Simone Porroveccio, L’Unità 19/3/2014, 19 marzo 2014
KEVIN SPACEY «LA POLITICA E’ COME UN DRAMMA DI SHAKESPEARE, GUAI AGLI SCONFITTI»
I DUEMILA, SI SA, SONO STATI LA DECADE DELLE SERIE TELEVISIVE AMERICANE, IL BRACCIO FORTE DELLA CULTURA DEGLI STATES che ha sparso immagini e ideali, sogni e valori come la Hollywood degli anni 50. Tanto che ormai quelle migliori sono prodotti che si contendono i festival cinematografici più prestigiosi. Come quello di Berlino, dove all’ultima edizione è stata presentata al mondo la seconda stagione di House of Cards, il grandioso politic-thriller con il volto dell’immenso Kevin Spacey.
House of Cards è un successo planetario con pochi precedenti. La serie è una produzione Bbc del 1990: intrighi cortigiani declinati all’americana, summa di quasi tutto il meglio il cinema Usa abbia mai scritto, detto e recitato sul dramma umano del potere. Ma Howse of Cards non sarebbe la stessa cosa senza di lui. Il suo protagonista Kevin Spacey. I 14 episodi della nuova stagione sulla rete Netflix (ancora non raggiungibile per il pubblico italiano, ma pare che per accaparrarsi la serie si stiano muovendo sia Sky che Mediaset) sono, probabilmente, la cosa più interessante mai prodotta per la televisione degli ultimi trent’anni. Nella seconda stagione però non passa inosservato il problema principale: Kevin Spacey è quasi troppo perfetto per il suo ruolo. Interpreta Francis Underwood, un politico spietato e lo fa così bene da impressionare. Ovvio, mai confondere un attore con il suo ruolo. Ma il premio Oscar Kevin (American Beauty) fa di tutto per mescolare le carte ad ogni apparizione pubblica. Ormai si veste e si muove come il suo Francis.
L’anno scorso House of Cards è stato applaudito dalla critica di tutto il mondo, non solo americana. «Molti aspetti di questa serie – spiega Spacey – non sono televisione, ma la realtà». Ad esempio, la dipendenza diventata d’acciaio negli ultimi vent’anni, tra parlamentari e media. «Sarebbe bello se la politica fosse davvero in grado di raggiungere i suoi obiettivi in modo così efficiente come mostrato in House of Cards», ha detto nientemeno che il Presidente Obama al numero uno di Netflix, la casa di produzione che ha realizzato la serie.
La storia è questa: durante la campagna elettorale, il rappresentante Frank Underwood supporta Garrett Walker, che diventa il 45° Presidente degli Stati Uniti. Ma quando Walker viene meno alla promessa fatta prima delle elezioni di affidare l’incarico di Segretario di Stato a Underwood, quest’ultimo cerca una vendetta personale puntando ai vertici politici di Washington. La versione inglese originale, interpretata dal veterano del teatro britannico Ian Richardson, prevedeva solo 4 episodi. Per quella Usa la produzione è stata adattata ai rapporti americani, nella forma e nel contenuto, cioè di un paio di numeri più grande: 13 episodi, sfondi glamour, costumi, Hollywood star dietro e davanti la macchina da presa, e più di cento milioni di budget. Tra i produttori, oltre a Spacey, è arrivato anche David Fincher, uno dei cineasti più coraggiosi d’America (The Social Network). In alcuni episodi è anche regista. In altri la regia è di un altro premio Oscar: Jodie Poster.
LA SCALATA AL SUCCESSO
Uno dei segreti del successo della serie è il magnetismo di Kevin? È lui stesso a rivelarlo: «Qui cade il quarto muro, quello della finzione cinematografica. Il mio personaggio nei momenti salienti, più intensi, guarda dritto nella camera, parla con il pubblico, chiarisce la sua tattica, commenta gli ultimi stratagemmi o deride i suoi nemici». Spacey fa suo anche il motto preferito di Underwood, che vale per la prima serie, la seconda e per la vita, non solo in politica: «Per quelli che arrivano in cima alla catena alimentare non esiste la pietà. La regola è una sola ed è semplice: cacciare, o venir cacciati. La morale di questa grandiosa serie televisiva è, più o meno, tutta qui. Vi sembra poco? Riccardo III di Shakespeare – osserva Spacey che lo ha interpretato sul palco con grandissimo successo all’Old Vic Theatre di Londra – racconta la stessa parabola. Anzi, ogni opera di Shakespeare lo fa, anche quando i personaggi parlano d’amore».
Amore che anche in House of Cards trova il suo posto. L’unica persona di cui Kevin / Francis si fidi è la moglie Claire, la bravissima Robin Wright, la manager di una fondazione di beneficenza senza scrupoli quasi quanto il consorte. Ma la politica di Washington è davvero così spietata e lontana dalla morale?
Confida Spacey: «Un senatore mi ha detto nell’orecchio che le cose raccontate in House of Cards sono fedeli alla realtà per il 99%». Neanche un’esagerazione? «Solo la velocità con cui vengono approvate le leggi». L’attore è da decenni un acceso sostenitore dei Democratici. Di Bill Clinton e del suo vice Al Gore parla come di vecchi amici. Per prepararsi al ruolo di Underwood ha accompagnato per mesi Nancy Pelosi, l’ex portavoce della Camera dei Rappresentanti. «Ho girato il mondo, ho conosciuto la politica da vicino, e non do giudizi morali sui personaggi che interpreto». Persino il Vice Presidente degli Stati Uniti Joe Biden nelle ultime settimane ha voluto trovare il tempo per incontrare l’attore. Resterebbe solo da sapere cosa pensi davvero Kevin Spacey della politica americana, attraverso la lente di quello che ha visto e imparato. «Le mie opinioni sono tremendamente noiose – dichiara candido alla stampa – Siamo onesti, non frega niente a nessuno di sentire cosa un attore abbia da dire sulla politica».