Federico Rampini, Il Venerdì 21/3/2014, 21 marzo 2014
ALLA SCOPERTA DELL’UCRAINA. SULL’HUDSON
New York. Per adesso è una magra consolazione, certo, visto che la Russia consolida il suo controllo sulla Crimea e mette l’Occidente di fronte al fatto compiuto. Ma almeno nella guerra delle relazioni pubbliche, l’Ucraina ha stravinto. A tal punto che, qui negli Stati Uniti, la gara è tutta a senso unico. Improvvisamente siamo circondati dagli ucraini. Anzi: si scopre che lo siamo sempre stati, a nostra insaputa. Ucraini di origine – veniamo a sapere – sono alcuni dei personaggi più importanti nella storia della Silicon Valley, protagonisti di primo piano in varie ondate di rivoluzioni tecnologiche: da Stephen Wozniak, co-fondatore di Apple con Steve Jobs, a Max Levchin, fondatore di PayPal, fino al più recente Jan Koum, creatore di WhatsApp balzato agli onori della cronaca per aver venduto la sua start-up per 19 miliardi a Facebook. In un’industria più tradizionale, ma sempre fiorente come l’aeronautica militare, gli elicotteri più venduti in America portano il nome di Igor Sikorsky, emigrato qui nel 1919. La pop-art americana (e mondiale) non sarebbe quella che è senza il marchio inconfondibile di Andy Warhol: vero nome, Andrew Warhola, anche lui con radici etniche a Kiev. Nella narrativa il più celebre è Chuck Palahniuk. Nella musica il trombettista jazz Herb Alpert poi trasformatosi in un potente businessman dell’industria discografica. Nel mondo dello spettacolo, ucraino di origine è una figura leggendaria nella Hollywood di ieri, il «cattivo» Jack Palance, e delle star molto più giovani come Milla Jovovich e Mila Kunis.
Quando Jared Leto nella notte degli Oscar ha ricevuto la statuetta e ha usato il palco per lanciare un messaggio di solidarietà a Kiev, c’è mancato poco che risuonasse in sala l’urlo «siamo tutti ucraini».
Come faccio ad avere un elenco così dettagliato di tutti i personaggi ucraini di spicco che si sono distinti qui in America? È semplice, fin dall’inizio di questa crisi sono fioriti siti d’informazione della comunità ucraina negli Usa. Un motore della mo- bilitazione è l’Ukrainian Congress Committee of America, presieduto da Tamara Olexy. Tra le sue roccaforti c’è la storica Little Kiev di Manhattan, che si trova nell’East Village e si raduna presso la chiesa cattolica di San Giorgio (la prima a raccogliere centinaia di milioni di dollari di donazioni da mandare in patria nei giorni della repressione poliziesca contro le manifestazioni di piazza). Ma dal loro insediamento storico nell’East Village, dove la comunità si sviluppò a ondate soprattutto negli anni Trenta e Quaranta (con tanti ebrei ucraini che fuggivano dalle persecuzioni staliniana o nazista), gli emigrati successivi sono sciamati in altre aree di New York, con robusti insediamenti a Brighton Beach (Brooklyn), Astoria (Queens), Ridgewood (New Jersey).
Più importante per il ruolo giocato in questa crisi, è stato il versante politico della lobby ucraina. Già ben rappresentata nelle ultime Amministrazioni repubblicane e democratiche, con Paula Dobriansky, sottosegretario di Stato incaricata soprattutto di seguire le «rivoluzioni arancioni» dal 2001 al 2009 (sotto George Bush), fino a Jane Lubchencko che Barack Obama nominò sottosegretario al Commercio, la comunità ucraina ha scelto però di affidarsi a dei lobbisti di professione per gestire la propria offensiva d’immagine in questa crisi.
Il colpo grosso, il nuovo governo di Kiev lo ha messo a segno ingaggiando via Bruxelles i servizi dell’italo-americano Anthony Podesta, fratello del consigliere numero uno di Obama. Ma l’esercito di lobbisti che lavorano per conto di Kiev è ampio e bipartisan. Vi figurano l’ex deputato democratico Jim Slattery e l’ex deputato repubblicano Vin Weber. Tutti e due, dopo aver concluso il mandato parlamentare sono diventati dei lobbisti di professione (una rotazione nei mestieri molto frequente a Washington). Slattery e Weber oggi sono a libro paga di Kiev, e insieme «lavorano ai fianchi» i propri ex-colleghi del Congresso perché approvino misure di sostegno al nuovo governo ucraino e sanzioni contro la Russia. La velocità del dibattito parlamentare e le ampie convergenze tra i due partiti sulla questione della Crimea, sono anche il frutto di un lobbismo efficace. E ben remunerato. Secondo i documenti resi noti dal Senato, nel corso del 2013 Slattery e Weber hanno ricevuto da Kiev onorari professionali per un milione di dollari. Tutto alla luce del sole, come accade solitamente a Washington dove l’attività delle lobby parlamentari è trasparente e regolata. Dalle rivoluzioni arancioni dell’Est europeo, fino alle primavere arabe, molti governi stranieri o forze politiche d’opposizione che cercano l’appoggio di Washington, hanno imparato a farlo attraverso questi canali: dispendiosi, ma professionali. Per quanto riguarda Anthony Podesta, la sua società di lobbying (Podesta Group) è stata ingaggiata per 510mila dollari dallo European Centre for a Modern Ukraine, un think-tank basato a Bruxelles che sostiene il nuovo governo filooccidentale e i suoi piani di avvicinamento all’Unione europea e alla Nato.
Al confronto appare meno organizzata, e certamente meno efficiente, l’attività di lobbying messa in campo dagli alleati di Putin. Il più importante è il colosso energetico russo Gazprom. I mezzi non mancano certo alla Gazprom, tant’è che i suoi interessi in America sono curati da uno dei nomi più altisonanti nel mondo delle pubbliche relazioni, il gruppo Ketchum. Quest’ultimo a sua volta si appoggia sulla Alston & Bird per il lobbismo politico presso la Casa Bianca, il Dipartimento di Stato, il Congresso. E tuttavia Gazprom non è riuscita a impedire che la «rappresaglia energetica» balzasse in primo piano nel dibattito politico a Washington: sia i repubblicani che i democratici vogliono accelerare i tempi per l’export di gas naturale americano verso l’Europa occidentale e la stessa Ucraina, per disinnescare il potere di ricatto di Putin-Gazprom. Nella gara delle relazioni pubbliche, un autogol clamoroso la Russia lo ha segnato proprio con quella che dovrebbe essere una delle sue armi di persuasione: la tv in lingua inglese. La Rt (sigla che sta per Russian Television) fu lanciata come una Cnn russa. Approfittando della crisi dei media americani, Rt è riuscita a reclutare diversi reporter di indubbia professionalità, anche se i suoi programmi hanno una diffusione limitata (la si vede in tutte le catene alberghiere, in poche utenze domestiche). Ma l’occupazione della Crimea ha sca- tenato delle crisi di coscienza e due dimissioni di giornalisti americani, che si sono rifiutati di lavorare al servizio della propaganda di Putin. Per il pubblico più giovane, forse un ruolo ancora più cruciale lo ha svolto (inconsapevolmente) proprio Jan Koum, il fondatore di WhatsApp divenuto celebre per l’accordo con Facebook. Questo ingegnere di 38 anni, già dipendente di Yahoo, è un ebreo ucraino nato in un villaggio alla periferia di Kiev. Koum è vissuto in Ucraina fino al 1992, la sua infanzia e adolescenza rimangono segnate dal comunismo sovietico. Cresciuto in uno Stato poliziesco, Koum ha una cultura libertaria. Perciò nel progettare WhatsApp ha dedicato una grande attenzione alla tutela della privacy degli utenti. Queste caratteristiche lo hanno aiutato in un exploit formidabile, la conquista di 450 milioni di utenti in soli cinque anni. Molti giovani utenti americani, il pubblico più fedele a WhatsApp, hanno «capito» la questione ucraina e la resistenza al totalitarismo scoprendo la biografia di Koum.