Rita Di Giovacchino, Il Fatto Quotidiano 21/3/2014, 21 marzo 2014
ROGO DI PRATO, LA RETATA CONTRO I NEGRIERI DEI CINESI
A quattro mesi dal rogo della fabbrica di Prato, in cui persero la vita sette operai cinesi, sono stati arrestati due imprenditori italiani e tre cinesi con l’accusa di omicidio plurimo, incendio colposo e omesso rispetto delle più elementari norme di sicurezza. Accuse pesanti che rappresentano il primo atto di giustizia nei confronti di questi sette lavoratori stranieri, ridotti in schiavitù, vittime designate di una terribile condanna a morte. Dalle indagini è emerso che erano costretti a mangiare e dormire negli stessi fatiscenti locali del laboratorio, dove lavoravano fino a 17 ore consecutive alle macchine da cucire, senza garanzie e senza contributi e per una misera paga che, a detta dei due soli sopravvissuti, non superava i 2-3 euro l’ora. Neppure un giorno di riposo veniva concesso dai padroni aguzzini.
UNA STRAGE annunciata, scrive il gip, quella che si è consumata all’alba del primo dicembre scorso in via Toscana all’interno della ditta “Teresa Moda”, una delle tante fabbriche del falso “made in in Italy” che hanno arricchito questa cittadina alle porte di Firenze dove vengono copiati modelli dell’alta moda italiana utilizzando manodopera e materiali cinesi, spesso tossici. Un’industria in piena espansione, destinata non soltanto alle bancarelle ma anche a boutique e a importanti marchi della moda pronta italiana. I due italiani sono i fratelli Pellegrini, proprietari dell’immobile che ospitava la ditta cinese gestita di fatto dai tre cinesi arrestati, chiamati a rispondere anche di sfruttamento di manodopera clandestina. Ai Pellegrini è stato sequestrato anche un altro capannone, anch’esso affittato a cinesi, del valore di circa 200 mila euro e si indaga su altre ditte di confezioni ad essi legate. “La tragedia di Prato chiama ciascuno di noi alle proprie responsabilità. La morte di 7 persone in una fabbrica non può restare impunita. Chiediamo che si vada fino in fondo, occorre potenziare i controlli nei capannoni per verificare le condizioni di lavoro, assicurare alloggi più sicuri sia attraverso l’affitto di alloggi sfitti, sia mediante la realizzazione di foresterie in prossimità dei capannoni industriali, all’altezza dei problemi sociali e relazionali della comunità cinese che vive e lavora nel territorio toscano”, ha commentato il presidente della Toscana Enrico Rossi al quale non sfugge che la presenza di tanti lavoratori cinesi è “una grande opportunità di ricchezza e una sfida di civiltà per tutto il nostro Paese”.
UNA RICCHEZZA maledetta però che nasce dalle condizioni di sfruttamento della manodopera clandestina che proprio questo rogo ha portato alla luce in modo irrimediabile. La concorrenza con il vero “made in Italy” è soltanto frutto del basso costo del lavoro compiuto in violazione di tutte le leggi che lo regolano. Prato è sì un’isola felice, ma per gli interessi della Triade e della malavita locale che s’incrociano in queste fatiscenti strutture industriali. “Ci sono violazioni accertate così gravi e dannose che non c’è da chiedersi quali norme siano state infrante ma quali siano state rispettate", scrive ancora il gip nell’ordinanza di arresto dove per la prima volta emergono intrecci criminali tra italiani e cinesi, inevitabilmente sfociati nel disastro di “Teresa moda”, ditta peraltro gestita da un prestanome secondo la migliore tradizione. Secondo gli inquirenti, i fratelli Pellegrini, ai quali sono stati concessi gli arresti domiciliari, erano ben consapevoli degli abusi edilizi realizzati nei loro locali dove la zona dormitorio era divisa da semplici pannelli di legno e cartongesso, che hanno propagato il rogo in pochi secondi, oltre a consentire l’uso promiscuo (industriale e abitativo) del laboratorio.