Stefano Miliani, l’Unità 20/3/2014, 20 marzo 2014
GRECO, FINALMENTE UN CERVELLO CHE TORNA
LE REGINE TOLEMAICHE, I SARCOFAGI, I NEFERTARI E TUTTI QUEGLI ANTICHI EGIZI CHE A NOI PROFANI APPAIONO IERATICI E IMPERSCRUTABILI, A TORINO HANNO UN NUOVO TUTORE, un 39enne intraprendente. Il neo-direttore del museo viene da Leida, in Olanda, dove ha finora insegnato archeologia all’università, è curatore del Museo delle antichità. Dalla colta città ha partecipato a scavi, ha diretto progetti espositivi in Finlandia, Giappone, Spagna ed è un italiano che torna nel suo Paese. La Fondazione dell’istituto torinese ha scelto come guida Christian Greco, nato nel 1975 ad Arzignano (Vicenza), trasferitesi nei Paesi Bassi da quando aveva 21 anni. Egittologo, «giovane» solo in una terra che di norma non reputa adulti neppure i 40enni, Greco porta in dote progetti ed energia ma lui interpreta la nomina come un segno più ampio: «Abbiamo un premier con idee, credo dovremmo scommettere su Renzi: se vince, vince l’Italia. E tanti colleghi vedono nel mio incarico un segno di speranza da un Paese che ti forma professionalmente e poi ti costringe ad andare fuori. Ho studiato a Pavia, poi a Leida, ho preso la seconda laurea a Pisa, città con la quale collaboreremo molto, e trovo bello che un italiano possa tornare».
Greco, che programmi ha per il museo del capoluogo piemontese?
«Posso riassumere due aspetti della stessa medaglia: ricerca e internazionalizzazione. Voglio che l’Egizio non sia solo sulla carta il secondo museo al mondo, che lo diventi fattivamente. E vorrei che Torino diventi un centro di coordinamento di ricerca internazionale e nazionale, che sia un luogo imprescindibile per chi si occupa di egittologia. Affinché ciò accada la ricerca va implementata in modo più importante. E voglio portare 17 anni di esperienze europee aprendo il più possibile il museo al mondo».
Cosa intende dire?
«Visti da qui noi italiani veniamo tacciati di provincialismo, di essere chiusi. Voglio usare i miei tantissimi contatti con colleghi di Los Angeles, Luxor, il Cairo, la Finlandia per aprire il museo a un contesto più internazionale».
Ha progetti concreti?
«Li sto già concretizzando, ad esempio stabilendo dei rapporti con istituti di ricerca, come lo stesso museo di Leida, e collaborazioni con scavi. Torino tornerà a scavare a Saqqara, da dove viene molto materiale della sua collezione. E per citare un altro elemento di ricerca, voglio continuare ad aderire al Vatican Coffin Project, progetto sui sarcofagi della sezione egizia dei musei della Santa Sede a cui partecipo già da anni e a cui aderisce anche il Louvre. Sto lavorando allo studio tecnologico e sul restauro dei sarcofagi e il programma sta già partendo».
In qualche dichiarazione pubblica ha manifestato l’intento di fare «sistema» aTorino, di creare un Museumplein come nelle città olandesi: cosa significa?
«Penso ad Amsterdam dove musei e sale da concerto interagiscono. Il museo affaccia in una piazza in cui abbiamo il museo del Risorgimento, il Teatro Carignano, il Teatro Stabile. La collezione è profondamente legata alla storia sabauda, ai Savoia, dunque anche alla formazione dell’Italia. Più in là si arriva alle Gallerie sabaude, a Palazzo Madama. Per il prossimo anno l’Egizio avrà una mostra a tema su l’Egitto e Torino, per ricordare come faccia parte della storia della città, e immagino percorsi espositivi tra più istituzioni. Torino ha già una museum card che permette di visitare tutti i musei per un anno, è una città molto europea, ricorda il sistema assai sviluppato in paesi come l’Olanda. Arrivato in Olanda 21enne, ho sempre vissuto nel cuore dell’Europa, da Leida arrivi a Parigi, Berlino o Bruxelles in poche ore, respiri un’internazionalità che intendo portarla con me».
L’Italia è a dir poco avara di opportunità nei confronti del cosiddetti «giovani», anzi di solito chiude le porte in faccia. Con che spirito rientra?
«Torno con fiducia e molta voglia di fare. Credo che si sia creato un certo vittimismo, mentre vedo forti potenzialità non ancora sfruttate. Tanti giovani egittologi all’estero mi hanno detto che per loro la mia nomina rappresenta una speranza perché sperano che anche per loro si aprano porte».
Vede il suo rientro come un segnale di un cambiamento?
«C’è una cosa che noto ogni giorno da almeno 10 anni: si parla di crisi ora ma nella ricerca è iniziata da tempo. A Leida e Amsterdam si sente parlare spesso italiano per strada, tanti lavorano qui e questo l’ho vissuto con rabbia: perché l’Olanda accoglie tanti studiosi italiani e l’Italia no? Oltre tutto è anche un grosso dispendio economico, il nostro Paese forma ottime professionalità, poi però vinciamo posti fuori, non puoi restituire quello che hai imparato. Il sistema universitario italiano è ottimo ma bisogna favorire la ricerca e i percorsi post laurea. Adesso ho la sensazione che ci sia un po’ di riscossa: abbiamo un nuovo governo e un nuovo premier con idee».
Che giudizio dà?
«Dall’estero porto anche un altro modo di pensare: l’Olanda è sempre compatta intorno al suo governo e al premier, l’ottica è che se agisce bene allora fa bene a tutto il Paese, al primo posto non ci sono i personalismi. Penso che dovremmo tutti scommettere con Renzi, se vince lui vince il paese. Anche io cercherò di mettermi al servizio dell’Egizio, cercherò di essere un direttore invisibile per mettere curatori e funzionari al meglio delle condizioni possibili».