Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 13 Mercoledì calendario

LUICI GIUDICI – LA SUORE CHE SALVO IL PAPA

Nel giorno del ventottesimo anniversario dell’attentato di Ali Agça a Giovanni Paolo II in piazza San Pietro (nonché del novantaduesimo anniversario dell’apparizione della Madonna a Fatima) pubblichiamo un’intervista esclusiva a suor Lucia Giudici, la religiosa che dopo 27 anni di silenzio racconta come bloccò Ali Agca in piazza San Pietro il 13 maggio 1981.

Gli spari, il segno del sangue nella casa di Pietro, lo stupore della folla, Ali Agca che con la pistola in pugno cerca di seminare terrore fra la gente per cercare una via di fuga. Davanti a lui si para una giovane religiosa bergamasca: e’ suor Lucia Giudici, oggi suor Letizia, che coglie un momento di panico dell’attentatore per saltargli addosso e per bloccarlo. ”E’ stata la prima catechesi che ho fatto ai turchi”. Parla per la prima volta, dopo quasi 27 anni di silenzio, la donna che ha segnato la storia di un Papa e della Chiesa. Anche lei Lucia, come suor Lucia, l’ultima veggente di Fatima custode del “Terzo segreto”. “La Madonna non ha salvato solo la vita del Papa ha salvato anche me” dice suor Lucia, “quel fatto mi ha scombussolato l’esistenza”. La testimonianza, in esclusiva mondiale, nell’anno, il 2008, che potrebbe portare Giovanni Paolo II alla gloria degli altari.

“Detesto cordialmente i giornalisti, forse perche’ sono allergica alla popolarita’, ma questo giornalista, il dottor De Carli, e’ l’unico che e’ riuscito, dopo quasi 27 anni, a portarmi davanti a un microfono e a farmi parlare davanti a una platea cosi’ illustre”. La seguo nel salone della Residenza Le Peschiere, dell’Opus Dei, nella localita’ Albaro di Genova. Con me il pro-vicario dell’arcidiocesi, monsignor Luigi Borzone; Davide Viziano, presidente dell’Unione Cattolica Imprenditori e Dirigenti (UCID) della Liguria; Fabio Doppiero e Pierluigi Ponzoni, nonche’ Gianni Scerni, armatore, organizzatori della presentazione del volume: “L’ultima veggente di Fatima. I miei colloqui con suor Lucia”, del Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone.

Parla in un clima teso, elettrico. Suor Lucia Giudici e’ una mitraglia. E’ una donna forte, energica. Interviene due volte, nel salone affollatissimo, quasi per recuperare oltre un quarto di secolo di silenzio. Il silenzio di una protagonista che, inghiottita dal nulla, si era portata con se’ il momento piu’ drammatico del pontificato di Giovanni Paolo II. Quel segno di sangue, i due spari del killer turco Ali Agca in piazza San Pietro il 13 maggio 1981, il giorno stesso della memoria liturgica della Madonna di Fatima, apparsa ai tre pastorelli, Giacinta, Francesco e Lucia, il 13 maggio 1917. La pallottola che viene incastonata nella corona della Vergine alla Cova da Iria. Date, coincidenze misteriose, segreti e profezie che illuminano la storia, la vita di un Papa che si ferma, per una “mano materna”, sulla “soglia della morte”.

Suor Lucia Giudici e’ diventata celebre, suo malgrado. Per caso, o per un disegno provvidenziale, si e’ trovata, in quel pomeriggio del 13 maggio 1981, in piazza San Pietro. Davanti a lei la figura di un giovane, gli spari, il breve inseguimento, il “placcaggio”. Lucia di Fatima, l’ultima veggente, diventera’ suora carmelitana a Coimbra e custodira’ per piu’ di cinquant’anni il “Terzo segreto” che conteneva la cupa profezia dell’assassinio di un Papa; un’altra suora, Lucia, fermera’ l’attentatore. Da perdere la testa! “Una piccola suora bergamasca sbaraglia gli 007 del Vaticano”, titoleranno i giornali del mondo.

Dopo il processo ad Agca, scompare. Cerca di far perdere le tracce e di seminare i giornalisti che la assediano. Durante l’estate e’ missionaria in Burundi poi, per desiderio della mamma, nella Congregazione di diritto diocesano che l’accoglie, quella delle Suore Francescane di Nostra Signora del Monte, fondata a Genova nella seconda meta’ del Settecento da Madre Rosa Bianchi, prende il nome di Letizia. La perfetta letizia e’, infatti, alla base della spiritualita’ di san Francesco. Suor Letizia/Lucia riesce cosi’ a mimetizzarsi. Finche’ qualche settimana fa, per una stranissima serie di coincidenze, riesco a rintracciarla. Le prime telefonate sono “ruvide”. Sento che la religiosa e’ arrabbiata, teme il solito tranello mediatico. Fornisco tutte le garanzie e le spiego che nessuno puo’ sottrarsi al destino, che quel destino puo’ essere definito “provvidenziale”, che aveva ragione il presidente Pertini quando esclamo’: “Questa suora non ha salvato il Papa, ha salvato l’Italia!”.

Alla seconda telefonata suor Lucia scioglie la riserva. Un piccolo miracolo della Madonna di Fatima? Come un piccolo miracolo e’ questa intervista, ricavata dal suo intervento, che puo’ essere definita – senza toni roboanti – una “esclusiva mondiale”. Racconta Lucia, nata a Vilmaggiore, frazione di Vilminore di Scalve in provincia di Bergamo, quei minuti terribili in piazza San Pietro. Gli spari, l’incredulita’ dei pellegrini, Papa Wojtyla che si accascia sanguinante sulla jeep bianca, l’arresto dell’attentatore, il suo delirio per un gesto inaudito. Un racconto che offriamo ai lettori all’inizio di un anno, il 2008, che potrebbe essere consegnato alla storia della Chiesa come l’anno della beatificazione, della glorificazione di Giovanni Paolo II.

“Catturando Agca ho fatto la prima catechesi ai turchi – commenta suor Lucia Giudici -; mi sono trovata davanti ad un uomo che mi ha scombussolata, piu’ del fatto di aver sparato al Papa”.

Possiamo parlare della “mano della Provvidenza”. Non e’ un caso, suor Lucia, che lei si sia trovata li’?

“Devo convincermi di questo. Anch’io ho rischiato la vita, insieme al Papa, perche’ mi sono trovata di fronte a un uomo con la pistola ancora fumante in mano che cercava di svignarsela. Devo ringraziare Dio per come ho reagito e devo ripropormi di annunciare quanto e’ bella la vita, soprattutto la vita dei bambini che sono protagonisti dell’incontro con la Madonna, col soprannaturale”.

Lei, infatti, ha deciso di stare con loro. E’ insegnante alle elementari a Genova e fa catechismo ai ragazzi delle medie inferiori in una parrocchia. Ma la curiosita’ e’ molta. Ci puo’ descrivere quella scena, farci rivivere per fotogrammi cio’ che e’ accaduto in piazza San Pietro il 13 maggio 1981?

“Io mi trovavo in piazza San Pietro perche’ all’udienza del mercoledi’ avevo accompagnata una consorella che veniva dal Burundi. Da Grottaferrata io e suor Natalina prendiamo la metropolitana. Arriviamo con largo anticipo. Non avevamo il biglietto prenotato, percio’ c’era un po’ di apprensione.

Quale?

“Di non vedere il Papa. Chi e’ fuori dalle transenne e’ un povero Cristo che deve confidare nella fortuna. Alle 16,55 udiamo una campanella e da lontano scorgiamo la macchina del Santo Padre che fa il giro. Io mi trovavo ad est della piazza, verso le poste vaticane. Passa il Papa e ci volge le spalle. ‘Tanto sforzo, tanta fatica, vieni dal Burundi per vedere il Papa’. Un signore mi dice: ‘ Che suora brontolona! Guardi che il Santo Padre rifa’ il percorso’ ”.

E’ successo cosi’?

“Certamente. Tornando indietro il Papa me lo sono trovato di fronte. Qualche secondo prima aveva baciato una bambina, Sara, diventata famosa. Mi stavo facendo il segno della croce, quando…”.

Quando?

“All’improvviso un signore alto mi ha coperto la figura del Papa. Alza le mani e… ‘Toh, proprio adesso deve scattare una foto’, penso con un po’ di rabbia. Ho avuto l’impressione che scattasse una foto, invece ho sentito distintamente sparare due colpi e ho visto uscire del fumo dalla pistola che impugnava con entrambe le mani, come un tiratore scelto. Erano circa le 17,24”.

Ha pensato subito a un attentato?

“Io non ero mai stata ad una udienza, quindi stavo per gridare ‘Viva il Papa!’. Credevo che fossero mortaretti, che facessero parte della coreografia dell’udienza! Sono bastati pochi secondi di stordimento. Ho sentito l’urlo della gente e mi e’ sparita di fronte la figura del Papa”.

Ma non quella di Ali Agca.

“Ho cominciato a piangere: avevo collegato gli spari con il gesto, con la persona. Lui si e’ voltato con la pistola in pugno. Si faceva strada perche’ io ero di fronte a lui, mentre la gente era tutta impegnata a guardare cosa era successo al Papa”.

Se lo trova davanti.

“ ‘Dove vai?’. Lui cammina facendo dei semicerchi per fuggire. Inciampa in uno dei sassi della piazza, i ‘sampietrini’, e cade supino. Non ho piu’ visto la pistola, ho visto lui per terra. Mi sono buttata su di lui, l’ho preso per la giacca, l’ho tirato in piedi”.

Dove ha trovata la forza?

“Non lo so. Nel frattempo e’ arrivata un po’ di gente. ‘Perche’ lo hai fatto? Perche’ lo hai fatto?’, gli ho chiesto due volte. E lui: ‘No io, no io’, con una lingua che non era italiana, perche’ noi italiani diciamo ‘Io? No! Io? No!’. ‘Ma come, ti ho visto sparare al Papa!!!’. L’ultima cosa che gli ho urlato e’ stata questa”.

Non c’era la polizia?

“Ho sentito delle voci. ‘Sorella, qui la polizia: lo lasci che’ ci pensiamo noi’. Le giuro che non ho visto un poliziotto! Soltanto che dopo, al processo, ho dovuto quasi chiedere scusa ai poliziotti realmente presenti, che io non avevo riconosciuto perche’ erano in borghese. Un commissario, Augusto Ceccarelli, mi ha detto: ‘Suora, non sa quanti calci lei mi ha dato quel giorno… Credo di avere ancora i lividi!’. Io non ricordo i calci, puo’ darsi. Nella colluttazione alcuni particolari svaniscono. Hanno preso quest’uomo e lo hanno portato via. I giornalisti hanno scritto che Ali Agca ha preso ombrellate sulla testa. C’era il sole, quel giorno…”.

E suor Natalina, la sua consorella, che fine aveva fatto?

“Era sparita. Ci siamo ritrovate in un angolo della piazza accompagnate da due persone che ci hanno portato a bere un po’ d’acqua. Ho fatto il possibile per non farmi riconoscere. E’ da quel momento che ho cominciato ad avere paura. Sulla metropolitana si interrompe la luce. Bloccano tutto perche’ cercano l’attentatore. Mi sono sentita persa: ‘Ma come, lo hanno lasciato scappare?’. Cercavano un complice”.

Lei ha molte somiglianze con suor Lucia, l’ultima veggente di Fatima. E’ bergamasca e, come ogni bergamasca, e’ cocciuta e testarda, ma anche coraggiosa e determinata. Qualche tempo dopo l’attentato ha incontrato Giovanni Paolo II. Il Papa si era ripreso, la sua vita era pero’ radicalmente cambiata. La sofferenza era diventata il suo Vangelo. L’ha riconosciuta?

“Si’, mi ha baciata e mi ha benedetta. Se ne e’ andato senza pronunciare una parola, scavando dentro di me un abisso di pieta’ e di tenerezza. Giovanni Paolo II amava stare con i giovani, con i bambini . Con loro diventava giovane e bambino. E’ guardandolo, in quella occasione, che mi sono resa conto che Giovanni Paolo II e’ stato, forse o senza forse, il quarto pastorello di Fatima!”.

Giuseppe De Carli