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 2014  marzo 20 Giovedì calendario

GINO&MICHELE «ERAVAMO GLI ZELIG DELL’UNITÀ»– Per l’anagrafe Gino Vignali e Michele Mozzati, per la storia della comicità e della satira, Gino e Michele: due autori, una sola «ditta», come direbbe Bersani

GINO&MICHELE «ERAVAMO GLI ZELIG DELL’UNITÀ»– Per l’anagrafe Gino Vignali e Michele Mozzati, per la storia della comicità e della satira, Gino e Michele: due autori, una sola «ditta», come direbbe Bersani. Da subito hanno partecipato a Tango e Cuore; ma prima e dopo hanno frequentato con grandi risultati tutti i mezzi espressivi cartacei, visivi e televisivi. Come ricordate gli inizi di «Tango» e «Cuore»? Michele: «Abbiamo cominciato con Tango in una memorabile riunione romana diretta da Staine. C’erano tutti, Elle Kappa, Michele Serra, diciamo tutto il meglio del Male, un po’ di Radio Popolare e un po’ di Linus. Grande fermento e grande entusiasmo da parte di Sergio, che aveva messo in piedi un meccanismo straordinario. Noi intanto, nel maggio dell’86, aprivamo Zelig e inventammo, lì su quel piccolissimo palco e in una sala di soli 60 posti, le serate di Tango. Paolo Rossi, Riondino e altri si esibivano, mentre, su una lavagna, alcuni disegnatori commentavano dal vivo. Il risultato fu clamoroso e Sergio capì che quelle serate si potevano esportare nelle piazze, come avvenne, con l’affluenza di migliaia di persone». E che cosa avete imparato dall’esperienza di quei tempi? Michele: «Tutto. Fu importante per farci capire che potevamo diventare professionisti, che quella sarebbe stata la nostra strada». E questo accadeva nel deprecati anni 80! Michele: «Già. I deprecati anni 80, che, ripensandoci ora, furono meravigliosi, rispetto a quello che venne dopo. Milano allora era straordinaria. Dobbiamo molto anche ai socialisti, che ci ispirarono e nello stesso tempo, con grande ambiguità, ci sostenevano». Non è niente in confronto al fatto, unico nella storia, del Pci che, tramite l’Unità, ebbe il coraggio di ridere delle proprie ferite (peraltro insanabili!). Michele: «Grandissimo merito storico. Io e Gino, del resto, avevamo già cominciato a fare ironia interna alla sinistra nella seriosissima Radio Popolare. Figurati che facevamo un quiz, intitolato “Passati col rosso” sui fatti del ’68, nel decennale del ’68. Ci avevano messi di lunedì perché era la serata del film in tv e pensavano non ci avrebbe ascoltato nessuno, invece nacquero un sacco di gruppi di ascolto. Tra la fine degli anni 70 e gli anni 80 (periodo drammatico, ma anche di grande vivacità e intenzioni fortissime) poteva succedere questo. Noi dobbiamo tutto a quegli anni e anche gli inserti satirici dell’Unità nacquero da quel clima». Passando alla vostra esperienza in tv, ho sempre visto una contraddizione tra il fatto che la satira, per sua costituzione, sia contro il potere, mentre la tv è essa stessa (al di là dell’editore) un «potere forte». Michele: «Noi siamo sempre stati molto disincantati in questo. In qualsiasi ambito, là dove ci era concesso di esprimerci al meglio, siamo andati. E spesso succede che padroni di destra siano più disponibili, magari per bisogno di un fiore all’occhiello. È un discorso complicato». Mi riferivo più al fatto che la satira in tv tende a farsi senso comune, col rischio di diventare addirittura maggioritaria. Michele: «Infatti non la facciamo più. Non è obbligatorio fare satira, abbiamo seguito un percorso comico diverso. Forse solo con Su la testa (era la Raitre di Guglielmi) abbiamo fatto vera satira in tv». E qual è stato il vostro miglior editore? Gino: «Abbiamo avuto un rapporto particolare con Dalai. Dopo il successo delle Formiche con Einaudi, nacque con lui la Baldini e Castoldi, di cui non eravamo soci, ma partecipavamo al progetto editoriale. Però abbiamo avuto buoni rapporti con tutti. Figurati che abbiamo collaborato anche con il Mondo di Panerai, che ci affidò una pagina, l’ultima, intitolata Fuori dal Mondo. E fu l’unica volta che ci firmammo Gino Vignali e Michele Mozzati, perché Panerai non permise che sul suo giornale qualcuno firmasse solo col nome». Venendo all’oggi, succede una cosa mai vista: la satira non si accontenta più di attaccare il potere, vuole sostituirlo. E mi riferisco naturalmente a Grillo. Michele: «Parlo per me: penso che ci sia sempre stata un’area di incazzati in cerca di collocazione. Anche il Partito radicale di un tempo, in fondo, non era molto diverso e mi ricordo che a Milano c’è stata una Lista rock che rappresentava una certa sinistra sbandata, ma non prese nemmeno un consigliere». Ora però il grilllsmo ha preso milioni di voti. Michele: «Più la situazione è confusa e più l’area di incazzati si allarga. Dopodiché, se mi chiedi se voterei mai per Grillo, ti dico di no. È un movimento che raccoglie istanze anche giuste e persone in buona fede: non mi scandalizzo; sono cose che rientrano quasi nella normalità, anche se, alla lunga, destinate a prosciugarsi». E che cosa pensate dell’effervescenza della rete, che si esprime in forme anche satiriche, ma rischia di diventare puro dileggio, offesa, perfino minaccia? Gino: «Mi fa orrore. Può nascere del buono solo nei siti organizzati, dove esiste una selezione. Ce ne sono tantissimi e si capisce da questo come gli italiani siano naturalmente portati allo sberleffo. Il resto mi fa orrore, come le curve degli stadi, dove si manifesta una minoranza di esaltati che vanno alle partite per insultare l’avversario, chiunque sia. Infatti i capi ultras non guardano neanche il gioco, anzi, voltano le spalle al campo». Tornando a voi due, quale pensate sia stato il vostro periodo più creativo? Gino: «È stato quello lì, a cavallo tra Radio Pop e Cuore. La mia teoria è che la satira la puoi fare bene fino ai quarant’anni, poi diventa mestiere e un po’ si annacqua. Del resto, la nostra generazione è stata molto fortunata: siamo stati gli ultimi a poter scegliere che cosa fare».