato. La Cina ne ha già aperte 25 in dieci regioni e il ministero degli Affari Civili ha annunciato di volere estendere il progetto a altre 18 regioni. Anche Pechino ne aprirà una entro l’anno. Ma a Guangzhou, metropoli della Cina meridionale, dopo due mesi le hanno sospese per “sovraffollamento”. Dalla loro apertura il 28 gennaio scorso, sono stati abbandonati 262 bambini. E le polemiche non sono mancate. In Europa le abbiamo avute fino all’inizio del Novecento. Poi sembravano essersi estinte, ma il fenomeno non è scomparso. Anzi. A giugno 2012 il Comitato Onu per i diritti del bambino si è detto “preoccupato” per aver verificato che negli ultimi dieci anni nel vecchio continente sono state istallate circa 200 baby box. Il dibattito è tra chi pensa che il diritto del bambino a conoscere i propri genitori vada tutelato ad ogni costo e chi invece è convinto che l’importante sia salvare una vita umana.
La Cina è evidentemente più propensa a quest’ultima ipotesi. Senza attentare alla privacy della madre, questa sorta di container - da circa 18mila euro l’uno - sono completamente equipaggiate degli strumenti medici necessari. I genitori devono solo suonare un campanello e allontanarsi. Qualcuno dalle strutture preposte si recherà sul posto a prendere in consegna il neonato. Secondo uno studio condotto dal dipartimento per la pianificazione famigliare del Guangdong almeno la metà delle lavoratrici migranti che arrivano nella regione fa sesso prima di sposarsi. Di queste quasi il 60 per cento affronta una gravidanza non voluta. In un solo distretto della megalopoli di Shenzhen, in soli cinque anni, almeno dieci madri sono state condannate per aver abbandonato o ucciso il proprio figlio appena nato.
TUTTE LORO sono lavoratrici migranti, single, tra i 16 e i 23 anni, probabilmente vittime della convinzione popolare che avere un bambino senza un marito sia un’offesa mortale per tutta la propria famiglia. Senza contare che spesso queste giovani donne sono portatrici di storie personali molto dure che non hanno gli strumenti per lasciarsi alle spalle. Un recente studio sulle condizioni delle fabbriche della metropoli meridionale di Guangzhou dimostra come il 70 per cento di queste operaie ha subito molestie sessuali dai propri colleghi.
Il 15 per cento di loro - una donna su sei - ha addirittura abbandonato il proprio posto di lavoro, rinunciando allo stipendio pur di uscire da un incubo. Ognuna di loro ha cercato di risolvere i propri problemi da sola e, forse, tra le soluzioni possibili ha anche considerato quella di abbandonare un figlio non voluto.