Valentina Pasquali, Pagina 99 19/3/2014, 19 marzo 2014
FINE VITA, DAL WISCONSIN UN MODELLO PER GLI USA
WASHINGTON. Nel 2012 la sanità pubblica americana di Medicare (che garantisce le cure agli over 65) ha speso 50 miliardi di dollari per pagare dottori e servizi ospedalieri ai malati che si trovavano negli ultimi due mesi di vita. Si tratta di una cifra superiore al budget dei dipartimenti della Sicurezza nazionale e dell’Educazione. Tra il 20 e il 30% di quei fondi, inoltre, è andato a interventi senza nessun beneficio per i pazienti, attaccati a tubi di vario genere e bombardati di medicinali sotto gli occhi vigili dei responsabili dei reparti di terapia intensiva.
La spesa sanitaria in cui incorrono i governi per fornire prestazioni mediche ai cittadini alla fine della vita è enorme, in particolare nel mondo di oggi in cui frequentemente ci si trova a passare le proprie ultime ore, settimane o mesi ricoverati in ospedale e trattati aggressivamente dagli specialisti con ogni forma disponibile di innovazione tecnologica e scientifica.
Pare ora, però, che una cittadina del Wisconsin sia accidentalmente incappata in una possibile soluzione, che migliora la qualità della vita dei malati terminali e simultaneamente contribuisce a contenere i costi delle loro cure. Il 96% di chi muore a La Crosse, città che si trova nell’ovest di questo stato del Midwest americano, è infatti in possesso di una direttiva preparata con anni di anticipo su come preferisce essere assistito durante l’ultimo periodo di vita, una sorta di testamento biologico. La media nazionale si aggira sul 30%.
È questo il risultato di una campagna lanciata anni fa piuttosto casualmente da Bud Hammes, un esperto di etica medica impiegato presso un ospedale locale, il Gundersen Health System. Stanco delle tante dolorose conversazioni avute con le famiglie di coloro che da anni convivono con l’Alzheimer, oppure si trovano in coma dopo un ictus, su come organizzare il loro trattamento, Hammes ha cominciato ad addestrare le proprie infermiere affinché interrogassero direttamente i pazienti ancora lucidi sulle loro preferenze per la fine della vita, invitandoli a redigere un documento, una sorta di testamento biologico, che le mettesse nero su bianco.
La diffusione di questa dichiarazione anticipata di trattamento ha fatto sì che la maggior parte della gente di La Crosse, invitata a riflettere su queste questioni in anticipo sui tempi, ha cominciato a dire di no all’accanimento terapeutico.
Una preferenza che, automaticamente, riduce anche i costi della sanità. «Abbiamo scoperto che se si permette ai pazienti di scegliere e guidare l’organizzazione delle cure che ricevono, decidono per trattamenti molto meno costosi», ha dichiarato a Npr, la radio pubblica americana, Jeff Thompson, il Ceo dell’ospedale Gundersen.
Del resto, secondo il network televisivo Cbs, ventiquattro ore in terapia intensiva costano circa 10 mila dollari e molti americani vi rimangono per giorni, settimane, talvolta mesi. Complessivamente, tra il 18 e il 20% dei cittadini di questo paese muore in questo reparto. Non deve sorprendere dunque che il 30% della spesa sanitaria pubblica sia destinato all’ultimo anno di vita degli americani, e un terzo di questo 30% all’ultimo mese.
Le cose stanno invece diversamente a La Crosse. Secondo il Dartmouth Health Atlas, un programma dell’università di Darmouth in New Hampshire che colleziona statistiche sulla spesa medica negli Stati uniti, questa cittadina sborsa decisamente meno fondi che il resto del paese per le terapie ricevute dai malati terminali. Al Gundersen, per esempio, il costo medio delle cure cui si sottopone chi si trova a vivere i propri ultimi due anni di vita è di circa 18mila dollari. La media nazionale è di 26mila dollari. In’un ospedale di New York, nota sempre Npr in un altro pezzo sull’esperienza di La Crosse che risale al 2009, è di più di 75mila dollari.
Questo non era l’obiettivo dell’iniziativa voluta da Bud Hammes, il quale voleva semplicemente alleggerire le famiglie dei malati terminali, in particolare quelli non più capaci di decidere del proprio futuro, del peso della responsabilità di dover scegliere per conto loro.
La riduzione della spesa medica è stato solo un effetto secondario delle decisioni prese indipendentemente e liberamente dai pazienti. I quali, meglio informati delle alternative effettivamente a disposizione, finiscono spesso per preferire trattamenti più soft di quelli somministrati in maniera pressoché automatica negli ospedali, o richiesti dai familiari sconvolti, confusi e pieni di sensi di colpa.