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 2014  marzo 20 Giovedì calendario

L’AUTODIFESA DI MISTER PREFERENZE “È UN DRAMMA MA NON MI DIMETTO”


A due passi da via Veneto svetta il fortino dei Genovese. Il rifugio di Francantonio è al piano nobile di un palazzo signorile, incastrato tra hotel a cinque stelle e una Chiesa Luterana. Non entra nessuno, non esce nessuno. L’unico contatto con il deputato che rischia la galera è un citofono che gracchia e una certezza: non vuole dimettersi. Almeno per adesso. «Ho già abbastanza problemi - risponde con un filo di voce - non gradisco parlare. Se ho deciso di lasciare il Parlamento? No, guardi, non ho ancora deciso nulla. Prima voglio leggere le carte, per bene».
Questo palazzo circondato da frammenti della Dolce vita è da decenni avamposto dei Genovese. Da quando il senatore Luigi, padre di Francantonio, mise piede a Palazzo Madama. Famiglia potente, democristianissima. E prudente, anche al citofono: «Voglio avere il tempo di leggere le carte, poi parlerò». La reazione, stavolta, è stata l’isolamento. Per prendere fiato, riflettere, riordinare le idee. «Sono trasecolato», sussurra. Al telefono si nega anche ai vecchi compagni di viaggio, come l’ex senatore Nino Papania. Riesce a raggiungerlo solo Beppe Fioroni, un tempo suo capocorrente. Nel frattempo, si aggrappa a un comunicato limato parola per parola con gli avvocati: «Faccia riferimento a quello - suggerisce cortese - è molto stringato».
Il colpo, però, è stato da k.o. Anche per chi domina Messina, anche per chi fa sfoggio di una parentela con il più volte ministro Dc Nino Gullotti, l’uomo che si vantava di avere due mila figliocci di cresime e battesimi. Non è facile uscire indenni da questa brutta storia. Soprattutto se sono implicati nell’inchiesta giudiziaria altri otto membri della tua famiglia: la moglie, una sorella, un nipote, cinque cognati. Soprattutto se è il Pd a voltarti le spalle, vero onorevole Genovese? «No, basta, davvero: ma allora lei non si rende conto. Sulle dichiarazioni fatte da esponenti del mio partito preferisco glissare: no comment, ecco».
Ha vinto quasi sempre, Francantonio. Avvocato, imprenditore, ras del Ppi, della Margherita e infine del Pd, di cui è stato il primo segretario in Sicilia. Veltroniano, bersaniano e poi renziano. Alle “parlamentarie”, nel dicembre 2012, è il candidato più gettonato d’Italia: 19.590 preferenze su 24 mila votanti a Messina. Un seggio, in quell’occasione, è ospitato in un centro di formazione professionale di un amico poi finito agli arresti. La scalata, comunque, prosegue. E a dicembre, alle ultime Primarie, Genovese porta in dote a Renzi un pesantissimo bottino di voti.
Ascesa impetuosa, dall’Ars a sindaco di Messina fino alla Camera. La benzina per la rincorsa arriva dalla società di trasporto marittimo nello Stretto, di cui è azionista e dirigente. Ma Francantonio e famiglia curano anche l’attività immobiliare, il brokeraggio assicurativo, persino la gestione di locali notturni. E poi, soprattutto, la formazione professionale, quella ragnatela di enti gestiti in cui - secondo i magistrati - avrebbe fatto piovere illegalmente milioni di euro. I Genovese, così risuona dallo Stretto, stanno a Messina come gli Agnelli a Torino.
A metà pomeriggio, nel fortino vicino a via Veneto, si affaccia un cameriere. Porta su tre caffè. Perché lì, dentro l’abitazione romana, da ore si studiano le carte. «Sto cercando di vedere cosa c’è scritto ». Davanti al portone di casa c’è un’auto. La sua auto. «È sempre qui», giura un passante. Resta parcheggiata per tutto il giorno, solo a sera lo conduce a Fiumicino. Direzione Catania.
Al telefono, quando atterra, la voce è più sicura. In autostrada verso Messina, poi, ritorna sul nodo delle dimissioni: «Io non so nulla, ripeto, ma per me non ha senso neppure parlarne. Sono convinto di non aver commesso reati». Questa è la trincea del deputato: «Mi sento a posto. E sono trasecolato per quanto sta accadendo a me e alla mia famiglia. Comunque, voglio capire di cosa sono accusato, nel dettaglio. Parliamone domani». E via veloce verso la casa di Ganzirri, angolo di paradiso sullo Stretto, dove la moglie Chiara ha scontato fino a qualche mese fa gli arresti domiciliari e dove aveva sede la Cale Service, uno degli enti di formazione nel mirino dei magistrati.
Lì, nella villa in cui siglò nel 2010 lo “storico” patto con Raffaele Lombardo per traghettare il Pd nel governo siciliano, il Potente si concederà l’ultima pausa di riflessione. «Ma ora - continua a ripetere - voglio solo capire».