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 2014  marzo 20 Giovedì calendario

GIANMARIA MARTINI “RECITO PERCHÉ È COME CORRERE A FOLLE VELOCITÀ”


All’inizio il «rifiuto totale», poi una litigata con il regista, seguita da una lenta marcia di avvicinamento e, alla fine, il sodalizio perfetto. Prima di diventare il Calibano della Tempesta di William Skakespeare, nell’adattamento che Valerio Binasco sta portando in giro per l’Italia, Gianmaria Martini ha compiuto un percorso tortuoso che racconta senza reticenze. Soprattutto evitando la trappola in cui cadono quasi sempre tutti gli attori, ovvero dire che l’esperienza in palcoscenico è stata meravigliosa e che nei panni del personaggio si sono trovati benissimo. Lui no, anzi. Nella pelle di quella specie di Gollum rabbioso e represso, è entrato a fatica: «Ho pensato che si trattasse di un pazzo e questo mi ha fatto subito sbagliare l’approccio. Sono rimasto sulla difensiva, l’ho studiato poco, fino al giorno in cui ho avuto uno scontro con Binasco e ho deciso di affrontare il ruolo in un altro modo, usando tecniche di rilassamento, con uno stato basso di autocontrollo...». Calibano, dice Martini, «rappresenta la disperazione e l’utopia della libertà, i suoi impulsi sono sfrenati, le sue sensazioni estreme. Verso la bellezza nutre insieme amore e terrore, prova la violenza dell’odio, ma aspira alla luce... nei suoi confronti si avverte subito disgusto, ma se, si entra in empatia, si capisce che è uno spirito libero e per questo viene stigmatizzato».
D’altra parte, con gli eccessi, Gianmaria Martini, 30 anni, triestino, ha un feeling particolare: «Facevo automobilismo, mi piacciono i personaggi che vanno a 250 chilometri all’ora, se riesci ad acciuffarli li apprezzi di più». Il passaggio dalla corsa al palcoscenico si deve a quegli snodi cruciali che sovente segnano le vite di tutti noi: «Per me l’arte non esisteva, l’unico contatto che avevo avuto, andando una volta a teatro con la scuola, era stato negativo, mi ero addormentato. Poi ho subito un incidente grave, ho dovuto fare dei trapianti ossei, e così ho iniziato a vagolare nel buio, senza sapere come andare avanti perchè, fino a quel momento, non avevo avuto altre passioni all’infuori delle corse. L’automobilismo è un’evasione, l’adrenalina che ti provoca è una droga, e io senza non riuscivo a stare».
Poi, una sera, è successo che Gianmaria Martini è andato a vedere un Cyrano de Bergerac: «Ho pensato che diventare un’altra persona era un modo perfetto per evadere, proprio come correre...così ho cominciato con il teatro di Trieste, ma mi sentivo un mediocre, sempre inseguito dall’ombra lunga del fallimento...». Eppure recitare, si sa, aiuta a curarsi l’anima, e adesso Martini non può più farne a meno. Dopo essere apparso sul grande schermo in Romanzo di una strage, Diaz e Vinodentro, ha preso parte ai Cesaroni: «Sono il figlio di Maurizio Mattioli, lui è un grande, un vero genio dell’improvvisazione, e io mi diverto un sacco». Dopo La Tempesta («per Binasco sarò sempre pronto a firmare in bianco»), lo aspetta la ripresa della versione teatrale della vicenda umana di Tiberio Mitri, pugile triestino arrivato al successo nei ’50 e il ruolo di Puck in Sogno di una notte d’estate, con il Teatro della Tosse: «Attualmente la mia prima aspirazione resta il teatro. Con il cinema sento di non aver ancora ingranato, per farlo avrei bisogno di un personaggio grosso.» Intanto si gode l’esperienza nella Popular Skakespeare Kompany di Binasco, al fianco di «attori bravissimi che qui accettano di recitare guadagnando meno della metà del loro cachet abituale».