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 2014  marzo 20 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - RENZI CHE VUOL SFONDARE IL 3%


Gli 80 euro in busta paga, i 10 miliardi per rilanciare la domanda di 10 milioni di italiani. Soprattutto l’innalzamento del disavanzo: il corrispondente da Bruxelles di Radio Radicale, David Carretta, chiede al presidente della Commissione e a quello del Consiglio Ue se - come crede il nostro premier - queste siano armi contro l’euroscetticismo, in vista delle elezioni europee. La risposta, in sguardi complici e sorrisini. Diversi nei contenuti eppure inevitabilmente simili, nella memoria, a quelli di Merkel e Sarkozy per Berlusconi, due anni e mezzo fa. Van Rompuy aggiungerà poi: "Non ho ancora avuto occasione di parlare direttamente con Renzi, lo farò domattina per capire esattamente quale sia la natura delle sue dichiarazioni". Ma in Europa "tutti devono continuare ad applicare le regole convenute". E Barroso, ribadendo lo stesso concetto, farà riferimento al "programma ambizioso di Renzi"

REPUBBLICA.IT
BRUXELLES - Comincia con uno scontro a distanza - e prosegue con un tweet di carattere ufficiale che tende a esprimere piena condivisione - il confronto tra Matteo Renzi e Jose Manuel Barroso. Sul piatto, il tema delle riforme e del rispetto dei vincoli europei. Una questione su cui il premier durante il consiglio Ue dirà: "Noi rispettiamo tutti gli impegni, ma l’Europa risolva i problemi".
Il capo del governo, infatti, arriva stamani a Bruxelles e tra l’Italia e l’Ue partono subito scintille sui ’paletti’ di bilancio. Dopo aver ricevuto Regioni e sindaci a Roma, la giornata del premier prosegue in Belgio con la partecipazione al vertice del Pse, il Partito socialista europeo. Al termine, l’appuntamento - durato circa un’ora e mezza - con il presidente della Commissione Ue, il quale prima dell’incontro non ha voluto commentare i propositi di politica economica di Renzi che nei giorni scorsi aveva ventilato la possibilità di portare il deficit dal 2,6 al 3% del Pil per coprire i tagli delle tasse promessi.
Tuttavia, interpellato sulla questione, Barroso ha detto di avere la stessa posizione espressa dal presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy: "Tutti in Europa devono rispettare le regole concordate". Ma lo sguardo di intesa intercorso fra Barroso e Van Rompuy prima di rispondere alla domanda (video) è stato sufficiente a rievocare l’ammiccamento con cui, nell’ottobre del 2011, l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel avevano accolto una domanda sulla fiducia che riservavano al presidente Silvio Berlusconi, dimissionario di lì a poco.
Alle parole di Barroso ha risposto pressoché in diretta lo stesso Renzi: "L’Italia è uno dei Paesi che rispetta tutti vincoli" (video). Poi, però, una volta concluso il faccia a faccia, il premier ha commentato: "L’incontro è andato bene, molto bene".
Congedato Renzi, è stato lo stesso Barroso a postare una foto su Twitter e a fornire una rassicurazione di carattere ufficiale.
Nel corso della giornata non sono mancati alcuni ’siparietti’. Passando davanti ai giornalisti che lo attendevano, Renzi, accompagnato dal presidente della Commissione Ue, si è fermato qualche secondo davanti alle bandiere italiana ed europea, e indicando il bottone della giacca ha detto con un sorriso: "Stavolta non ho sbagliato bottone", con un chiaro riferimento a quanto successo durante il suo incontro lunedì con la Merkel.
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Il Renzi show è proseguito anche nell’incontro a porte chiuse, ma in parte ripreso dalle telecamere, durante il quale non ha lesinato battute. Sedendosi accanto a Barroso, Renzi ha detto scherzando: "Vado a destra, non è un problema" e si è accomodato sulla poltrona alla destra di Barroso, che è un esponente del Ppe.
Terminato il colloquio, Renzi ha attraversato la strada per entrare nel palazzo del Consiglio e partecipare al vertice dei capi di Stato e di governo Ue, introdotto dal consueto intervento del presidente del Parlamento europeo.
"Con Barroso - ha detto Renzi al debutto nel Consiglio Ue - abbiamo parlato di riforme, non di zero virgola" sui margini di manovra italiani. "Stiamo rivoluzionando e cambiando l’Italia, le coperture sono fuori dubbio, chi non si fida delle parole del primo ministro aspetti il Def", vale a dire il Documento di economia e finanza da approvare il prossimo 10 aprile e da inviare a Bruxelles. E poi: "L’Italia non viene in Europa come uno studente fuori corso, ma come un Paese fondatore che rispetta i vincoli, per questo faccio fatica a capire le polemiche". Perché secondo il premier, le riforme che puntano a "cambiare il Senato, il mercato del lavoro, la pubblica amministrazione e la creazione di un’autorità anticorruzione, sono più importanti delle discussioni su uno 0,2% di deficit". E sul ruolo dell’Europa: "Non è la causa dei nostri problemi ma la possibile soluzione".
Dalla parte di Renzi si è schierato Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento: "L’Ue ha bisogno di un’Italia forte e l’Italia ha bisogno di un’Ue solidale, che vuol dire sostenere il Paese a uscire dalla crisi", e "io lotto con Renzi per questo", che "spero ce la faccia con le riforme". Per Schulz, il rispetto dei parametri di Maastricht non è in discussione ma bisogna discutere se gli investimenti per la crescita vadano o meno contabilizzati nel debito, e questo "è un punto che Mtteo Renzi ha giustificato molto bene".
La querelle iniziale Italia-Ue, tuttavia, ha provocato ulteriori reazioni in Italia. Il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini scrive su Facebook rivolgendosi principalmente a Barroso ma anche a Van Rompuy.
Secondo quanto anticipato dal presidente delle Regioni Vasco Errani, il premier chiederà a Bruxelles che i fondi strutturali vengano esclusi dai vincoli posti dal Patto di stabilità. Lo ha detto il presidente della Conferenza delle Regioni, Errani appunto, al termine del vertice a palazzo Chigi sulle Riforme del titolo V e del Senato.
Di sicuro c’è che entro marzo il governo vuole chiudere la partita delle due riforme. Per farlo, terrà conto delle richieste presentate oggi dai presidenti delle Regioni e dai sindaci che hanno condiviso un documento. Prima di partire per il Consiglio europeo di Bruxelles, Renzi ha illustrato la rotta ai rappresentanti dei territori e chiesto alle due delegazioni "un coinvolgimento in prima persona nel processo di trasformazione delle istituzioni".

PEZZO DI REPUBBLICA DI STAMATTINA
QUELLO può essere il momento della verità, in quel documento potrei portare il deficit dal 2,6 al 3%», spiega Matteo Renzi a chi gli chiede numi su come intende trovare le coperture delle riforme e del taglio delle tasse. Al Tesoro intanto allacciano le cinture di sicurezza, si preparano a ogni evenienza, anche a quella che i collaboratori del ministro Pier Carlo Padoan definiscono «una forzatura delle regole europee», una sfida all’Unione «difficile ma non impossibile da vincere». I rischi dell’operazione sono alti, ma uno stretto collaboratore del premier assicura, «siamo pronti a litigare». Non sarà facile sfidare il Fiscal Compact e i suoi rigidi parametri che impongono non solo di restare sotto il 3%, ma di ridurre il deficit strutturale in modo da far calare il debito.
Ma Renzi potrebbe tirare dritto. Nonostante l’avvertimento ricevuto lunedì a Berlino dalla Merkel: «Matteo, non devi rispettare solo il tetto del 3%, devi guardare anche al Fiskalpakt che non possiamo derogare appena entrato in vigore, è la nostra garanzia di credibilità di fronte ai mercati», ha spiegato la Cancelliera al premier nel chiuso del suo studio. Eppure il premier ieri in Parlamento ha alzato il tiro: se fino a qualche giorno fa ipotizzava di alzare il disavanzo al 2,8%, ora si spinge a parlare del tre tondo tondo. Un rischio perché in corso d’opera i conti potrebbero risultare peggiori del previsto e mandare l’Italia sopra il limite invalicabile di Maastricht condannandola a una nuova procedura per deficit eccessivo che di fatto ne limiterebbe pesantemente
la sovranità nelle scelte di politica economica. Ma anche restando sotto, navigando al pelo, i rischi di una controffensiva dell’Unione (anche in questo caso è prevista una procedura per violazione del Fiscal Compact) sono altissimi.
La partita Renzi la giocherebbe inserendo la variazione del bilancio nel Def e la farebbe poi votare dalle Camere. Non solo perché così prevedono le nuove regole europee incorporate nella legge italiana, ma anche per avere una forte spinta politica da spendere nel successivo negoziato con Bruxelles. Ci sarebbero poi le argomentazioni economiche. Primo, la maggiore spesa verrebbe giustificata con il Pnr, il Piano di riforme nazionali che viene notificato alla Commisdo,
sione europea insieme al Def. Documento che illustrerebbe la portata delle riforme in cantiere, le stesse che l’Unione ci chiede da anni, e la necessità di coprirle solo nei primi mesi facendo più deficit. Poi, dal 2015, le coperture sarebbero strutturali grazie alla spending review. Anche perché, è la convinzione di Renzi e Padoan, «se non rilanci il Pil non abbatterai mai il debito », come invece ci impone, e con cifre monstre, il Fiscal Compact dal prossimo anno. E il Pil lo fai crescere, ragionano sempre a Palazzo Chigi, tagliando le tasse e facendo le riforme. Ergo, un po’ di deficit sarebbe un buon investimento. Argomenti da spendere a Bruxelles, senza certezza di fare risultato.
A fare riflettere Renzi sulla possibilità
concreta di alzare subito il disavanzo sono state anche le parole di Massimo D’Alema che l’altro ieri alla presentazione del suo libro insieme al premier aveva detto: «Se alziamo il deficit riprendono la procedura d’infrazione? Tanto la Commissione è in scadenza, ne discuteremo con quella nuova...». In realtà il rischio è più immediato rispetto a novembre, nel governo si calcola che la Commissione, per tempi tecnici e con il rischio che alle europee i populisti facciano il pieno, non dovrebbe intervenire prima del voto del 25 maggio. Ma subito dopo, ai primi di giugno, anche se in scadenza, potrebbe punire severamente l’Italia. Un primo test sull’atteggiamento di Bruxelles il premier lo avrà domani quan-
prima del summit europeo dedicato ai temi economici e all’Ucraina, incontrerà il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso. Per fare il bis, venerdì, con il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy.
Resta la via più ortodossa da percorrere, quella che al Tesoro - dove Padoan è comunque pronto a seguire Renzi ma facendo deficit «con parsimonia» visto che oltre alla Ue anche i mercati potrebbero reagire - in fondo preferirebbero. Non sfidare Bruxelles, lasciare i conti come stanno e coprire il taglio delle tasse con la spending. «Ma siamo pronti a sposare una diversa scelta politica del premier», assicurano consapevoli che alcuni tagli previsti dal documento del commissario Cottarelli hanno un costo politicamente altissimo, come gli esuberi degli statali. La via ortodossa prevederebbe di chiedere a Bruxelles solo in autunno, quando il governo avrà aumentato la propria credibilità grazie alle riforme, la possibilità di alzare il deficit con una serie di investimenti che generano crescita da identificare con la Commissione. Ma anche questa possibilità potrebbe essere preclusa, come testimonia un documento segreto dell’Eurogruppo che circola in queste ore tra le capitali nel quale si sottolinea che l’Italia, già ora, «non rispetta pienamente l’aggiustamento strutturale minimo» dei conti, tanto per il 2014 quanto per il 2015. Il che significherebbe nessun margine per la flessibilità. Bisognerebbe ingaggiare comunque un negoziato con Bruxelles per ammorbidire i criteri per accedere alla clausola. E allora, riflettono Renzi e i suoi, perché non dare battaglia subito?

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Dopo l’apprezzamento della Merkel, Renzi ottiene anche l’ok del presidente della Commissione Ue Barroso: «Incontro molto positivo» ha scritto il portoghese in un tweet dal suo account ufficiale «L’Europa sosterrà le riforme in Italia». I due si sono visti a margine del Consiglio europeo di Bruxelles in un clima di apparente tensione dovuto alle anticipazioni delle ultime ore fatta da Vasco Errani, presidente della Conferenza della Regioni, secondo cui l’Italia avrebbe chiesto un allentamento dei limiti di bilancio. Barroso ha invitato l’Italia a «rispettare gli impegni». Scintille superate dopo il faccia a faccia che lo stesso Renzi ha giudicato «molto positivo». Il premier ha detto di «non capire le polemiche» ma ha spiegato che l’Europa «deve risolvere dei problemi» rivendicando che «l’Italia non viene in Europa come uno studente fuori corso».
RENZI: «L’UE SIA SOLUZIONE NON PROBLEMA»
Intrattenendosi con i giornalisti a Bruxelles il premier ha spiegato di essere felice «che l’Europa apprezzi il processo delle nostre riforme». E sul ruolo dell’Europa: «Non è la causa del problema ma la possibile soluzione» ha dichiarato spiegando che «c’è bisogno di un lavoro concreto sulle riforme che stiamo facendo». Riguardo al nodo del tetto di bilancio: «Noi rispettiamo tutti i vincoli e quindi talvolta faccio fatica a capire le polemiche». Precisando i temi trattati nell’incontro con il commissario. «Con Barroso abbiamo parlato di riforme, non di zero virgola» sui margini di manovra italiani»
LE ANTICIPAZIONI DI ERRANI
A sollevare il tema dello sforamento del tetto di spesa era stato il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, al termine del vertice a palazzo Chigi sulle Riforme spiegando che Renzi avrebbe chiesto l’esclusione dei fondi strutturali dai vincoli del Patto di stabilità. «Il governo - ha aggiunto Errani - porrà in sede europea il tema dell’investimento dei fondi strutturali fuori dal Patto, poi vedremo quale esito avrà. Porrà questa questione così come aveva fatto il precedente governo». La frenata di Barroso non si era fatta attendere: «Il rispetto degli impegni presi» in sede europea è «fondamentale» per la fiducia nell’Italia e nell’Ue aveva spiegato il presidente della Commissione Ue precisando però di non poter fare commenti sulle dichiarazioni di Renzi sul deficit «prima di discuterne con lui». «Ho comunque preso atto - ha detto Barroso rispondendo a una domanda sull’ipotesi di incremento del deficit italiano - delle dichiarazioni fatte a Berlino» con cui il presidente del Consiglio «si è impegnato a un programma molto ambizioso di riforme e allo stesso tempo ha anche detto che avrebbe rispettato tutti gli impegni a livello europeo. Credo che questo sia fondamentale per la fiducia nell’Italia e per tutta l’Ue».Da parte sua Renzi aveva detto che «l’Italia sta rispettando tutti i vincoli, quindi è uno dei Paesi che i parametri li rispetta»
L’AFFONDO DI SALVINI
«Gli conviene non venire in Italia». Così su Twitter il segretario federale della Lega Nord, Matteo Salvini, sulle dichiarazioni del presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso. «Barroso e Van Rompuy impongono all’Italia di «rispettare gli impegni. Consiglio ai due: non fatevi vedere in Italia, non sareste ben accetti», scrive Salvini sul suo profilo Facebook.
FASSINO: «ESCLUDERE ANCHE INTERVENTI PER SCUOLA E DISSESTO»
Infine Piero Fassino, interpellato dai giornalisti al termine dell’incontro a palazzo Chigi tra governo e autonomie locali sul tema delle riforme, ha confermato che oggi a Bruxelles il premier chiederà «che anche gli investimenti per l’edilizia scolastica e il dissesto idrogeologico non siano conteggiati nel Patto di stabilità. Questo significa aumentare la massa di investimenti di cui abbiamo bisogno». In una nota di Palazzo Chigi si legge che il premier Matteo Renzi ha chiesto all’Anci e ai sindaci che hanno preso parte all’incontro sulla riforma del Titolo V e del Senato un coinvolgimento in prima persona nel processo di trasformazione delle istituzioni. Il contributo normativo sarà valorizzato nel testo della riforma.

STEFANO LEPRI SULLA STAMPA


Conti pubblici,
il rischio
dell’autogol

Stefano Lepri

Nelle attuali condizioni in cui si trova l’Italia, il limite del 3% al deficit può essere definito «anacronistico» soltanto in un senso opposto a quello che intende Matteo Renzi.
Non è troppo basso: è invece troppo alto per assicurare un calo duraturo del debito pubblico italiano. Cosicché continuare a proclamare che vorremmo oltrepassarlo rappresenta, all’estero, un vero autogol.
Nel breve termine, per uscire dal pantano in cui siamo, è ragionevole invocare sul deficit qualche spazio di manovra in più. Se si avviano riforme importanti, che all’inizio comportano anche effetti negativi, può essere legittimo derogare alle regole (assai più dure del 3% di deficit) stabilite sia dal nuovo articolo 81 della nostra Costituzione sia dal «Fiscal Compact» europeo.
Ma nel medio periodo occorre che il debito non continui ad aumentare. Basta una aritmetica elementare per arrivarci. Con un debito di 2070 miliardi e un prodotto lordo di 1560, se in un anno la prima delle due grandezze cresce di 46,8 miliardi (tre centesimi di 1560) per evitare che il rapporto salga la seconda deve salire di almeno il 2,3%.
Così com’è l’economia italiana ha, secondo i calcoli economici correnti, un potenziale di crescita tutt’al più dello 0,5% annuo.
Sommando questa crescita reale e l’aumento dei prezzi, il prodotto lordo può dunque salire al massimo di circa 2,5 punti (0,5 più l’obiettivo Bce del 2% di inflazione) in una media pluriennale. In questo modo il debito tutt’al più scenderebbe di un’inezia.
Conteggi di questo tipo preoccupano gli altri Paesi e le istituzioni internazionali. Nel mondo c’è abbondanza di capitali, dunque in linea di principio spazio per finanziare i debiti; ma proprio questa abbondanza moltiplica l’instabilità, fa spostare gli investitori in modo volubile alla ricerca di maggiori rendimenti. Oggi l’Italia torna ad attirare, domani chissà.
E poi, in nome di che cosa si può rivendicare al nostro Stato la facoltà di fare più debiti, se è dilagata nel Paese la convinzione che i debiti precedenti li abbia accumulati spendendo male? Nelle proposte formulate dal commissario alla spesa Carlo Cottarelli c’è tutto il necessario per riesaminare come la nostra amministrazione pubblica impiega il denaro dei contribuenti.
Però, guarda caso, appena si arriva al concreto molti dei fautori dei tagli alle spese si dileguano. Appena si capisce che occorre togliere qualcosa a qualcuno, affrontare questioni impopolari, prendere di petto interessi consolidati e radicati nella nostra società, ecco si fa ricorso a ben noti espedienti retorici: «ci vuole ben altro», «sono tagli rozzi», «rinunceremmo all’indispensabile».
Naturalmente le scelte, nel vasto menu proposto, dovrà compierle la politica. Ma intanto occorre dire che, dietro il gergo tecnico del rapporto, alcuni dei problemi cruciali sono stati posti. Innanzitutto, quello della corruzione. No, la parola non compare, nel rapporto consegnato al Parlamento. Ma di questo si parla, in almeno tre casi importanti.
Si tratta di corruzione burocratica, oltre che di semplice spreco per inettitudine o frammentazione di acquisti, quando si propone una «drastica riduzione del numero di centrali appaltanti». Si tratta di clientelismo parlamentare, collegi elettorali o favori a lobbies, quando si suggerisce il «taglio dei microstanziamenti». Si tratta del malcostume della politica locale quando si ipotizza di chiudere le società partecipate da Comuni e Regioni che non svolgono servizi pubblici. Di questo è bene discutere, ancor più che degli aerei e delle portaerei, o di altre spese di prestigio da rimandare a tempi migliori: così si può riconquistare la fiducia dei cittadini nella politica.

Renzi riconosce che l’Italia «i compiti a casa li ha fatti, i governi precedenti non sono stati lì a girarsi i pollici, questo è un paese di cui essere orgogliosi che non ha paura di confrontarsi con nessuno sui dati. Certo abbiamo la zavorra del debito, cresciuto anche perché noi diamo soldi al Fondo Salva Stati, ma anche un grande avanzo primario. Non dimentichiamo mai che l’Italia dà all’Ue più di quello che economicamente riceve, siamo un contributore attivo».
Insomma, Renzi rilancia i suoi cavalli di battaglia di questi giorni, ma con un piglio che perfino i più critici tra i bersaniani gli riconoscono. «Nei prossimi otto mesi ci sarà un passaggio elettorale rilevante, avremo il cambiamento della commissione Ue e il semestre a cui Letta, che saluto e ringrazio, ha dato importanza e stimolo. Il rischio di una deriva tecnocratica e burocratica non lo avverte solo questo governo e questo Parlamento, ma è insito nell’animo e nel cuore di chi da anni si batte per un’Europa degna di questo nome». Numeri risicati per l’ora tarda del voto finale in Senato: 135 voti sì e 92 contrari. Le bordate arrivano solo da Lega e 5 Stelle, perché Forza Italia pur non votando la mozione di maggioranza augura a Renzi «buon lavoro». È Paolo Romani a lanciare il messaggio: «Siamo d’accordo sulla sua analisi e ci auguriamo che il comportamento italiano sia conseguente alla cultura e alla forza che mi pare il suo governo sia in grado di esprimere in Europa».

«Non è necessario uno sforamento del 3% ma il rispetto del 3% con una eventuale, possibile, modifica dal 2,6 al 3%». È un premier quantomai combattivo ma rassicurante quello che si presenta alle Camere per arrivare con l’investitura solenne di un voto al Consiglio europeo di oggi e domani a Bruxelles. Un premier che vuole rispettare le regole europee battendosi per cambiarle perché sorpassate dalla storia. Che cerca anche di placare le ansie dei sindacati e le proteste delle opposizioni già schierate contro i possibili tagli alla spesa pubblica. Ma che rivendica uno per uno i punti forti di un paese che «può andare a testa alta», conscio che la sfida delle europee si giocherà su un terreno ostile per l’onda lunga dell’antieuropeismo figlio della crisi economica. Per questo Renzi chiede nella sua replica al Senato «l’impegno a non vivere le Europee come l’ennesimo sondaggio sui rapporti di forza nazionali, ma come l’occasione per raccontare ai cittadini che non c’è un mostro brutto a cattivo fuori di qui che ci costringe a fare ciò che viene chiesto, ma come una grande prospettiva che veda i politici coraggiosi interpreti del domani e non nostalgici archivisti del passato».
Renzi non ha remore a rivolgersi ai 5 Stelle, ammettendo che il rapporto deficit-pil del 3% «è un parametro anacronistico», ma lo stesso va rispettato per poter essere credibili. O a strattonare i leghisti che lo accusano di fare televendite e di andare col cappello in mano in Europa, accusandoli di «umiliare quegli imprenditori del Nord-Est, punto di forza del paese e che noi andiamo a rappresentare». Prova a smontare in anticipo le barricate di chi già teme tagli di 85 mila dipendenti pubblici o misure indigeste, riconoscendo al Parlamento un ruolo primario, quando dice «abbiamo deciso di dare subito 10 miliardi di euro per restituire speranza e fiducia agli italiani, presenteremo la spending rewiev alle Camere, il commissario ci ha fatto un elenco, ma toccherà a noi politici decidere. Come in famiglia se non ci sono abbastanza soldi sono mamma e papà che decidono cosa tagliare e cosa no». O quando più tardi al Senato ripete che sul lavoro si è scelta la strada di una legge delega e non di un decreto per consentire al Parlamento di discutere, «anche se con tempi certi», tiene a chiarire.
Ma prima ancora che tutto ciò vada in scena, c’è anche un Renzi che a sorpresa tende una mano al suo predecessore, Enrico Letta, venuto ad ascoltarlo alla Camera ed entrato in aula consegnando solo una battuta, «tutto ok, guardiamo avanti». Una mano tesa ad alto valore simbolico, «aspetta che voglio salutare Enrico», dice ad Emanuele Fiano con cui sta discorrendo in aula - con un gesto apprezzato dall’ex premier che risponde con un sorriso. E che incassa inaspettate «carezze» in codice, come quando Renzi riconosce che l’Italia «i compiti a casa li ha fatti, i governi precedenti non sono stati lì a girarsi i pollici, questo è un paese di cui essere orgogliosi che non ha paura di confrontarsi con nessuno sui dati. Certo abbiamo la zavorra del debito, cresciuto anche perché noi diamo soldi al Fondo Salva Stati, ma anche un grande avanzo primario. Non dimentichiamo mai che l’Italia dà all’Ue più di quello che economicamente riceve, siamo un contributore attivo».
[...] Il rischio di una deriva tecnocratica e burocratica non lo avverte solo questo governo e questo Parlamento, ma è insito nell’animo e nel cuore di chi da anni si batte per un’Europa degna di questo nome»
(DAL PEZZO DELLA STAMPA)

20 marzo 2014Il premier Matteo Renzi chiederà oggi a Bruxelles che i fondi strutturali vengano esclusi dai vincoli posti dal Patto di stabilità. Lo ha detto il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, al termine dell’incontro con il Governo. "Il Governo porrà la questione a Bruxelles, come già fatto dal precedente Esecutivo, poi vedremo quale sarà l’esito", ha aggiunto Errani, sulla questione della richiesta in sede europea di porre gli investimenti dei Fondi strutturali fuori dal Patto di stabilità.
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Barroso è intervenuto dopo le parole di Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, che ha annunciato l’intenzione di Renzi di chiedere nel corso del Consiglio europeo di giovedì che i fondi strutturali vengano esclusi dai vincoli posti dal Patto di stabilità. Lo sganciamento dal patto interno, ha precisato il presidente il presidente dell’Anci Piero Fassino, riguarderà “gli investimenti per l’edilizia scolastica e il dissesto idrogeologico”. “Questo - ha proseguito il sindaco di Torino – significa aumentare la massa di investimenti, di cui abbiamo bisogno. C’è una condivisione piena di queste proposte. Si è registrata una grande sintonia”.