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 2014  marzo 20 Giovedì calendario

DALLO SPAZIO AL NUCLEARE: A RISCHIO VENT’ANNI DI INTESE


Se non è ancora un ritorno alla guerra fredda, è solo perché manca la contrapposizione ideologica- comunismo verso liberismo- che segnò lo scontro del XX secolo. Ma la crisi ucraina potrebbe egualmente mettere la parola fine a buona parte dei rapporti di collaborazione che si sono instaurati tra Russia e Occidente a partire dal 1991. L’annessione della Crimea comporta infatti il rifiuto di Putin di riconoscere i trattati che hanno formalizzato il nuovo assetto geopolitico internazionale nato dalla dissoluzione dell’Urss e lancia una sfida per cui l’Occidente è a tutt’oggi sostanzialmente impreparato. Se per esempio lo Zar decidesse di ripetere l’operazione Crimea nell’Ucraina orientale, o mettesse le mani sulla Transnistria (una striscia di terra russofona tra Moldavia e Ucraina in cui sono ancora presenti truppe del Cremlino), saremmo egualmente impotenti; e se, in un momento di follia megalomane, invadesse i Paesi baltici ormai membri della Nato, ma in cui vivono consistenti minoranze russe,dovremmo intervenire in loro difesa in base all’articolo 5 del Trattato senza avere apprestato i mezzi per farlo. Ma, prima ancora della incipiente guerra delle sanzioni (ultima idea: espellere la Russia dal G8) è il clima che è venuto a crearsi a rendere la situazione incandescente, con Obama e Putin che si detestano, lo Zar che accusa l’America di avere fomentato le manifestazioni libertarie a Mosca e dà asilo al «traditore» Snowden e il presidente americano che risponde cancellando una visita ufficiale in Russia. Tutto ciò mette in pericolo una serie di accordi importantissimi, anche se poco conosciuti: la gestione comune della stazione spaziale, cui oggi si può accedere unicamente grazie ai razzi russi; il permesso di Mosca a usare il suo sistema ferroviario e il suo spazio aereo per rifornire le truppe della Nato in Afghanistan e per procedere, entro l’anno, al loro ritiro; il proficuo scambio di informazioni tra i servizi segreti nella comune guerra al terrorismo islamico; la collaborazione nel cosiddetto gruppo 5+1, che sta cercando di negoziare con l’Iran la rinuncia a un arsenale nucleare (Mosca ha già minacciato ieri: stiamo valutando un cambio di posizione); il tentativo comune, sia pure con una visione diversa, di mettere fine alla guerra civile in Siria; le trattative, già avviate, per una ulteriore riduzione degli armamenti in Europa.
Anche Putin, tuttavia, rischia di pagare un prezzo elevato per la sua aggressione, specie se la reazione occidentale si concentrerà sul settore economico/finanziario: l’economia russa sta perdendo colpi, i capitali esteri fuggono, il rublo tracolla e il costo delle operazioni militari non è stato certo indifferente. Per giunta, la Crimea è una regione povera, con un reddito pro-capite di poco superiore ai due terzi di quello della Russia e ha bisogno praticamente di tutto: l’80% della sua acqua, della sua elettricità e del suo gas le sono state fin qui fornite dall’Ucraina, che interromperà le forniture o le proseguirà solo a pagamento. Dei 540 milioni di dollari del bilancio regionale, 300 erano forniti da Kiev e, per potere pagare stipendi e pensioni, il governo regionale dipenderà d’ora in avanti da Mosca. Le banche, prese d’assalto dai cittadini impauriti, sono sull’orlo del fallimento. L’unica vera risorsa della Crimea, il turismo, è minacciata non solo dallo stato di semiguerra, ma anche dalla difficoltà delle comunicazioni con l’esterno, visto che sono stati sospesi tutti i voli con l’eccezione di quelli con Mosca; e la mancanza di una continuità territoriale tra la Russia e la penisola, separate dallo stretto di Kersh, renderà tutto più difficile e più caro. Se le condizioni economiche peggiorassero, l’entusiasmo della popolazione crimeana per il ritorno alla patria russa potrebbe presto svanire, come è accaduto nell’Ossezia del Sud occupata nel 2008. Nessuno si illude che Putin faccia marcia indietro, ma almeno potrebbe essere dissuaso da altre avventure.