Jacopo Iacoboni, La Stampa 20/3/2014, 20 marzo 2014
DI BATTISTA: IL M5S SOPRA IL 26% E POSSIAMO SFONDARE IL 30
A che punto è il feeling della società italiana con il Movimento cinque stelle? Esiste a Milano un loro dato riservato (non un sondaggio) che li vorrebbe di nuovo molto alti, risulta anche ad Alessandro Di Battista? Romano di Prati, 35 anni, esuberante ma molto parco di interviste coi giornali, accetta di parlare mentre il treno lo porta a Modena, nuova tappa del tour dei deputati sospesi: «Io non conosco questo dato; ma le dico: ho elementi per credere che supereremo il risultato di febbraio 2013».
Non è un po’ troppo? Di solito i politici abbassano l’asticella della previsione, così comunque vada dicono che hanno vinto.
«Noi non abbiamo il problema del consenso, non vogliamo fare politica a vita. La mia speranza anzi è sfondare quota 30 per cento; ma credo che saremo comunque più alti del 25,5. A quel punto chiederemo al governo di dimettersi, e ai cittadini di circondare il Parlamento».
In base a cosa crede a questa soglia? È un atto di fede o una descrizione?
«Da un anno facciamo delle agorà con i meet up. Prima venivano 30-40 persone, ora a Verona eravamo in 800 un lunedì sera, a Noale, un paesino veneto, ieri, 450. Non sono i numeri dello tsunami tour, è ovvio; ma stiamo seminando tanti piccoli tsunami. Da Roma ovviamente non si capisce».
L’altra sera lei diceva che tanti anni fa, parlando con suo padre, constatavate che la Lega era «nata rivoluzionaria, ma aveva fatto l’errore di entrare nelle spartizioni del sistema». Partite da nord est perché puntate a prendere molti voti in quell’elettorato deluso?
«Il tour non ha questo significato, andremo anche a sud, o nelle isole. E poi parliamo a quell’elettorato, sì, ma siamo anche contro gli F35, una battaglia che piace molto a sinistra. Però - essendo sempre stato un antiLega - posso dire nelle piazze che la Lega delle origini era rivoluzionaria; quella prima della secessione, che era solo un modo per chiedere tanto per ottenere qualcosa».
Quello che fate voi sull’euro?
«Noi no, non chiediamo tanto per ottenere poco. Semmai vogliamo alzare il livello dello scontro - sempre in maniera rigorosamente non violenta - perché è l’unico modo per ottenere risultati. Il salva Roma l’abbiamo stoppato perché li minacciammo di farli restare a votare nel weekend, e avevamo i voti per farlo. In Parlamento io ho provato a convincere tutti i deputati del Pd a votare con noi alcune cose, Civati, Moretti, Madia... tutti. Da Rodotà in poi. Dicevano “è il migliore, ma non possiamo votarlo perché lo proponete voi”. Ricordo che la Moretti, la sera di Prodi, piangendo, mi disse “ok, avete vinto voi, cosa dobbiamo fare?”. Poi votarono Napolitano. Votano contro le loro convinzioni perché vogliono fare politica a vita, e allora fanno autocastrazione. Noi non abbiamo questo problema. Dopo due mandati faremo altro, il che ci rende più liberi».
In Europa ora siete passati a una più mite richiesta: gli eurobond.
«L’uscita dall’euro, come la mette la Lega, è uno slogan. Gli eurobond mi sembrano una via praticabile, ricordo che ne parlò Tremonti, non dispiacevano anche a sinistra, è davvero impossibile farli?».
Quindi niente uscita dall’euro?
«Se la Germania non accetta gli eurobond, che esca la Germania. Né al Consiglio né alla commissione c’è il veto previsto, per esempio, all’Onu. Il voto tedesco vale quanto quello della Grecia. Sfidiamo Renzi, faccia una grande iniziativa europea su questo. Lui definisce “anacronistico” il 3 per cento, ma va da Merkel e non dice niente».
Lamentate che Renzi vi ruba dei temi, questo però dovrebbe porvi un problema politico, o no?
«Per noi il problema non è chi si prende la paternità, è che Renzi poi quelle cose non le fa».
Qualche carta non la potevate andare a vedere? Magari le province, parzialmente tagliate?
«In realtà non erano neanche tagliate a metà. Ed è così su tutto; i renziani erano contro gli F35, che però sono ancora lì; erano per la mozione elettorale Giachetti, che però non votarono; erano per l’amnistia, e poi sono diventati contro. Non sono credibili».
Ei vostri errori? Lei è stato sospeso per quella scena con Speranza, se n’è pentito?
«Riguardandomi ho capito che ero fuori giri, avevo perso il controllo, e non ne sono affatto contento. Ma la battaglia era giusta, quella la rifarei: ci hanno negato il riconteggio dei voti, violano le procedure della democrazia, e attaccano noi sulle forme. Diventa tutto un gioco comunicativo, spesso falsato. E lo dice uno che ha un sogno: fare il reporter. E lo farò, perché se la legislatura dura fino al 2018, io non mi ricandiderò».
E la tv? Dalla Bignardi, al di là delle polemiche, non è andata male. L’ha più sentita?
«No. Ma non ce l’avevo con lei, ha fatto le domande che doveva, anche su mio padre. Quello che mi è dispiaciuto è aver visto poi il trattamento di totale gentilezza - eufemismo - riservato a Renzi».