Ignazio Ingrao, Panorama 20/3/2014, 20 marzo 2014
MONSIGNOR VIGANÒ E MISTER HYDE
Nei primi mesi del 2012 era salito agli onori delle cronache come l’eroe di Vatileaks, il moralizzatore allontanato dalla Curia perché puntava il dito contro la corruzione e gli sprechi. Le lettere di monsignor Carlo Maria Viganò a Benedetto XVI, diffuse dal maggiordomo Paolo Gabriele, sono un atto d’accusa contro l’immoralità annidata nel palazzo apostolico e contro il cardinale Tarcisio Bertone, che lo ha spedito nunzio a Washington. E ora monsignor Viganò aspetta di prendersi la rivincita, se è vero che Papa Francesco starebbe pensando di assegnargli proprio quell’incarico che Bertone gli aveva prima promesso e poi negato: presidente del Governatorato della Città del Vaticano e, presto, cardinale. O in alternativa, consulente per le finanze papali.
Ma negli atti giudiziari della procura dei Grigioni, in Svizzera, Panorama ha scoperto un diverso, inatteso volto della «colomba» di Vatileaks. Nel 2012 Rosanna Viganò ha presentato infatti alle autorità elvetiche una denuncia-querela contro il monsignore, suo fratello maggiore: a partire dal 1973, e fino agli anni Ottanta, Rosanna sostiene di avere consegnato al prelato 900 milioni di lire, frutto dell’eredità paterna. E rivela che il monsignore, allora segretario di nunziatura a Baghdad, avrebbe portato il denaro in Svizzera approfittando della sua valigia diplomatica, per depositarlo presso il Credit Suisse di Lugano. Stando alle carte giudiziarie, con quel denaro nel 1983 Carlo Maria Viganò acquistava un appartamento a San Bernardino (nel cantone dei Grigioni), per conto della sorella, pagandolo 430 mila franchi svizzeri. Ma poi, con il consenso di Rosanna, si intestava l’immobile poiché, essendo cittadino vaticano, non avrebbe pagato tasse e la sorella non sarebbe stata costretta a dichiararlo al fisco italiano.
Negli anni successivi i rapporti tra Carlo Maria, divenuto nel frattempo arcivescovo, la sorella Rosanna e il terzo fratello Lorenzo, anch’egli sacerdote, si sono però guastati, anche per ragioni economiche. Fino a giungere a una clamorosa rottura nel 2012, quando il monsignore (proprio mentre a Roma esplode lo scandalo Vatileaks), all’insaputa di Rosanna, vende l’immobile di San Bernardino e trattiene per sé il denaro.
È a quel punto che Rosanna Viganò si rivolge alle autorità elvetiche, e denuncia tutto l’accaduto. La vicenda si è chiusa il febbraio scorso con una transazione tra le parti in causa: il nunzio ha versato 180 mila franchi svizzeri al legale della sorella, Roberto Keller, che a sua volta li ha girati in beneficenza all’Ospedale della Consolata di Ikonda, in Tanzania, dove lavora come volontaria una delle figlie di Rosanna. Altri 10 mila euro sono stati invece restituiti dal prelato alla sorella, come parziale risarcimento per il mobilio che si trovava nella casa venduta a sua insaputa. A seguito di questa transazione, Rosanna ha ritirato la denuncia contro il fratello.
Resta in piedi invece, di fronte alle autorità giudiziarie italiane, il contenzioso tra monsignor Carlo Maria e il fratello sacerdote, don Lorenzo, sempre per motivi ereditari. Tra le ragioni che il prelato aveva addotto per non essere trasferito a Washington dal cardinale Bertone, nell’ottobre 2011, c’era anche quella di voler stare accanto al fratello Lorenzo, colpito da ictus e costretto su una sedia a rotelle. In realtà don Lorenzo viveva allora a Chicago e i due sacerdoti già da anni non si parlavano più a seguito di altre due denunce penali (dove si ipotizzavano l’appropriazione indebita e l’estorsione) e tre procedimenti civili intentati da don Lorenzo contro il fratello monsignore, ai quali Carlo Maria aveva risposto con una denuncia contro ignoti per circonvenzione di incapace. Come non bastasse, si trasforma in un giallo economico-giudiziario anche una terza vicenda della famiglia: quella del testamento del padre dei Viganò. Il monsignore sostiene che il documento non esista, mentre la sorella lo accusa di tenerlo nascosto.
Il denaro, insomma, è stato una vera maledizione per i Viganò. Figli di un ricco industriale dell’acciaio, gli otto fratelli Viganò, originari di Varese, sono andati d’accordo fino alla morte della mamma, nel 1981. Da allora si sono affidati a Carlo Maria, già all’epoca brillante monsignore in carriera, per mettere al sicuro il denaro ricevuto dal papà.
Ecco, testualmente, quanto ha raccontato Rosanna alle autorità elvetiche il 12 novembre 2013: «Carlo Maria Viganò è diventato, circa nel 1973, segretario della nunziatura a Baghdad. Da quel momento egli era in possesso del passaporto diplomatico. In Italia erano i tempi delle Brigate rosse. Si era quindi deciso di trasferire i nostri capitali in Svizzera. Io ho dato, in presenza di mia madre, a Carlo Maria i miei soldi, che li ha messi in una cartella molto usata, per poi depositarli presso il Credit Suisse a Lugano sul conto rubrica Omnes. Gli ho dato circa 500 milioni di lire. Poi gli ho dato due tranche successive di 200 milioni di lire ciascuna. In totale quindi circa 900 milioni di lire. Carlo Maria mi disse che i miei soldi sarebbero stati messi su una rubrica denominata Cioppì, nomignolo da lui dato a mia figlia. Le ricevute dei soldi rimanevano in banca come concordato con i fratelli. So che Carlo Maria ha pure versato dei soldi su un conto presso l’Ubs. Si tratta di soldi, o parte dei soldi, trasferiti dai nostri fratelli dal Banco ambrosiano alla Banca del Gottardo».
L’avvocato Keller, legale di Rosanna, nella denuncia presentata alla procura dei Grigioni il 18 ottobre 2012 è ancora più esplicito: «Carlo Maria Viganò ispirava trasferimenti di denaro all’estero e più precisamente in Svizzera. In questi termini, egli agì da spallone, servendosi anche del passaporto diplomatico. Fu così che anche Rosanna Viganò gli affidò ingenti somme di denaro. L’attività di Carlo Maria Viganò nel trasferire ingentissime somme di denaro dall’Italia alla Svizzera era febbrile. In effetti, sfruttando il corriere diplomatico, Carlo Maria Viganò faceva confluire su appositi conti cifrati presso le banche Ubs e Credit Suisse di Lugano, cospicue somme. A Rosanna, Carlo Maria Viganò non fornì mai precise indicazioni su questi depositi “calderoni”, né sulla loro consistenza e nemmeno sulla loro chiara suddivisione».
Con una parte di quel denaro, nel 1983, Rosanna acquista l’appartamento a San Bernardino e l’intesta al fratello monsignore, ma nel 2012 scopre che questi l’ha venduto a sua insaputa. Nella memoria di difesa, presentata alle autorità elvetiche il 31 luglio 2013, monsignor Viganò tace sui trasferimenti di valuta all’estero, ma replica alla sorella di essersi «limitato a cedere beni immobili di sua esclusiva proprietà, in relazione ai quali Rosanna Viganò non ha mai avuto (né poteva vantare) diritti e/o pretese».
Contattato da Panorama per sapere quale fosse la sua versione dei fatti, monsignor Viganò ha preferito non rispondere. Intanto c’è qualcosa che addolora Rosanna assai più delle questioni economiche: «Da circa 6 anni non ho più contatti con mia figlia Chiara, che vive negli Stati Uniti. Fu Carlo Maria a convincerla a sposare un suo primo cugino, cioè il figlio di mia sorella, senza alcuna dispensa, convincendoci che non vi sarebbero stati problemi per i figli. Poi l’ha convinta a mettersi contro di me. Mi ha tolto ciò a cui tenevo di più».
Chissà se il monsignore, da Washington, raccoglierà l’accorato appello della sorella e se, alla fine, le questioni economiche saranno messe da parte per riunire la famiglia. Sarebbe forse il gesto che Papa Francesco apprezzerebbe di più.