Diego Gabutti, ItaliaOggi 20/03/2014, 20 marzo 2014
PER CAPIRE LA FINE FATTA DA BERSANI E LETTA, SERVE LEGGERE UN LIBRO SUI MACACHI RHESUS DELL’ISOLA DI CAYO SANTIAGO
Un gruppo di congiurati politici di medio rango forma una coalizione per abbattere il politico alfa e i suoi alleati. Pianificano a lungo una strategia d’attacco cercando di non dare nell’occhio a eventuali spioni. Quindi, per prima cosa e senza preavviso, partono all’assalto dell’avversario più debole. Questi, colto di sorpresa, non reagisce con la necessaria rapidità, si prende una scarica di botte e perde il consenso di cui godeva fino a un momento prima e precipita verso il basso nella gerarchia di comando o, come dicono gli etologi, dell’ordine di beccata. Un altro attacco, un altro avversario che cade, quindi un altro e un altro ancora, fino allo scontro finale col politico alfa, che viene abbattuto in maniera particolarmente rovinosa e perde, dalla sera al mattino, tutti i privilegi, sparendo in un amen dalla memoria dei suoi compagni e clientes.
Sembra la storia di Matteo Renzi, di Pierluigi Bersani, d’Enrico Letta e degli altri leader del partito democratico nell’ultimo anno e mezzo. Invece è la storia della «coalizione rivoluzionaria» che «un gruppo di macachi rhesus sull’isola di Cayo Santiago» organizza per prendere il potere nel gruppo. Potete leggerla in un libro appassionante e impassibile, A che gioco giochiamo noi primati. Evoluzione ed economia delle relazioni sociali umane di Dario Maestripieri (Raffaele Cortina Editore 2014, pp. 337, 26,00 euro). Potete leggere, nello stesso libro, anche molte altre storie e riflessioni sulla natura dei primati, che continuano a essere molto simili tra loro, anche se le strade evolutive delle diverse specie si sono separate da milioni di anni. È il nostro software genetico, spiega Maestripieri, che insegna biologia evoluzionistica, neurobiologia, psichiatria e neuroscienze all’università di Chicago: siamo primati, e così siam fatti.
Umani e macachi, condividiamo una serie d’«algoritmi di comportamento», come li chiamano gli psicologi evoluzionisti: «Gli algoritmi rappresentano le soluzioni ai problemi ricorrenti con cui i primi esseri umani e i loro antenati si sono dovuti continuamente confrontare nel proprio ambiente. Problemi comuni erano: come spostarsi e orientarsi; come trovare il cibo e distinguere le sostanze commestibili da quelle tossiche; come evitare aggressioni potenzialmente mortali da un membro di un altro gruppo; come comunicare con i membri della propria comunità; come distinguere i membri della propria famiglia dagli individui che non sono nostri parenti; come instaurare una relazione cooperativa con altri basata sulla reciprocità; come riconoscere e punire gli imbroglioni; come stringere alleanze politiche efficaci per superare i concorrenti e guadagnare uno status più elevato; come trovare e scegliere partner adatti e disponibili per rapidi rapporti sessuali; come instaurare una lunga relazione con un individuo del sesso opposto finalizzata a riprodursi e ad allevare con successo i figli; come aiutare e indirizzare lo sviluppo dei figli in modo che diventino adulti di successo; come ottenere assistenza e sostegno in periodi in cui non è possibile cavarsela da soli, come in età precoce o nella vecchiaia».
Un esempio d’algoritmo, o d’«istruzione» genetica: «Le automobili uccidono continuamente i pedoni ma, dato che le auto sono un fenomeno recente, noi non rispondiamo con l’ansia e il timore giusti alla situazione rischiosa in cui ci veniamo a trovare. Per contro, siamo portati a preoccuparci per situazioni e stimoli che sono stati associati con il pericolo nel corso della maggior parte della nostra evoluzione passata: il buio, le altezze, i grandi predatori, i serpenti e i ragni».
Siamo animali politici, geneticamente programmati per calcolare il dare e l’avere d’ogni nostra mossa e per rispondere automaticamente agli stimoli, prima ancora di pensarci, e anzi senza nemmeno bisogno di pensarci. Alcuni biologi evoluzionisti hanno un occhio di riguardo per il libero arbitrio: abbiamo, dicono, la facoltà di scegliere il nostro destino (chi sposare, chi votare, come campare la vita) e d’imboccare, uscendo dal binario genetico, questo sentiero oppure un altro, secondo l’estro. Altri biologi evoluzionisti, per esempio Maestripieri, si occupano ma non si preoccupano di problemi metafisici come il libero arbitrio.
Alla fine del libro, l’autore racconta la storia d’un giovane che, dopo aver studiato il problema dell’evoluzione e del libero arbitrio, si tolse la vita. Annunciò la sua intenzione via email a scienziati di tutto il mondo: se siamo macchine, o peggio animali inutilmente senzienti, a che pro vivere. Ma il fatto è che «la natura non è buona né cattiva», e che la vita è quella che è: conoscere «i “giochi a cui giocano i primati” ci aiuta a comprendere che la natura umana esiste, a spiegare che cos’è e a capire come funziona. Di più non si può chiedere».