Alberto Bisin, la Repubblica 20/3/2014, 20 marzo 2014
LA POLITICA DEGLI ANNUNCI
Il governo Renzi avanza. È vero, come molti lamentano, che a questo punto non è andato molto al di là di comunicati e proclami. Ma si è appena insediato. E soprattutto comunicati e proclami sono pieni di aria fresca, nella forma e anche nella sostanza. Si parla finalmente con sufficiente energia di riduzione del cuneo fiscale e di interventi sulle pensioni d’oro.
Come sempre però il diavolo sta nei dettagli e comunicati e proclami nei dettagli non possono entrare. E così “mille euro per 10 milioni di contribuenti” è un capolavoro mediatico e anche il tetto a redditi e pensioni nella pubblica amministrazione è un bel sentire. Ma mentre aspettiamo i provvedimenti reali, proviamo a entrarci noi nei dettagli, anche per provare a far chiarezza su alcuni elementi delicati che il dibattito di questi giorni tende a confondere.
Iniziamo dai provvedimenti riguardanti la pubblica amministrazione. In una delle famose slide con cui Matteo Renzi ha presentato il proprio progetto di governo (quella col pesce rosso), si dice che “il manager pubblico non può guadagnare più del Presidente della Repubblica”. Anche questa una bella immagine mediatica per un tetto ai redditi nella pubblica amministrazione. Ma “manager pubblico” riferisce solo agli amministratori delle imprese pubbliche o include tutti i dirigenti della pubblica amministrazione? Perché il problema dei redditi eccessivi nella pubblica amministrazione è ben più vasto di quello dei manager pubblici in senso stretto: i giudici della Corte Costituzionale, ad esempio, hanno redditi fuori misura, tre volte quelli dei giudici della Corte Suprema negli Stati Uniti. Lo stesso si può dire, come ha ben documentato Roberto Perotti, per diplomatici, parlamentari, dirigenti ministeriali, amministratori locali, e via discorrendo. Fortunatamente il piano del Commissario Cottarelli fa chiarezza su questo punto.
Anche l’attacco al cumulo di redditi e pensioni nel settore pubblico annunciato dal ministro Madia lascia il fianco a molti dubbi. L’annuncio si sofferma su elementi affatto fondamentali come il cumulo e il settore pubblico stesso mentre non sembra fare alcuna distinzione tra pensioni calcolate con il metodo retributivo e quello contributivo. Solo nel primo caso il pensionato ottiene un reddito tipicamente ben superiore ai contributi versati, ed è quindi su queste pensioni che è equo intervenire. Esse rappresentano in ogni caso una quota ragguardevole dello sbilancio che il sistema pensionistico del nostro paese dovrà affrontare prima che la riforma Fornero entri a regime. Nonostante calcoli accurati siano resi impossibili dalla (inaccettabile peraltro) reticenza dell’Inps a fornire dati individuali sui contributi versati, si stima che le pensioni calcolate con il metodo retributivo siano circa il 60-70 per cento di quelle oltre i 2 mila euro mensili.
Veniamo ora alla questione dei “mille euro”. Una riduzione della tassazione del lavoro è necessaria nel nostro paese. In prima approssimazione è poco rilevante che essa avvenga sul lato della tassazione dei redditi del lavoratore o dell’impresa. Sembra strano ma è così. Per questo il cuneo fiscale (la differenza percentuale tra il costo del lavoratore per un’impresa e il reddito netto che va al lavoratore) è la misura rilevante del carico fiscale sul lavoro: perché le tasse non incidono necessariamente là dove sono imposte. In mercati competitivi una riduzione dell’Irpef permette una riduzione del costo del lavoro (del salario lordo) e una riduzione delle tassazione sull’impresa passa in parte su salari e occupazione. Nel caso italiano, l’Irap sulle imprese è una tassa così inefficiente e distorsiva che forse sarebbe valsa la pena partire soprattutto da lì, ma una riduzione dell’Irpef è comunque cosa buona. Logica economica vuole che la riduzione sia ottenuta attraverso un aumento della detrazione d’imposta per i lavoratori dipendenti con redditi lordi inferiori ai 25 mila euro (ai quali secondo l’annuncio si applicherebbe la riforma). Ma l’annuncio lascia aperte varie questioni di ordine tutt’altro che secondario. La prima questione è cosa fare per coloro che ad oggi sono esenti dall’Irpef — si tratta di coloro che hanno redditi inferiori a 8 mila euro (ci riferiamo per semplicità solo al caso di un dipendente senza familiari a carico). Una imposta negativa a loro favore sarebbe necessaria perché anche essi possano godere dei “mille euro”. Non farlo sarebbe forse iniquo, anche se ne incentiverebbe l’offerta di lavoro (per guadagnare abbastanza da godere della detrazione). Naturalmente però questa imposta negativa avrebbe un costo, dell’ordine di 4 miliardi di euro secondo le stime di Pellegrino e Zanardi su www.lavoce.info, che non sembra sia stato considerato dal governo. L’altra questione è quella di come scalare la nuova detrazione ai contribuenti con redditi oltre i 25 mila euro. Scalare la detrazione abbastanza lentamente aiuterebbe ad evitare effetti perversi. Un esempio estremo dovrebbe chiarire: se i mille euro della nuova detrazione fossero applicati al contribuente che percepisce 25 mila euro ma non a quello che percepisce 25mila e cento euro, si avrebbe il caso che il contribuente con il reddito lordo maggiore si troverebbe con un reddito netto inferiore (di più di 900 euro). È chiaro che questa situazione costituirebbe un incentivo per il secondo contribuente a lavorare meno (o a lavorare in parte in nero). Questo tipo di distorsioni (elevate aliquote marginali effettive, nel gergo degli economisti) risulta empiricamente rilevante nella determinazione dell’offerta di lavoro, soprattutto femminile e in famiglie a reddito medio-basso. Poiché proprio in questo gruppo demografico l’offerta di lavoro in Italia è particolarmente deficiente rispetto al resto dei paesi sviluppati, sarebbe abbastanza importante scalare la detrazione lentamente. In questo modo però anche redditi ben oltre i 25 mila euro godrebbero di parte della detrazione, e ancora una volta il costo della riforma cresce rispetto ai conti del governo (dell’ordine di circa 3 miliardi secondo le stime ottenute da Brusco e Zanella su www.noisefromamerika.org ipotizzando che la nuova detrazione sia scalata come quella già oggi presente struttura dell’Irpef).
Bene con annunci e proclami allora, ma attenzione ai dettagli. Basta molto poco per trasformare buone intenzioni in colossali errori, manovre ingiuste o inefficienti con annessi sforamenti di bilancio.