Fabio Di Chio, Il Tempo 21/3/2014, 21 marzo 2014
SCHIAVONE: «IO PERDONATO DAL PAPA. I PRETI? SI DOVEVANO CORROMPERE»
Carmine Schiavone, l’ha vista la fiction Rai sull’omicidio di don Peppe Diana?
«Sì, tutte cazzate».
È una serie televisiva ispirata alla vita del prete, non un documentario, comprensibile no?
«So solo che don Peppe era una brava persona, credeva nella chiesa. Non voleva questa guerra di mafia, anche se sapeva che non ci stava nessun innocente a combatterla. Sono state fatte guerre contro i Cutoliani che volevano sottometterci, contro i Nuvoletta che stavano con i Riina e i Provenzano mentre noi avevamo fatto una scissione: i Casalesi, una Cosa nostra campana. Divenimmo vincitori in Campania, perdenti in Sicilia. Don Peppe Diana era una bravissima persona».
Lei è stato l’amministratore delegato dei Casalesi, nel ’93 si è pentito perché ha scoperto che i suoi volevano farla fuori, visto che non era d’accordo sull’interramento dei rifiuti nella sua terra "dei fuochi". Così ha inchiodato i suoi ex. Don Diana era suo parente?
«La sorella Marisa ha sposato mio nipote Antonio Zara, figlio di mio cugino Ciccio Zara. La madre era Schiavone Maria, figlia di mio zio Vincenzo. Invece il fratello Emilio ha sposato mia nipote Enrichetta, figlia di mia cugina Giannina, a sua volta figlia del fratello di mio padre».
A Casal di Principe immagino che sia facile essere parenti?
«Già».
Quando è successo l’omicidio lei era già pentito?
«Sì, da più di un anno».
In carcere si diceva che quel prete rischiava grosso?
«Ma nooo. La mia famiglia non avrebbe mai toccato don Peppe Diana. Potevano essere delle bestie in tutte altre maniere, però c’erano delle regole: non si toccavano né politici, né avvocati, né preti. I politici e i preti si corrompevano, si compravano».
Anche i preti?
«Anche i preti. Ma don Peppe non era uno di questi. Io gratuitamente gli ho dato il cemento per fare la cappella dove l’hanno ammazzato. Fino al ’91, quando mi hanno fatto arrestare, a Casale non si facevano estorsioni, non si vendeva droga. Don Peppe voleva coinvolgere i giovani, sapeva del problema dei rifiuti perché gliene avevo parlato quando ero latitante. Gli ho detto: "Questi sono cani rognosi, hanno perso tutti i valori, lo fanno per soldi, non sono più uomini d’onore, stanno infettando la terra, qui si morirà tutti di cancro". Volevano che io lo infangassi. Mi sono rifiutato. Era un prete vero. I nostri avversari volevano accollarci l’omicidio di don Diana. Se uno Schiavone avesse dato quell’ordine sarebbe scoppiata una guerra interna alla famiglia. Don Diana è stato ucciso perché parlava, perché era imparentato con gli Schiavone, perché ha negato il funerale a uno dei nostri nemici e perché volevano buttarci addosso i carabinieri. Don Peppe era democristiano puro, gli abbiamo pure detto di votare Nicola Cosentino, di cui era amico. I Casalesi controllavano i voti, orientavano gli elettori. Oggi chi si sfoga e mi accusa di aver permesso che avvelenassero Casale non sa o non vuole sapere che io mi sono pentito proprio perché mio cugino Sandokan si era fatto abbagliare dai soldi e che i loro nonni, di chi protesta, hanno venduto ai camorristi i loro terreni per quegli sporchi traffici».
Vedo che lei sul tavolo ha una Bibbia?
«Me l’ha portata il parroco di Caivano, don Maurizio Patriciello. Gliel’ha data Papa Francesco e lui me l’ha dedicata».
Lei vorrebbe incontrare il Papa?
«Sì, voglio incontrarlo. Mi ha convertito. Ero ateo, ora sono cattolico. Lui mi ha mandato a dire che ha perdonato i miei peccati».
E lei si è perdonato?
«No. La notte mi sveglio per gli incubi».