Brunella Schisa, Il Venerdì 21/3/2014, 21 marzo 2014
SONO STATA A LEZIONE D’ETICHETTA
MONTREUX. Non è un castello ma una villetta a tre piani affacciata sul lago Lemano incoronata dalle Alpi innevate. In questo edificio arrampicato sopra Montreux, si insegna una materia che può sembrare desueta in un’epoca sguaiata come la nostra. Eppure a imparare le buone maniere nelle scuole svizzere sono andate principesse (lady Diana), regine (Anna Maria di Grecia), premières dames (Carla Bruni), contesse (Camilla Parker Bowels), stiliste (Tamara Mellon). In realtà, in questi istituti che insegnano l’etichetta arrivano ragazze e giovani donne che vogliono imparare ogni sfaccettatura della grazia sociale.
A ricevermi è Madame Viviane Neri, una signora che ha istruito generazioni di rampolli di grandi famiglie non soltanto europee, mogli di diplomatici e di capitani di industria ma anche semplici mortali. L’Institut Villa Pierrefeu, fondato dalla madre di Madame Neri, è accogliente ed elegante. La mia ospite mi comunica che le studentesse sono a pranzo e non posso disturbarle. (Si tratta di un lunch british, cioè con la tavola apparecchiata con i rebi delle forchette in alto e dove si mangia con una mano in grembo). Ma già dal primo pomeriggio parteciperò a tutti i corsi esclusivamente in lingua inglese. Le mie compagne di corso sono poche: Svetlana ucraina domiciliata a Londra, Justine neozelandese trapiantata da generazioni in India, Tian cinese di Shangai, Shakita turca di Istanbul, Victoria moscovita e Cherry nigeriana, l’unica signora agée a parte me. Di italiani c’è soltanto Leopoldina Pallotta della Torre, che mi ha fatto scoprire questo luogo fuori dal mondo, autrice di Maniere, un libro a metà tra il manuale e l’antropologia culturale che uscirà a settembre in occasione della celebrazione dei sessant’anni di attività dell’Institut Villa Pierrefeu.
Non c’è bisogno di avere visto le quattro serie di Downton Abbey per capire che qui a Montreux fanno sul serio. Durante la prima lezione pomeridiana su come si serve il caffè, Madame Neri ci mette in guardia. «L’etichetta cambia, come cambia la tecnologia. Un tempo si fumava e spesso accanto a ogni commensale c’era un posacenere con tre sigarette diverse, adesso nelle case occidentali non si fuma, mentre in Oriente si continua con accanimento. Alle differenze di cultura corrispondono diverse etichette. Per esempio in India si va via subito dopo la cena, in Europa bisogna trattenersi almeno una mezz’ora e mai oltre un’ora e mezza».
Mentre Madame Neri chiede a Justine di porgerle una tazzina di caffè mi chiedo se sia davvero necessario trascorrere metà pomeriggio a offrire caffè, crema e zucchero. La risposta è sì. D’ora in poi farò attenzione a mettere i manici delle tazzine rivolti alla mano destra dei miei ospiti in modo che possano prenderla con agio, se mi offriranno un cioccolatino ripiegherò la carta per benino come fanno i giapponesi, e se avrò un ospite orientale porgerò la tazzina con due mani in segno di rispetto, se me la offrirà un arabo la prenderò con la mano destra (la mano pulita) e non appoggerò mai più la borsa a terra in un luogo pubblico per non disturbare un europeo dell’Est che lo giudica di male augurio. In queste prime due ore ho imparato anche che per evitare di stravaccarmi sul divano e tenere la schiena dritta basta incrociare i piedi alle caviglie e mi ricorderò di alzarmi senza appoggiare le mani alla seduta.
Alla scuola di buone maniere di Madame Neri si tengono corsi invernali di due settimane ed estivi da tre a sei. In sessant’anni, su 3.600 studenti solo 59 sono stati italiani. Il motivo me lo spiega Philippe, il figlio di Madame Neri: «Non facciamo pubblicità attiva e molto si basa sul passaparola. Gli italiani sono pochi perché spesso hanno il problema della lingua, ovviamente qui sono arrivati i rampolli di alcune grandi famiglie, ma devo rispettare la privacy. Abbiamo molti messicani, giapponesi, indiani, russi. In tanti arrivano dagli Emirati. Da un po’ di tempo la scuola si è aperta anche agli uomini: imprenditori che fanno business internazionali, che magari per un errore di etichetta commesso hanno fallito un contratto e vogliono diventare più competitivi. La gente ha capito che le buone maniere servono per fare buoni affari». I prezzi fanno la prima scrematura: il corso di tre settimane costa tra gli 8 mila e i 9.500 franchi, quello di sei da 16 mila a 19 mila, senza contare l’alloggio, le cene sempre extra e il viaggio.
In mancanza di maschi, al pranzo del giorno seguente – in stile francese – alcune di noi indossano una fascia azzurra per distinguersi dalle femmine con fascia rosa. La tavola, appunto, è apparecchiata alla francese, cioè con i rebi rivolti in basso. Mi sono distratta nell’apparecchiatura ma ho visto Victoria e Svetlana con guantini bianchi prendere con il metro le misure per i sei commensali. Si chiama butler stick e lo usa anche Mr Carson in Downton Abbey. Tian ha stirato i centrotavola, mentre Cherry e Shakita si sono occupate dell’addobbo floreale (lezione del giorno prima). Essendo alla francese, ci si serve da soli e bisogna tenere le due mani sempre sulla tavola. Il tovagliolo è a sinistra e devo metterlo sulle ginocchia piegato in due e quando mi netterò le labbra lo farò con i lembi interni per non sporcarlo troppo vistosamente.
La cosa più difficile è fare conversazione o come la chiamano qui small talk. Sono seduta alla destra di Justine, che come padrona di casa (a capotavola) deve tenere viva la conversazione. Ho fame, ma il pane non posso toccarlo prima di iniziare a mangiare né sbocconcellarlo fra un piatto e l’altro. Poiché non ci conosciamo quasi, Justine dovrà condurre la conversazione con tatto evitando argomenti spinosi e coinvolgendo i commensali a lei più vicini. Anch’io devo conversare con Justine e Cherry (che ho alla mia destra) perché una delle regole è parlare con tutti e non soltanto con chi trovi più interessante.
Cerco di ripassare i precetti appresi alla lezione di small talk di Mr Ray Lancaster, comunicatore alla Nestlé di Vevey, lì a due passi con i suoi quattromila impiegati. Ma sono tanti e per seguirli mentre affronto un’orata da 150 grammi rischio di fare schizzare una spina sulla tovaglia immacolata. Vietate le domande troppo dirette e intrusive e la politica. Vietato parlare di te stessa. Devo guardare negli occhi il mio interlocutore, possibilmente nell’occhio sinistro, quello emotivo, senza annuire né sorridere. L’importante è non farsi prendere da deipnophobia ((il terrore di sostenere una conversazione durante una cena).
Sono fiera di me per come ho spinato il pesce e per come mi sono servita i piselli senza spargerne nemmeno uno sulla tovaglia. Merito un sorso di vino. Irene, l’insegnante messicana che vive in Guatemala, un’ora prima ci ha fatto una lezione di degustazione con quattro tipi di vino. Ho scelto del bianco secco profumato. Poggio le posate e come un falco Rosemary, la docente irlandese, mi redarguisce: «Le posate una volta prese in mano non devono più toccare la tovaglia, vanno appoggiare solo sul piatto!».
Al taglio con coltello e forchetta della banana arrivo stremata. Sono riuscita a ricordarmi di metterla nel piatto come «un sorriso imbronciato» ma avrei dovuto seguire l’intero corso e ora annaspo. Nel salutarmi Madame Neri mi dice: «Immagino che abbia capito che non siamo degli snob. Anzi! Gli snob usano codici segreti che tengono per loro. Noi diamo la chiave per fare buoni affari, avere una vita sociale serena e condurre bene la casa per avere più tempo per sé».