Ugo De Siervo, La Stampa 20/3/2014, 20 marzo 2014
ATTENTI A LEGGERE LE SENTENZE DELLA CORTE
Non è sempre facile dare atto delle decisioni della Corte costituzionale per i linguaggi spesso troppo tecnici e per il sovrapporsi di questioni giuridiche e di valutazioni politiche.
Alcune volte però conta anche una certa fretta o superficialità dei giornalisti nella lettura delle sentenze e la loro forte tendenza a cercare di spiegarle alla luce delle disposizioni sostanziali giudicate, sottovalutando invece quasi del tutto i profili ritenuti (a ragione od a torto) più tecnici, ma che invece non di rado sono quelli che hanno giustificato le decisioni. Ma in tal modo si può sbagliare notevolmente, dando una rappresentazione errata delle decisioni assunte, senza spiegare il loro significato effettivo, con evidenti cattive informazioni messe in circolazione nell’opinione pubblica.
Pochi giorni fa, ad esempio, la Corte costituzionale (sent. n. 50/2014) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione di una legge delegata che sanzionava severamente ed in modo innovativo i comportamenti posti in essere da coloro che affittano immobili «in nero»: la norma è stata dichiarata illegittima non per il suo contenuto, ma perché i giudici che avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale dubitavano - tra l’altro - che una disposizione del genere potesse essere inserita in un decreto legislativo che attuava una delega legislativa data dal Parlamento al Governo per disciplinare tutt’altre materie e la Corte costituzionale ha condiviso questa argomentazione preliminare, scrivendo addirittura che la norma impugnata «si presenta del tutto priva di “copertura” da parte della legge di delegazione». E, invece, nei giorni successivi non pochi mezzi di informazione hanno diffuso la notizia che «affittare in nero si può, il via libero della Corte» o raccolto opinioni nel merito della questione da parte delle associazioni degli inquilini o dei proprietari degli immobili.
E questo è avvenuto dopo poche settimane che la sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014, in tema di legislazione sulle droghe, era stata largamente deformata in modo sostanzialmente analogo: una importante decisione che ha fatto cadere le notevoli innovazioni sulla equiparazione fra droghe «pesanti» e «leggere» introdotte in sede di conversione di un decreto legge che disciplinava degli oggetti sicuramente diversi, è stata largamente commentata come se la Corte avesse fondato la sua decisione entrando nel merito di questa equiparazione e non si fosse, invece, espressamente limitata a svolgere una argomentazione relativa al mancato rispetto dei limiti costituzionali della decretazione d’urgenza. Anche in questo caso, è emersa nettamente la prevalenza di una lettura «sostanzialistica», se non strumentale, della sentenza, mentre si è messa la sordina sul fatto che con la sentenza n. 32 proseguiva la importante giurisprudenza della Corte sui limiti della decretazione d’urgenza ed anche sui gravi difetti dei cosiddetti «maxi-emendamenti» di cui i Governi hanno largamente abusato negli anni più recenti.
Soprattutto appare incomprensibile che in una stagione nella quale molti - ed a ragione - si dolgono dei sintomi diffusi di cattiva funzionalità delle nostre istituzioni, proprio le importanti decisioni dell’organo di giustizia costituzionale che cerca infine di riportare al rispetto delle regole costituzionali l’adozione delle fonti normative da parte dei Governi e dei Parlamenti vengano tanto sottovalutate da qualche inconsapevole operatore informativo. Al contrario, riportare in questi ambiti il rispetto della legalità costituzionale, può essere una delle maggiori garanzie anche per la futura buona funzionalità delle innovazioni istituzionali che si vorrebbero realizzare.