Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera 19/3/2014, 19 marzo 2014
UNA SCOMMESSA CHE ALLA RUSSIA COSTERÀ MILIARDI
Invadere la Crimea è come giocare d’azzardo. Vladimir Putin ha già lasciato sul tappeto un gettone che vale tra i 35 e i 50 miliardi di euro. La cifra necessaria, secondo gli esperti militari, per finanziare la mobilitazione di oltre 60 mila soldati, compresi quelli ammassati al confine con l’Ucraina. Oltre, naturalmente, a blindati, elicotteri, aerei, navi. Quasi il doppio della spesa sostenuta per l’Olimpiade di Sochi, con la differenza che le gare sono finite, mentre il tassametro dell’occupazione continua a girare. Un’altra uscita certa è la copertura del bilancio pubblico di Sinferopoli. La valutazione ricorrente raggiunge i 315 milioni di euro all’anno, ma il quotidiano economico russo «Vedomosti» (gruppo Pearson, lo stesso del «Financial Times») spinge la quota fino a 1,5 miliardi di euro, al netto della cuccagna promessa dal premier filorusso, Sergei Aksionov. Fin qui i costi materiali: fanno 39 miliardi di euro o 51,5 nell’ipotesi peggiore. Poi c’è la finanza. Difficilmente torneranno nelle casse della Banca centrale di Mosca i 7,8 miliardi di euro gettati sul mercato nella prima metà di marzo per puntellare la frana del rublo. L’esibizione dei kalashnikov ha accelerato la fuga dei capitali dalla Russia. Nel 2013, calcola Goldman Sachs, hanno preso il volo 45 miliardi di euro; a marzo 2014 sono già 35,8 miliardi. Con questo ritmo si può arrivare tranquillamente a 93 miliardi a fine anno. A quel punto l’Istituto centrale dovrebbe spenderne 43 di miliardi per tenere a galla la moneta nazionale. Fermiamoci qui, perché comincia a diventare difficile tirare le somme. Sulla casella finanza Putin ha già perso 43,7 miliardi di euro (tra fuga di capitali e sostegno al rublo) e può arrivare a 136 alla fine dell’anno (senza contare il crollo della Borsa). Il totale (parziale) di perdite certe oscilla tra i 75 e i 95 miliardi di euro. Altri, come la rivista «Business New Europe», arrivano addirittura a 400 miliardi di dollari (286 miliardi di euro), aggiungendo altre voci più aleatorie come il costo degli interessi sui titoli di Stato o le esposizioni delle banche russe all’estero. In ogni caso una cifra, pari come minimo al 5-6% del Prodotto interno lordo, tutta appostata sulla potenzialità dei campi petroliferi al largo di Yalta. Putin non si fida degli «impostori» di Kiev, ma sta trascinando tutta l’economia russa nella scommessa più rischiosa degli ultimi vent’anni.