Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 19 Mercoledì calendario

ALADDIN, IL GENIO ELETTRONICO CHE COMANDA BLACKROCK


Il nome è inquietante. Blackrock, la roccia nera. Un monolite atterrato a fine febbraio nel capitale di Intesa Sanpaolo con una quota del 5 per cento, diventandone il secondo socio dopo la compagnia Sanpaolo e soprattutto scavalcando la potente Cariplo dell’eterno gran capo delle Fondazioni, Giuseppe Guzzetti. Poi, il 7 marzo, ha aumentato il suo peso in Unicredit di cui oggi è il principale azionista: qualche giorno prima della presentazione dei conti 2013 dell’istituto milanese, la partecipazione è infatti salita al 5,24 per cento.

A DICEMBRE l’Economist gli ha dedicato la copertina: “Chiedete ai teorici del complotto chi secondo loro fa girare l’economia mondiale e vi risponderanno banche globali come Citigroup o Jp Morgan, altri citeranno i campioni del petrolio come Exxon e Shell oppure multinazionali come Apple, McDonald’s o Nestlè. Di solito non compare nella lista Blackrock, eppure è uno degli azionisti più importanti di tutte queste grandi società”.
Le incursioni in Italia si sono intensificate di recente. Quelli su Intesa e Unicredit sono gli ultimi passi di una strategia molto più aggressiva rispetto al passato sul mercato italiano da parte del fondo che è diventato uno dei maggiori azionisti stranieri di Piazza Affari. Con qualche incidente. Come quello capitato a dicembre durante lo shopping in Telecom Italia, di cui Blackrock è diventato il secondo azionista. La Consob aveva sollevato un polverone perché gli americani avevano comunicato ai colleghi Usa (la Sec) che sarebbero saliti sopra il 10 per cento del gruppo, senza dire niente ai diretti interessati né al regolatore. Un misunderstanding, avevano replicato gli americani perché la cifra comunicata alla Sec era sbagliata in quanto teneva conto del prestito convertendo da 1,3 miliardi che alla scadenza verrà convertito in azioni. Altri incidenti di percorso nel dicembre 2011 proprio con Unicredit (prima Blackrock dichiarò di essere sceso dal 4,024 per cento all’1,71 per cento, proprio mentre era in corso l’aumento di capitale, e poi confermò la propria quota, oggi portata sopra il 5 per cento) e poi a gennaio del 2013 con Saipem, quando il fondo aveva venduto la sua quota del 2,3 per cento il giorno prima dell’allarme utili lanciato dalla società che aveva poi mandato a picco il titolo alla seduta successiva. Un’operazione dal tempismo sospetto che ha fatto partire una procedura investigativa da parte della Consob.
Il carnet di partecipazioni è sempre più ampio. Da Atlantia, controllante a monte di Autostrade per l’Italia, ad Azimut, da Prysmian a Ubi Banca tanto per citare gli ultimi acquisti. Il fondo statunitense è stato protagonista anche della quotazione di Moncler: voleva il 20 per cento, si è accontentata di poco più dell’1. A queste azioni vanno aggiunti anche i Btp e i cosiddetti Credit default swap della Repubblica italiana.
Perché tutto questo interesse per l’Italia? Di mestiere Blackrock, che ha sede a New York e conta circa 11.200 dipendenti sparsi in 30 nazioni, fa il fondo di investimento. Ovvero raccoglie il denaro di tutta una serie di investitori, anche piccoli, e lo impiega in diversi modi per farlo rendere. Al 31 dicembre del 2013 il patrimonio gestito globale ammontava a 4.324 miliardi di dollari ripartito tra strategie azionarie, obbligazionarie, monetarie, investimenti alternativi e nell’immobiliare. Parliamo di poco meno del doppio del debito pubblico nostrano, per intendersi. Sempre a fine 2013, in Italia gli asset in gestione da parte di Blackrock erano 52 miliardi di dollari con 8 miliardi raccolti nel corso dell’anno. Il gigante Usa, oggi guidato a livello mondiale da Laurence Fink, è presente nel nostro Paese con un ufficio a Milano dal 2000, quando il mercato del risparmio gestito era acerbo. Ha cominciato servendo clienti istituzionali o con relazioni distributive sotto l’egida di Merrill Lynch investment managers limited che nel 2007 viene acquistata appunto da BlackRock. Nel 2009 sotto il controllo della “roccia nera” finisce anche Barclays Global Investors che porta in dote iShares uno dei principali fornitori mondiali di Etf, quei fondi le cui quote sono negoziate in Borsa in tempo reale come semplici azioni, attraverso una banca o un qualsiasi intermediario autorizzato. L’ufficio di Milano si occupa dei servizi alla clientela con tre forze vendita, una persona dedicata al retail ovvero alla vendita dei fondi di investimento, una sugli Etf e una su clienti istituzionali che gli hanno affidato il mandato di gestione. La squadra italiana è guidata da Andrea Viganò, ex Merrill Lynch Investment Managers che coordina circa 40 persone e altri cinque top manager: Bruno Rovelli (responsabile dell’analisi dell’andamento del mercato e responsabile degli investimenti per l’Italia), Alberto Salato (direttore e capo delle vendite istituzionali), Andrea Argenti (capo delle vendite retail), Emanuele Bellingeri (responsabile per l’Italia di IShares) e Doriana Accardi (capo del marketing)

IL MERCATO ITALIANO è considerato appetibile per l’alta propensione delle famiglie a risparmiare e a non indebitarsi. La materia prima dunque c’è. E si intravede anche qualche segnale di ripresa. La strategia con la quale il fondo si muove a caccia di occasioni è, dunque, di mercato: quando Blackrock investe, due terzi dell’attività vengono concentrate sulle cosiddette gestioni passive: ovvero il cliente (un gestore, una famiglia o un altro fondo) compra gli Etf del colosso americano che non fanno altro che replicare fisicamente i titoli che compongono l’indice Eurostoxx50. L’altro terzo di attività di investimento ha invece natura attiva e viene svolto da gestori localizzati in varie città del mondo come Londra, Hong Kong o San Francisco che devono selezionare le aziende. Il risultato sono decine e decine di portafogli amministrati per conto dei clienti e dei loro interessi.
C’è quindi da preoccuparsi? Ci troviamo di fronte a un cavaliere oscuro pronto a invaderci, a trafugare pezzi di made in Italy per conto di mani misteriose e a strappare via l’anima (ma c’è ancora?) della finanza tricolore? Non esageriamo. L’alone di mistero è sicuramente alimentato dall’ esenzione, prevista dal regolamento emittenti solo per i fondi, che permette di non dichiarare le quote inferiori al 5 per cento conquistate nel capitale di molte nostre società. Ma la strategia è di mercato. Anzi, spesso a supportare le scelte di investimento è un computer. O meglio, una piattaforma tecnologica che si trova a East Wenatchee, sulle colline dello Stato di Washington, e si chiama: Aladdin. Nome curioso che è l’acronimo di “Asset liability and debt derivatives investment network”. Il sistemone rumina dati per tradurli nelle scelte di investimento di 170 fondi pensione di tutto il pianeta, più fondi sovrani e banche. In sostanza Aladdin tiene sott’occhio 15 mila miliardi di dollari, cioè il 7% degli asset globali, calcolando l’impatto di vicende monetarie e politiche sulla sicurezza degli investimenti. Secondo l’Economist, Blackrock è “colpevole” di aver creato una sorta di “pensiero unico” sui mercati che può condizionare i mercati finanziari con un impatto indiretto anche sulla politica dei singoli Stati. Di certo si tratta un sistema di tecnologia avanzata sviluppato in casa da Blackrock per ottimizzare l’analisi del rischio e la creazione dei portafogli. Prima è partito come servizio interno poi il livello di sofisticazione è stato tale che i clienti hanno chiesto di usarlo anche per gli investimenti fatti con soggetti diversi dal fondo americano. Così dal 2000 nasce così Blackrock Solutions, una vera e propria divisione tecnologica cui si appoggiano più di 200 operatori mondiali e che mette in comune le risorse di informatica con un traffico di circa 15 mila miliardi di dollari, di cui 11 mila miliardi provenienti da altre istituzioni. Ecco quindi chi è entrato nei salotti della finanza italiana: non un monolite radioattivo, non un cavaliere oscuro. Ma il genio della lampada.