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 2014  marzo 20 Giovedì calendario

CHIESTO L’ARRESTO DI GENOVESE: TRUFFA ED EVASIONE


ROMA — Gli accusatori che lo vorrebbero in carcere sostengono che il potere di assegnare i finanziamenti ai cosiddetti enti per la formazione professionale (foraggiati con denaro pubblico proveniente dai fondi europei e distribuito attraverso la Regione) ce l’aveva lui, l’onorevole Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina, deputato pd di provenienza democristiana, poi Cdu, Udr, Ppi, Margherita e infine sostenitore di Matteo Renzi alle ultime primarie per la scelta del segretario democratico, figlio del senatore Luigi e nipote dell’ex ministro Nino Gullotti. Tutti col marchio dello scudo crociato. Nella richiesta di autorizzazione all’arresto recapitata l’altra sera alla Camera — la prima di questa legislatura —, Genovese viene descritto come il «vertice del sodalizio criminale» che — attraverso truffe, riciclaggio, peculato e altri reati — avrebbe sottratto milioni di euro alla loro destinazione naturale; per il proprio arricchimento e per «finalità di propaganda politico elettorale». I soldi finiti nelle sue tasche, poi, li avrebbe nascosti al fisco grazie a false fatturazioni e operazioni varie.
Dice l’interlocutore di una telefonata intercettata, che si lamentava per essere stato escluso dalle assegnazioni dei fondi: «Ero in graduatoria e mi hanno levato... Poi che cosa è successo, ho parlato con Genovese, Francantonio, e gli ho detto “minchia, ma qua vi siete finanziati tutti i progetti, io sono rimasto fuori, vi sembra giusto... come un disgraziato?”. E me ne aveva fatto passare due...». Un uomo potente, insomma, capace di disporre per sé e per gli altri. Che stando ai risultati dell’indagine coordinata dal procuratore di Messina Guido Lo Forte e dall’aggiunto Sebastiano Ardita, condivisi dal giudice Giovanni De Marco, aveva messo in piedi un sistema quasi infallibile per succhiare denaro pubblico e moltiplicare i guadagni.
La società Aram, ad esempio, tra il 2006 e il 2012 ha ricevuto finanziamenti dalla Regione per oltre 23 milioni di euro, è gestita da un uomo di fiducia di Genovese e un intercettato afferma che dentro ci sono pure i parenti dell’onorevole («ne ha due per ogni cosa, li ha là come gli scacchi»); la Lumen invece ha preso un po’ più di 3 milioni e 300mila euro, e legale rappresentante è Elena Schirò, cognata del deputato pd. Ebbene, secondo le risultanze dell’inchiesta, dopo aver ottenuto i fondi (grazie anche alla compravendita dei corsisti: un gruppo cede all’altro gli apprendisti da formare in cambio di una percentuale sui finanziamenti), la Aram e la Lumen hanno preso in affitto sedi dalla società Centro Servizi 2000, amministrata da Chiara Schirò, moglie dell’onorevole, arrestata a luglio per la stessa indagine e tornata libera due mesi fa. Le cifre pagate sarebbero state molto superiori a quelle di mercato, e il giudice accusa: «I gestori della Lumen e della Aram, ove avessero operato con correttezza ed oculatezza amministrando denaro di loro pertinenza e non denaro pubblico, non avrebbero mai accettato canoni così esosi, che hanno determinato un depauperamento delle risorse pubbliche».
Al centro del sistema, ribadiscono gli inquirenti, c’era sempre lui, il parlamentare dai robusti agganci negli enti locali. Che per occultare i propri guadagni illeciti avrebbe messo in piedi la Caleservice s.r.l.. amministrata dal 2010 da un’altra cognata, Giovanna Schirò. Genovese detiene il 99 per cento della società di consulenza, ma nella doppia veste di proprietario e «sostanzialmente unico cliente» ha trasferito alla Caleservice alcuni milioni di euro negli ultimi anni, «imputandole una serie di prestazioni inerenti le proprie esigenze personali e professionali». Tuttavia, sostiene il giudice, la vera esigenza era nascondere il denaro all’erario e «consentire evasione fiscale per il Genovese»; attraverso deduzioni e conti ufficialmente in rosso, infatti, il deputato non pagava tasse risultando sempre in credito con lo Stato.
Con una sola eccezione, i dipendenti della società sono tutti collaboratori domestici della famiglia Genovese; i loro stipendi sono così diventati costi d’impresa anziché personali, quindi deducibili dalle imposte. Al pari di altre «spese personali anche voluttuarie», come «l’acquisto di gioielli e preziosi», una barca da 300.000 euro, «un quadriciclo utilizzabile da minorenni», «arredi e gadget natalizi».
L’onorevole Genovese ha annunciato l’intenzione di sospendersi dal Pd e dal gruppo parlamentare democratico, e s’è detto certo «di poter fornire ogni chiarimento utile a escludere la sussistenza degli addebiti contestati».