Francesca Angeli, il Giornale 19/3/2014, 19 marzo 2014
UNIVERSITÀ IN ETERNA CRISI CALATE LE MATRICOLE E SOLO LA METÀ SI LAUREA
Solo uno su due arriva alla laurea. Gli studenti italiani nel loro percorso universitario accumulano fallimenti, ritardi ed abbandoni in misura maggiore rispetto ai loro coetanei europei. La bolla della Riforma universitaria, quella del 3 più 2, dopo 15 anni si è definitivamente sgonfiata e il primo Rapporto Biennale sullo Stato del Sistema dell’Universitàe della Ricerca messo a punto dall’Agenzia nazionale di Valutazione, Anvur, fotografa in sostanza un fallimento. Ci sono ancora eccellenze anche nel settore della Ricerca ma il sistema è in affanno e non riesce a recuperare il gap coi partner Ue. È vero che tra il ’93 e il 2012 il numero dei laureati tra i giovani tra i 25 e i 34 anni è passato dal 7,1 al 22,3 per cento ma comunque l’Italia resta sotto la media dei laureati Ue, 35 ogni 100, e lo scarto è rimasto quello di vent’anni fa.Non solo:attenzione al segno positivo sul numero dei laureati perché dentro ci sono sia quelli della triennale (in realtà non confrontabile con le lauree pre-Riforma) sia quelli della magistrale. I laureati aumentano del 30 per cento dai 161.000 del 2000 ai 290.000 del 2005 per poi assestarsi intorno ai 210.000 negli ultimi anni. L’aumento iniziale dovuto al boom della triennale però sta implodendo e il segnale preoccupante è rappresentato dal calo delle immatricolazioni che nel 2012/2013 scendono del 20,4 per cento.
A questo dato va affiancato quello tutto italiano degli abbandoni e dei fuoricorso. Quasi il 40 per cento dei ragazzi iscritti alla laurea di primo livello non arriva alla meta. Più bassa la percentuale di fallimenti nei corsi a ciclo unico (come Medicina, Architettura o Ingegneria) dove evidentemente le iscrizioni sono maggiormente ragionate e motivate. Non solo. Il tempo medio per il conseguimento del titolo nei corsi triennali di primo livello è di oltre 5 anni. Comunque su 100 immatricolati soltanto 55, poco più della metà, conseguono il titolo contro una media Ue del 70 per cento. Non bisogna dimenticare poi che in Italia aumentano drammaticamente i Neet (Non in Education, Employment, Training) ovvero giovani under 35 che non studiano, non lavorano e non seguono un programma di formazione: quasi quattro milioni di persone.
Nel Rapporto si cerca di dare una risposta al ritardo italiano. Tra i fattori individuati anche «la mancanza di un’offerta di corsi universitari professionalizzanti che nella media Ue pesano per circa il 25 per cento sul totale dei laureati». Certo una delle ragioni è sicuramente anche la progressiva riduzione delle risorse. Il finanziamento da parte del Ministero dell’Istruzione si è ridotto di circa un miliardo rispetto al 2009.
L’Italia spende molto poco anche per la ricerca che, al contrario di quanto accade negli altri Paesi, non attrae neppure i finanziamenti privati. Le risorse pubbliche investite sono lo 0,52 del Pil ovvero lo 0,18 in meno rispetto alla media Ocse, pari a circa 3 miliardi di euro. Sul fronte dei finanziamenti andiamo male anche nel rapporto con l’Europa alla quale diamo più di quanto riceviamo. Ovviamente per «colpa» nostra. Nei primi 6 anni del settimo programma quadro per la ricerca e l’innovazione per l’Italia si registra un bilancio negativo tra il nostro contributo e la quota ricevuta. Per ogni euro investito infatti abbiamo avuto indietro 0.65 centesimi. Perché? L’Anvur spiega che lo scarto «è dovuto alla poche risorse impiegate nel settore della ricerca nel nostro Paese». Insomma non siamo capaci di spendere soldi che sarebbero a disposizione.