Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 20 Giovedì calendario

CONTI PUBBLICI, IL RISCHIO DELL’AUTOGOL


Nelle attuali condizioni in cui si trova l’Italia, il limite del 3% al deficit può essere definito «anacronistico» soltanto in un senso opposto a quello che intende Matteo Renzi.
Non è troppo basso: è invece troppo alto per assicurare un calo duraturo del debito pubblico italiano. Cosicché continuare a proclamare che vorremmo oltrepassarlo rappresenta, all’estero, un vero autogol.
Nel breve termine, per uscire dal pantano in cui siamo, è ragionevole invocare sul deficit qualche spazio di manovra in più. Se si avviano riforme importanti, che all’inizio comportano anche effetti negativi, può essere legittimo derogare alle regole (assai più dure del 3% di deficit) stabilite sia dal nuovo articolo 81 della nostra Costituzione sia dal «Fiscal Compact» europeo.
Ma nel medio periodo occorre che il debito non continui ad aumentare. Basta una aritmetica elementare per arrivarci. Con un debito di 2070 miliardi e un prodotto lordo di 1560, se in un anno la prima delle due grandezze cresce di 46,8 miliardi (tre centesimi di 1560) per evitare che il rapporto salga la seconda deve salire di almeno il 2,3%.
Così com’è l’economia italiana ha, secondo i calcoli economici correnti, un potenziale di crescita tutt’al più dello 0,5% annuo.
Sommando questa crescita reale e l’aumento dei prezzi, il prodotto lordo può dunque salire al massimo di circa 2,5 punti (0,5 più l’obiettivo Bce del 2% di inflazione) in una media pluriennale. In questo modo il debito tutt’al più scenderebbe di un’inezia.
Conteggi di questo tipo preoccupano gli altri Paesi e le istituzioni internazionali. Nel mondo c’è abbondanza di capitali, dunque in linea di principio spazio per finanziare i debiti; ma proprio questa abbondanza moltiplica l’instabilità, fa spostare gli investitori in modo volubile alla ricerca di maggiori rendimenti. Oggi l’Italia torna ad attirare, domani chissà.
E poi, in nome di che cosa si può rivendicare al nostro Stato la facoltà di fare più debiti, se è dilagata nel Paese la convinzione che i debiti precedenti li abbia accumulati spendendo male? Nelle proposte formulate dal commissario alla spesa Carlo Cottarelli c’è tutto il necessario per riesaminare come la nostra amministrazione pubblica impiega il denaro dei contribuenti.
Però, guarda caso, appena si arriva al concreto molti dei fautori dei tagli alle spese si dileguano. Appena si capisce che occorre togliere qualcosa a qualcuno, affrontare questioni impopolari, prendere di petto interessi consolidati e radicati nella nostra società, ecco si fa ricorso a ben noti espedienti retorici: «ci vuole ben altro», «sono tagli rozzi», «rinunceremmo all’indispensabile».
Naturalmente le scelte, nel vasto menu proposto, dovrà compierle la politica. Ma intanto occorre dire che, dietro il gergo tecnico del rapporto, alcuni dei problemi cruciali sono stati posti. Innanzitutto, quello della corruzione. No, la parola non compare, nel rapporto consegnato al Parlamento. Ma di questo si parla, in almeno tre casi importanti.
Si tratta di corruzione burocratica, oltre che di semplice spreco per inettitudine o frammentazione di acquisti, quando si propone una «drastica riduzione del numero di centrali appaltanti». Si tratta di clientelismo parlamentare, collegi elettorali o favori a lobbies, quando si suggerisce il «taglio dei microstanziamenti». Si tratta del malcostume della politica locale quando si ipotizza di chiudere le società partecipate da Comuni e Regioni che non svolgono servizi pubblici. Di questo è bene discutere, ancor più che degli aerei e delle portaerei, o di altre spese di prestigio da rimandare a tempi migliori: così si può riconquistare la fiducia dei cittadini nella politica.