Gustavo Piga, Panorama 20/3/2014, 20 marzo 2014
TUTTE LE MAGIE DI RENZI
Il gioco della spending review è complesso. Più che a una partita di poker assomiglia a una di Risiko, dove l’accumulo paziente di truppe nelle varie aree geografiche di cui è composto il tavolo toglie ossigeno al nemico fino a farlo capitolare. Ogni area merita attenzione, alcune più delle altre, il successo in una sostenendo le possibilità di vittoria nell’altro.
Matteo Renzi sembra muoversi agilmente sul tavolo della «spending», come la chiama lui. Alcune mosse che pare voler fare rappresentano delle precondizioni essenziali per avanzare. Al contrario dei governi precedenti ha messo nella semantica della propria azione di governo (ma sì, anche nella presentazione con le sue slide) l’intenzione di vincere questa battaglia. Ricordo ancora quando Letta non menzionò nemmeno le parole «spending review» nel suo discorso di insediamento al Parlamento: mi dissi che l’apparato burocratico-amministrativo della cosa pubblica avrebbe annotato tale dimenticanza e l’avrebbe riversata a valle su di una indifferenza di fondo per un obiettivo così importante.
Così come tutti al Tesoro si devono essere accorti di quanto l’incaricato alla spending di Mario Monti, Enrico Bondi, fu lasciato solo in una grande stanza, senza accesso a quella dei bottoni della Ragioneria generale dello Stato che controlla i dati. Il suo potere fu dimezzato in un batter d’occhio da un simile distratto isolamento. Il fatto che Renzi non molli la preda nei suoi discorsi è elemento che incide sulle aspettative delle persone, specie quelle che lavorano nell’amministrazione pubblica, rendendole più timorose e pronte a individuare gli sprechi per non essere sgridate dal «capo».
Il volere ricondurre a Palazzo Chigi gli uffici guidati dal capo della spending, Carlo Cottarelli, danno una qualche credibilità ai discorsi di Renzi, mostrando a tutti la sua intenzione di essere percepito come il solo responsabile di qualsiasi successo o fallimento, una forte motivazione al fare ed al fare bene su questo tema, che motiva anche i suoi sottoposti. Queste precondizioni per il successo vanno ora condite con ulteriori elementi, appartenenti meno alla sfera comunicativa e organizzativa e più legati all’operatività del progetto. L’esercito deve essere messo in marcia. Prima di tutto, Cottarelli non va lasciato solo ma deve avere al suo fianco una squadra potente di funzionari capaci, ben pagati, motivati.
A oggi Cottarelli ha potuto contare sul contributo a tempo parziale, senza alcun bonus, di tante persone di buona volontà che lavorano in altri uffici dell’amministrazione pubblica. Cottarelli è l’unico del team della spending che viene pagato per quanto fa. Un approccio ridicolo, basato sull’idea che sul tema degli sprechi si possa avere un «free lunch» che non esiste in nessun altro settore dell’attività economica, ovvero che si possa ottenere qualcosa senza fare investimenti, senza spendere. Cottarelli ha bisogno a tempo pieno di funzionari esperti di come si combatte la mafia, la corruzione, la collusione, l’incompetenza, i fattori che generano sprechi in quel mondo degli appalti e del personale che così tanto delle nostre tasse consumano. E devono essere ben pagati per il loro lavoro. Questi sono investimenti che ridanno mille volte quanto sono costati e vanno intrapresi senza timore di spendere.
D’altro canto non è ovvio che chi dice di voler spendere bene sappia anche selezionare altrettanto bene il personale per garantire la bontà di questa spesa. Sul fronte degli strumenti a Carlo Cottarelli va dato anche un database degli appalti (che rappresentano il 15 per cento del Pil e il 30 per cento del totale della spesa pubblica) in tempo reale, che a tutt’oggi non c’è. A tutt’oggi Renzi, se dovesse chiedere chi spende quanto, su cosa, quando, riceverebbe in cambio un sonoro silenzio. È impossibile non dotarsi di una infrastruttura informatica che garantisca una simile disponibilità di dati.
Non avendo ancora tutto ciò, non per colpa sua, a Renzi ci viene automatico di dire che il rischio più grande che corre è quello di vendere risultati che oggi non può ottenere. Un grave danno è stato già inferto dalla confusione sulle cifre delle risorse disponibili per il 2014 dalla spending review, con Cottarelli che cita in Commissione 3-5 miliardi di sprechi e il premier 7. Le cifre pubblicate dai giornali hanno fatto rapidamente sparire ogni riferimento ai 3 miliardi di Cottarelli ma è facile ritrovarli: dai 7 totali vanno levati i contributi temporanei dalle pensioni di 1,4 miliardi, e siamo già a 5,6. Calcolando che il decreto uscirà ad aprile e non potrà che essere operativo prima di giugno, facilmente si arriva alla metà, ovvero ai famosi 3 miliardi per il 2014 (anche se martedì 18 marzo Cottarelli ha detto che sono possibili tagli per 5 miliardi in 8 mesi). E siamo a mio avviso ancora nel reame dell’ottimismo: dubito fortissimamente che a primavera ormai avanzata una spending review seria appena avviata generi non 3 ma 1 miliardo (per di più, come ha sottolineato Cottarelli martedì 18 marzo, soldi destinati soprattutto alla riduzione del deficit e non delle tasse). Le prime gare di appalto da razionalizzare verranno aggiudicate in autunno, troppo tardi per incidere sui numeri di quest’anno. E così per i tagli dei trasferimenti alle imprese, altra voce «corposa» nelle slide di Cottarelli. L’impressione è che se cifre significative saranno ottenute, proverranno in larga parte da tagli lineari che incidono sulla domanda pubblica che viene rivolta alle imprese private, che non vinceranno dunque più le relative commesse, deprimendo il loro fatturato, l’occupazione e il Pil. Il menzionare nel documento singoli settori, come i corpi di polizia, piuttosto che le specifiche misure riorganizzative (formazione, anticorruzione, antitrust per l’individuazione dei cartelli nelle gare, disponibilità dati) per tutti i settori confermano questa sensazione.
L’unica misura di metodo menzionata, la centralizzazione delle gare (e non dei dati) appare rischiosa in termini di impatto sul territorio e dunque di fattibilità politica (difficile pensare che le piccole imprese acconsentiranno a un mutamento che aumenta la dimensione delle gare della pubblica amministrazione).
Altre perplessità, non da poco, derivano, nel metodo, dall’assenza di qualsiasi riferimento a tagli agli sprechi nei lavori pubblici (e ce ne sono!) e, nella governance, al defilarsi dal tavolo di lavoro del ministero della Sanità, che cura il settore più strategico per l’individuazione di risorse da sprechi da rimettere dentro il tessuto economico con altri investimenti e minori tasse. Il punto centrale rimane infatti quello di individuare gli sprechi, non di tagliare la spesa tout court. Tagliare uno spreco non taglia occupazione: comprare un ecotomografo al prezzo giusto senza rialzo indebito non mette in crisi l’azienda che lo vende e libera risorse per comprare ecotomografi aggiuntivi, se necessari. Ma bisogna saperli individuare gli sprechi, e per questo ci vuole tempo, speso bene. Risiko è un gioco di grande pazienza. Renzi deve dimostrare di averne un bel po’. Ammassi truppe alla frontiera prima d’invadere i paesi dell’avversario e passerà alla storia come il primo generale che ha condotto le sue truppe d’inverno in territorio nemico sbaragliando ogni resistenza. Il Paese gliene sarà grato.
Gustavo Piga*
* docente di economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, esperto Ocse su appalti e trasparenza, tra 2002 e 2005 è stato presidente della Consip, la centrale degli acquisti dell’amministrazione pubblica.