Emanuele Coen, L’Espresso 21/3/2014, 21 marzo 2014
A PRANZO CON DJOKOVIC
[Colloquio Con Novak Djokovic] –
Tennisti e scrittori. Nel club affollato dei campioni di ieri e di oggi che flirtano con la tastiera del computer, finora mancava all’appello il numero due del mondo. Dopo Andre Agassi, che nel bestseller "Open" racconta la propria discesa agli inferi con la tensione di un thriller psicologico, e gli altri - Andy Murray, Rafael Nadal, Boris Becker, alle nostre latitudini Adriano Panatta - adesso tocca a Novak "Nole" Djokovic sfornare la propria autobiografia. "Il punto vincente", in uscita per Sperling & Kupfer (traduzione di Ilaria Katerinov), è soprattutto la storia di una caduta - il doppio fallo del 27 gennaio 2010 e la sconfitta dopo diverse ore di sofferenza contro il francese Jo-Wilfred Tsonga agli Australian Open («il punto più basso della mia carriera») e di una rinascita, culminata nel trionfo a Wimbledon e nella conquista della vetta della classifica mondiale, nel 2011. Dopo aver eliminato i nemici - il glutine, gli zuccheri raffinati, i latticini - grazie alla nuova dieta messa a punto dal nutrizionista Igor Cetojevic, serbo come il 26enne Nole, che ha appena battuto Roger Federer in finale al torneo di Indian Wells. Le pagine scorrono tra aneddoti, ricordi - gli allenamenti ai tempi dei bombardamenti Nato su Belgrado, nel 1999, i match contro il rivale di sempre, Rafa Nadal, e gli altri campioni - e anche tante ricette, molte delle quali messe a punto dalla chef americana Candice Kumai. Con un lieto fine: l’equilibrio psicofisico.
Perché ha deciso di scrivere "Il punto vincente"?
«Desideravo condividere con il pubblico le mie esperienze. Raccontando in che modo mi abbia aiutato, nella vita quotidiana e nel tennis, aver cambiato approccio nei confronti del cibo. Quando si tocca il fondo ci si sente deboli, tristi e pieni di dubbi. È il momento giusto per tirare fuori il carattere, come nel 2010: fino al match contro Tsonga avevo già una bella carriera alle spalle, ma sapevo di poter fare ancora meglio e vincere più titoli nei tornei del Grande Slam, e soprattutto diventare il numero uno del mondo. Per realizzare tutto questo ho dovuto fare sacrifici e rimettere in discussione le abitudini, a partire da quelle alimentari. Spero che chi leggerà questo libro troverà la strada per mangiare meglio e stare bene con se stesso».
Negli ultimi anni, diversi suoi colleghi si sono dati alla scrittura. Ha letto i loro libri?
«Sì, tutti. Quello di Agassi, "Open", e gli altri: Murray, Nadal e Becker. Sono testi che ispirano e motivano chiunque, non solo chi ama il tennis. Li ho apprezzati molto. Questo sport è individuale e difficilissimo, dal punto di vista fisico e mentale. Le autobiografie sono importanti perché raccontano l’uomo e non solo l’atleta, che resta una persona come le altre anche se diventa famoso, alternando gioie, dolori, successi e insuccessi».
Nel suo caso, la rinascita è passata attraverso il cibo. Qual è il segreto della sua dieta? «Anzitutto tratto il cibo con rispetto, cosciente della fortuna di potermi sedere a tavola ogni giorno. E poi seguo quattro regole fondamentali: mangiare lentamente e in maniera consapevole; dare al corpo istruzioni chiare; mantenere un atteggiamento positivo; più qualità che quantità. La moderazione e l’equilibrio, nell’alimentazione come nella vita, sono fondamentali. E poi bisogna conoscere attraverso dei test quali sono i cibi più adatti al proprio organismo. È così che ho scoperto l’intolleranza al glutine».
Lei è nato e cresciuto in Serbia, mangiando soprattutto pizza. Che, si sa, è ricca di glutine. Questo le impediva di fare progressi nello sport?
«Quand’ero bambino, la mia famiglia gestiva una pizzeria a Kopaonik, uno sperduto paesino di montagna. Quindi per anni ho mangiato parecchia pizza, che tra l’altro era ottima, pane e pasta con il glutine. Ho mangiato così tanta pizza per così tanti anni che sospetto di essermi procurato un’intolleranza al glutine e ai latticini. Mentre la cucina tradizionale serba, che a me piace, è a base di carne e piatti pesanti. Con il passare degli anni, viaggiando spesso per lavoro, ho iniziato a mangiare carboidrati: soprattutto pasta e riso».
Come è riuscito a cambiare stile alimentare?
«Nei primi mesi ho fatto fatica, le tentazioni erano frequenti. I prodotti senza glutine avevano un sapore poco gradevole, ma con il tempo ho imparato ad apprezzarli. Oggi li mangio con gusto e mi piacciono più degli altri. Ho eliminato la pizza, quando me ne concedo una è senza glutine. Non sono diventato il numero uno per questo, ma è uno dei fattori che mi ha fatto stare meglio, contribuendo al mio successo in campo. A ogni modo, la mia storia ha un lieto fine: oggi la mia famiglia ha aperto in Serbia una catena di ristoranti gluten-free e li ha chiamati "Novak" ».
Come comincia la sua giornata-tipo?
«La prima cosa che faccio è bere un grande bicchiere d’acqua a temperatura ambiente. La seconda, mangio due cucchiai di miele. La varietà manuka, che viene dalla Nuova Zelanda, un miele scuro prodotto da api che si nutrono dell’albero manuka, o albero del tè. Dopo un po’ di stretching o ginnastica ritmica, sono pronto per fare colazione. Quasi ogni giorno mangio quella che chiamo "superscodella", che riempio con una miscela di muesli o fiocchi d’avena senza glutine, una manciata di mandorle, noci e noccioline, qualche seme di girasole o zucca, qualche fettina di frutta come banana e frutti di bosco, un cucchiaino di olio di cocco, latte di riso, latte di mandorla o acqua di cocco».
E a pranzo?
«Un mio pranzo tipico è pasta senza glutine con verdure. La pasta è di quinoa o grano saraceno, e per le verdure c’è l’imbarazzo della scelta: rucola, peperoni arrostiti, pomodori freschi, a volte cetrioli, molti broccoli, molto cavolfiore, fagiolini, carote. Mescolo le verdure con la pasta, un po’ d’olio di oliva e un pizzico di sale».
Quale cucina preferisce?
«Quella italiana, è la mia preferita insieme a quella giapponese. Adoro la pasta senza glutine e l’insalata condita con l’olio di oliva toscano».
Ogni tanto si concede uno strappo?
«Se voglio farmi un regalo, mangio una torta al cioccolato. Per me è uno strappo perché nella mia dieta, oltre al glutine, ho eliminato gli zuccheri raffinati e il lattosio. L’unico zucchero che mangio è quello contenuto nella frutta».
Il tennis è uno sport individuale e psicologico. Come riesce a trovare l’equilibrio?
«Gli psicologi la chiamano "mindfulness", consapevolezza. È una forma di meditazione secondo cui, invece di tentare di mettere a tacere i pensieri, li accogliamo così come si presentano alle mente. Faccio questi esercizi ogni giorno per un quarto d’ora e li considero altrettanto importanti dell’allenamento fisico. Poi pratico lo yoga, per sciogliere i muscoli, e alcuni esercizi di respirazione. Cerco di ascoltare me stesso attraverso la pace e il silenzio, per essere sereno e felice». Meditazione a parte, Nadal a ottobre scorso è tornato numero uno. C’è qualcosa che rimprovera a se stesso per avergli ceduto lo scettro?
«Rafa ha meritato di tornare numero uno, al termine di un anno magnifico seguito allo stop per infortunio. È rientrato vincendo due Grandi Slam, giocando alla grande, è stato il migliore. Quindi bravo Rafa. Per quanto mi riguarda, sono molto orgoglioso e contento dei miei risultati: oggi sono il numero due. Forse potevo vincere uno o due trofei dello Slam, ho perso match che non avrei dovuto perdere. Per questo cercherò di migliorare la mia capacità di tenuta psicologica nelle partite fondamentali. Per continuare a vincere anche in futuro».