Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 20 Giovedì calendario

FULVIO ABBATE «IN GARA ALLO STREGA PER COMBATTERE LA P2 DELLA SINISTRA»


À la guerre comme à la guerre. Fulvio Abbate, che nutre un amore particolare per la lingua francese (e nel suo ultimo romanzo, il fanta-autobiografico Intanto anche dicembre è passato, spiega perché: c’entra la mamma), avrà avuto in testa questa massima quando ha dato avvio alla sua personale guerra - un po’ giocosa e un po’ disperata - nei confronti di quella che lui stesso ha battezzato la «P2 culturale della sinistra». L’ultima sua mossa, da guerrigliero più che da guerriero, è stata autocandidarsi al più prestigioso riconoscimento letterario italiano, il Premio Strega: non tanto perché si illuda di poter infastidire il vincitore annunciato, Francesco Piccolo, autore a sua volta di un romanzo autobiografico, Il desiderio di essere come tutti (pubblicato però da Einaudi, mentre quello di Abbate è edito da Baldini&Castoldi), ma perché spera, con la sua presenza, di denunciare lo scandalo di una lobby che, secondo lui, si è impadronita di tutti gli spazi più importanti della cultura italiana.
Allo Strega ci si può autocandidare?
«Sì. Di solito sono le case editrici a proporre un loro titolo, ma le autocandidature degli autori non sono un fatto inedito. Quest’anno, per dire, si è autocandidato anche un decano delle nostre lettere, Luca Canali ».
La candidatura del tuo Intanto anche dicembre è passato è solo un modo per far sapere che non ti va giù la vittoria annunciata di Francesco Piccolo?
«Intanto anche dicembre è passato è un’opera che ha ricevuto un’attenzione e un apprezzamento molto ampi. Non succede sempre. Ed è un libro in cui io per primo credo molto. Mi è parso allora che questo romanzo dovesse avere un destino anche “politico”».
Non è eccessivo parlare di P2 culturale italiana?
«La chiamo così perché è la stessa consorteria che esclude scientificamente ogni voce dissonante. Per esempio è appena accaduto al festival Libri come, da poco conclusosi all’Auditorium di Roma. Accade al terzo canale radiofonico della Rai. Accade a Rai 3. Accade sulle pagine di Repubblica. E via dicendo. Quindi, forte della mia debolezza e della mia solitudine, ho lanciato questa sfida».
La tua candidatura è già ufficiale?
«Come no. Ho avuto la disponibilità di due colleghi scrittori che fanno parte degli Amici della Domenica (il corpo votante del Premio Strega, composto da circa 400 intellettuali, ndr), a cui peraltro appartengo anche io da dieci anni, e nei giorni scorsi la mia candidatura è stata formalizzata ».
Chi sono i due colleghi?
«Michele Mari e Massimo Onofri».
Speranze di vittoria?
«Mene sbatto delle speranze. Conta la felicità di avere intrapreso la mia battaglia. È chiaro che non mi aspetto i voti di chi si limita a obbedire a ordini di scuderia né mi metterò a fare telefonate per mendicare preferenze. Mi auguro solo che un certo mondo, che esiste e che risponde solo al proprio estro, leggendo il mio libro e avendo presente la mia persona, mi garantisca i voti per entrare in cinquina».
Non stai attribuendo al premio Strega troppa importanza?
«Lo Strega è innegabilmente il più importante premio letterario italiano, anche da un punto di vista storico. Al di là delle discutibili modalità che decretano il vincitore, con gli editori più grandi che controllano interi pacchetti di voti, credo sia il contesto giusto per condurre una battaglia contro l’indecenza di un certo sistema culturale».
Nel 2012 Emanuele Trevi, con il suo Qualcosa di scritto, edito da Ponte alle Grazie e dedicato a Pasolini, perse per soli due voti contro Inseparabili di Alessandro Piperno, che era pubblicato da Mondadori. L’editor di Ponte alle Grazie, Vincenzo Ostuni, mise in dubbio la correttezza del premio...
«Mi sembra che Emanuele Trevi faccia parte a pieno titolo della P2 culturale di cui sopra. E io, nella circostanza, credo proprio di avere dato il mio piccolo contributo affinché non fosse lui a vincere ».
Nello stesso periodo avevi scritto anche tu un libro su Pasolini.
«Con una piccola differenza: quello di Trevi venne appoggiato da tutto il sistema, il mio ha potuto contare solo sui lettori. Ma è andata bene lo stesso: adesso Baldini&Castoldi lo ristampa ».
Sei un po’ invidioso?
«In questo Paese, quando muovi una critica, la risposta che ti viene data è sempre la stessa: ti ribelli perché stai rosicando. Ma la mia storia è nota: ho molti più titoli di appartenenza alla sinistra io di tutti coloro che sono organici alla lobby culturale. Però non ho nulla da condividere con la vocazione maggioritaria veltroniana. È la mia indole. Sarei potuto morire in quelle serate a casa Veltroni in cui si mangiavano patatine e si parlava di calcio, come accadeva ai tempi dell’Unità. La stessa Unità di cui io ero una delle firme e da cui, poi, mi ha allontanato Concita De Gregorio. Su mandato di Veltroni, ovviamente».
Lo vedrai il film di Veltroni su Berlinguer?
«Certo che sì. Voglio ridere. Io c’ero, in quel Pci, e dico che Berlinguer è stato un politico fallimentare. Il quale, dal 1977 (quando fece mandare i carri armati contro i manifestanti dal sindaco di Bologna Zangheri), ha avuto anche il demerito di inimicarsi i giovani. Si pensava che il Pci avesse a che fare con la rivolta e invece era la conservazione: il modello che veniva indicato alle ragazze comuniste, negli anni Cinquanta, era Santa Maria Goretti. E ho detto tutto».