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 2014  marzo 19 Mercoledì calendario

L’EUTANASIA C’È GIÀ, MANCA LA LEGGE


Ora che ne ha parlato anche Giorgio Napolitano, di eutanasia, molti di voi faranno spallucce: «Il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita... Drammatici sono d’altronde i dati resi noti da diversi istituti che seguono il fenomeno».
Lo ha scritto il Capo dello Stato all’associazione Luca Coscioni, che ha organizzato un incontro sull’eutanasia e vorrebbe che il Parlamento elaborasse finalmente una legge. Ecco: se farete spallucce, se per caso appartenete alla genia del tipo «abbiamo altro a cui pensare», è giusto che sappiate che è proprio su di voi che questa classe politica fa affidamento da decenni per impaludare il Paese in un perenne ritardo culturale e legislativo. La maggior parte dei politici non è intimamente contraria a questo o quel provvedimento, non è contraria, cioè, ad adeguare gli standard italiani a quelli europei su un tema imprescindibile come questo; è che i politici italiani, storicamente, preferiscono occuparsi d’altro, non toccare argomenti che non portano gran voti e che fanno tanto arrabbiare la Chiesa, e, nel loro privato, preferiscono arrangiarsi come facciamo noi tutti o ancora delegare alla giurisprudenza (cioè alla magistratura) le regole frammentarie e incerte che regolano malamente certi diritti e doveri. Preferiscono fare così. E aggiungiamo, di passaggio, che legiferare su certi temi non rallenterebbe neppure l’azione su altri temi: i diversi ministeri esistono per questo.
C’è da giurare che anche la sortita di Napolitano cadrà nel vuoto. Non facciamo che parlare di Europa, ma si deve varcare il confine italiano per un sacco di cose: dalla fecondazione assistita al suicidio assistito, dalla culla alla bara. E l’eutanasia? Per quella, in realtà, non serve neppure andare all’estero: basta avere qualche buona conoscenza tra quei medici che affrontano il problema ogni giorno, da decenni, anche ora mentre noi ne parliamo. Non ci si stancherà mai di ricordare, anche su questo giornale, che il decesso di centinaia di migliaia di pazienti, in Italia, è accompagnato da un intervento segreto e non dichiarato dei medici: da noi l’eutanasia esiste, decine di studi testimoniano che la sospensione delle cure e l’eutanasia sono tranquillamente praticati. L’importante è non ammetterlo pubblicamente, nascondere la polvere sotto il tappeto, lasciare che uno Stato che non vuol farsi moderno sia regolato dai soldi e dalle conoscenze, com’era per l’aborto, come è ancora per i divorzi della Sacra Rota.
Ma la politica italiana certe questioni le lascia nell’ombra, lasciando dolosamente scoperti degli spazi di cui la magistratura a un certo punto è costretta a occuparsi. Se ne discute, certo: ma poi finisce lì. In Italia discutiamo di principi ma non facciamo le leggi, all’estero invece guardano alla vita reale e fanno leggi che cercano di regolarsi alla meno peggio: senza pretendere di rispondere ai grandi quesiti della vita. Una legge necessaria: è quello che da tempo immemore chiedono la società civile, i medici, tutti i livelli della Magistratura, il Consiglio superiore di sanità, persino qualche politico: e intanto, nell’attesa, ce la caviamo segretamente da soli, lontani dai riflettori. Senza contare che lagnarsi dell’ignavia della politica, oltretutto, può essere pericoloso: perché il Paese reale con le sue soluzioni sottaciute, spesso, resta migliore di un Parlamento che è notoriamente occupato da pigiabottoni (in maggioranza) e che il polso della realtà insomma non ce l’ha. Il rischio, cioè, è che la politica finalmente se ne occupi: e sforni dei pateracchi come quello sul testamento biologico (mai varato, per fortuna) o peggio quello sulla fecondazione assistita (varato, purtroppo). In questo quadro, a dividere le coscienze non sono i dibattiti o i pur benemeriti richiami di Napolitano: sono i vissuti personali, le laceranti esperienze private di chi ha dovuto affrontare il problema ma non ha cercato il clamore civile dei casi Welby o Englaro, per dirne un paio.
«Sento profondamente la drammaticità del travaglio che hanno vissuto altri partecipanti alla conferenza stampa per le disperate vicende dei loro cari», ha scritto Napolitano. Forse altri, viceversa, non sentono profondamente la drammaticità di un accidente: o così parrebbe. Anche perché, ridotte all’osso, le tesi dei nostri «dibattito» restano sempre due: qualcuno pensa che la nostra vita ci appartenga, altri invece pensano che appartenga a un dio o a uno stato. I primi rispondono di se stessi a se stessi, i secondi invece rompono l’anima a tutti e pensano di occuparsi del bene del mondo. I primi sono tolleranti e pensano che ciascuno possa fare ciò che vuole (anche della propria vita) e i secondi invece pensano che i primi debbano fare quello che dicono loro. Si parla di questo, si discute di questo. Si fa filosofia. Ma non si fa una legge.