Goffredo De Marchis, la Repubblica 19/3/2014, 19 marzo 2014
MATTEO FISSA L’ASTICELLA “IL PD ALLE ELEZIONI DEVE SUPERARE IL 30%”
Secondo i sondaggi l’obiettivo è lì, a portata di mano. «Le intenzioni di voto danno il Pd al 30, addirittura al 31 per cento», racconta Matteo Renzi. «Ma sono tarate sulle politiche», aggiunge il premier con un pizzico di cautela. Le Europee sono un’altra cosa, si vota con il proporzionale e con la preferenza. Renzi farà una campagna elettorale ridotta all’osso, anche se pensa di rinforzare la squadra democratica in vista del 25 maggio con la nomina di uno speaker del Pd, un numero due che abbia forza e visibilità. Potrebbe essere una speaker per rispondere alle polemiche sulla parità di genere. E il nome in cima alla lista di Renzi è quello di Debora Serracchiani.
A Largo del Nazareno dove i numeri e le liste sono in mano al coordinatore Lorenzo Guerini cercano di volare bassi. Si parte dal 26,1 per cento preso all’ultima tornata continentale. Segretario era Dario Franceschini dopo lo choc delle dimissioni di Walter Veltroni. Il Pd portò a Strasburgo una pattuglia di 22 eurodeputati. È cambiato il mondo da allora. Dentro il Partito democratico ma soprattutto fuori con l’emergere di forze antieuropeiste che solo in Italia hanno sfondato il muro del 20 per cento. E nel frattempo la crisi economica ha fatto scendere la fiducia degli italiani nell’Europa al 28 per cento. Bruxelles è lontana, burocratica, affezionata al rigore, molto più vicina a Berlino che a Roma, Napoli o Milano. Per questo Renzi, quando parla del 25 maggio, preferisce partire dal dato del 2009 e fissare l’asticella minima a due punti percentuali sopra il 26 per cento. Ma spera e lavora per sfondare la soglia psicologica del 30 per cento. Va in questo senso la scelta di investire il tesoretto di 10 miliardi sul taglio dell’Irpef anziché sull’Irap. Va sempre in questa direzione l’accelerazione sulla riforma elettorale e sulle riforme costituzionali, segnali che devono, nelle intenzioni, arginare l’onda dell’antipolitica.
Per raggiungere quel risultato e per avere una navigazione tranquilla fino al 25 maggio, il premier sta ricucendo i rapporti con i big del passato. Per la minoranza ha individuato in Massimo D’Alema l’unico in grado di farlo scivolare prima del voto e la sua partecipazione amichevole alla presentazione del libro dell’ex ministro degli Esteri va letta in quest’ottica. Con Pierluigi Bersani il dialogo prosegue e le aperture dell’ex segretario sulle riforme economiche sono interpretate a Palazzo Chigi come un segnale positivo. Il problema è che il Pd è attraversato oggi da tante correnti e sottocorrenti che possono complicare la compilazione delle liste.
Renzi sta valutando la forza delle candidature. Non ci sarà il suo nome in lista e nemmeno quello di molti altri big. Verranno invece confermati gli uscenti, con l’eccezione di chi si è dimesso o abbandonerà volontariamente. Il rinnovamento nella competizione per Strasburgo non è semplicissimo: l’Europarlamento non ha l’appeal di Montecitorio o di Palazzo Madama. Ma Guerini si prepara a pescare nel bacino degli amministratori locali del partito. Molto più che nel cerchio renziano dei personaggi illustri. Anche perché al Nazareno danno per scontato che almeno il 50 per cento degli uscenti avrà molti problemi a tornare in Europa. Bisogna quindi scegliere altri candidati capaci di intercettare voti e preferenze. Alcuni capolista sono già praticamente ufficiali: Michele Emiliano al Sud, David Sassoli, capogruppo del Pd a Srasburgo nella circoscrizione del Centro. Altri raccogli-preferenze possono essere Gianni Pittella nel Mezzogiorno così come Andrea Cozzolino, Roberto Gualtieri al Centro. Ma non basta, certo.
La campagna di Renzi si affida alla velocità di azione del governo. Il premier non esclude qualche uscita tradizionale da front man elettorale. Ma il punto è dimostrare che il governo fa e fa in maniera rapida. Per questo si punta ad avere un testo di riforma del Senato in tempo utile per farne strumento di propaganda elettorale. Per questo gli 85 euro di aumento per 10 milioni di italiani scatteranno il primo maggio, anche se si vedranno nella busta paga del 27. Il 30 per cento è un obiettivo possibile, serve a superare il “trauma” di un’ascesa al governo avvenuta senza passare dal voto popolare. È il trampolino che Renzi cerca per una legittimazione piena o più piena. E per guardare al 2018.