Marco Fattorini, Linkiesta 17/3/2014, 17 marzo 2014
DI MAIO E DI BATTISTA, UNA COPPIA PER PALAZZO CHIGI
«Di Battista ha delle qualità straordinarie, ha i tempi, ha tutto. Rivedo in lui quello che potevo essere con trent’anni di meno». Mentre Luigi Di Maio «è un Casaleggio senza capelli». Parole e musica sono di Beppe Grillo, che in un colpo solo ridipinge i due parlamentari a immagine e somiglianza dei cofondatori del Movimento 5 Stelle. Uno tiene il palco e ha un’efficacia comunicativa quasi pari all’ex comico, l’altro esibisce doti gestionali vicine a quelle del guru. Non è un mistero che i vertici abbiano una predilezione per gli enfant prodige sopracitati, già lodati in diverse occasioni pubbliche e private. Ma questa volta l’endorsement viene cucito su misura per i delfini di domani che incarnano i leader di oggi. All’orizzonte c’è infatti la staffetta elettorale: il ticket Grillo-Casaleggio ai posti di comando nella war room lontana dalla Capitale, il tandem Di Maio-Di Battista in corsa per la volata grillina a palazzo Chigi.
Sono la coppia del gol in casa Cinque Stelle. Unendo le forze Alessandro e Luigi contano trecentomila fan su Facebook e una sequela di reazioni bipartisan nel paese reale. Di Battista, laziale classe 1978, laurea al Dams e master in tutela dei diritti umani, si muove da capogruppo morale del Movimento, frontman della truppa e comunicatore per natura. A marzo sul suo sito ha avviato la rubrica «La legge del lunedì» in cui spiega le proposte di legge presentate dai pentastellati. Di Maio, annata avellinese 1986 e ancora oggi studente di Giurisprudenza a Napoli, è la voce grillina nelle istituzioni, vicepresidente della Camera «stimato e apprezzato» dal collega Roberto Giachetti del Pd. Presiede l’Aula e più volte gli è capitato di dover rimproverare se non addirittura sanzionare i colleghi movimentisti. Pacato e preparato, Grillo ha indicato lui quale esempio di comportamento anche perché, come spiega Di Battista, «a noi del Cinque Stelle non è concessa alcuna sbavatura, se parliamo normalmente nessuno ci ascolta, se invece alziamo leggermente la voce ci danno dei violenti».
Doppiopetto e apriscatole, Di Maio è considerato «un fuoriclasse» tra i suoi mentre a Pomigliano, dove ha fatto il liceo classico, lo descrivono come un «ragazzo pulito». Giovanissimo eppure disinvolto nel ruolo istituzionale, egualmente risoluto nella battaglia politica pentastellata. A vederlo pare che bazzichi il Parlamento da anni e invece sono passati appena dodici mesi durante i quali ha puntellato una leadership lucida, sorridente e autorevole. Quelli del gruppo comunicazione hanno capito subito la stoffa del ragazzo spedendolo in tv come uomo simbolo dei Cinque Stelle e jolly dei palinsesti. Così Di Maio ha varcato gli studi di Otto e Mezzo, Bersaglio Mobile e Servizio Pubblico su La7, ha affrontato il faccia a faccia di In mezz’ora con Lucia Annunziata e quello di Che tempo che fa con Fazio, si è collegato con Agorà e La Telefonata di Belpietro. Poi L’Arena di Giletti su Rai Uno, Virus di Nicola Porro su Rai Due e la paludatissima terza Camera di Porta a Porta, che il giovane campano ha visitato più volte con performance che hanno «piacevolmente stupito» un navigato padrone di casa come Bruno Vespa.
Di Battista ha resistito per mesi. «I talk mi invitano e il gruppo comunicazione mi consiglia di andare - dichiarava a Linkiesta - ma perché dovrei contribuire alla prosecuzione dell’agonia di un mezzo che crea distanza? Nessuno guarda Porta a Porta e poi ha voglia di scendere in piazza». Alla fine ha accettato gli inviti di La7 con un paio di apparizioni da Santoro e l’ormai famosa intervista alle Invasioni Barbariche. Buca lo schermo, confeziona risposte pungenti e slogan da applausi. In aula i suoi discorsi sono tra i più arrembanti, in piazza mostra il volto passionale. Non rinuncia al cordone ombelicale con gli attivisti: si commuove, s’indigna e s’infervora al punto giusto confrontandosi con tutti, al bar e per strada. Allo stesso tempo parla il linguaggio del «buon padre di famiglia», riscuote consensi trasversali grazie a un eloquio empatico che miscela onestà, buoni sentimenti, morale e legalità. Non a caso una signora della televisione come Maria De Filippi, intervistata da Tv Talk, ha detto che dopo Renzi un altro politico in grado di salire sul palco di Amici e parlare al pubblico giovane è proprio Di Battista.
Uno il cappotto elegante, l’altro la giacca in pelle. Gemelli diversi, ma complementari nella missione per conto di Beppe: se Luigi è la testa, Alessandro è il cuore della comunicazione stellata. E di “uccidere il padre” non ne vogliono sapere. «Se il Movimento è arrivato fino a qui lo dobbiamo a Beppe», ripetono. Entrambi sono tra i custodi dell’ortodossia pentastellata, dalle battaglie parlamentari alle questioni interne. Per le espulsioni dei dissidenti hanno rispolverato l’artiglieria pesante: «Serpi in seno e mercenari», ma anche «persone animate dalla logica del dolo e della malafede». Siedono nel ristretto conclave dei parlamentari che hanno un rapporto diretto con lo staff milanese e i fondatori del Movimento. La senatrice Serenella Fucksia ha parlato di «sei persone che decidono per tutto il Movimento», mentre un deputato a taccuini chiusi cita Orwell per «alcuni parlamentari che sono più uguali degli altri». Con buona pace dei dissensi la leadership dei due cresce sospinta dai colleghi pasdaran e trascinata dall’entusiasmo degli attivisti. Fuori dal Palazzo ci sono sempre, a costo di sacrificare i weekend. Presenti in prima fila negli eventi come l’Expo Tour a Milano dove sono saliti sul palco accolti da una standing ovation. Nella grande famiglia dei Cinque Stelle loro due sono «i fratelli» più amati.
Nei corridoi di Montecitorio corrono anche le invidie e i dissapori, qualcuno nel gruppo parlamentare mal sopporta «i due capetti» e altri «sgobbano in silenzio mentre loro si prendono i meriti davanti ai riflettori». Gli inciampi però si contano sulle dita di una mano, soprattutto per il compassato Di Maio che, dimostrando di aver interiorizzato alla velocità della luce l’incarico istituzionale, non alza la voce nè concede autogol. Ha fatto discutere lo scambio di bigliettini con Renzi frettolosamente messi in rete da uno zelante vicepresidente della Camera. Mentre Di Battista ha chiesto scusa dopo essere stato beccato da Gazebo mentre guardava una partita al computer durante le votazioni per l’Italicum cui ottemperava col famigerato metodo della palletta. «Era un video con alcuni gol del Foggia, io sono appassionato del Foggia di Zeman. Ho sbagliato e mi scuso soprattutto con gli attivisti».
Entrambi sono stati precettati per la campagna elettorale delle europee, partita d’opinione decisiva per minare le certezze del governo e prova generale per le politiche. Prima dell’Expo Tour, alla Casaleggio Associati è stato fatto il punto con i parlamentari fedelissimi. Grillo garantirà la sua «quota comizi» integrata dagli spettacolo a pagamento in partenza ad aprile. «Ma questa volta - fanno sapere dallo staff - è richiesto uno sforzo in più ai parlamentari, che andranno in giro nelle piazze a raccontare l’attività del Movimento a Palazzo e il programma per le europee». Il ragionamento non fa una piega: dopo mesi di gavetta i ragazzi di Camera e Senato hanno acquistato gli strumenti (e anche l’appeal mediatico) per muoversi nella ricerca del consenso. Molti di loro, compresi Di Maio e Di Battista, ogni weekend fanno agorà e incontri con gli attivisti da nord a sud, incrementando un filo diretto col territorio che colleghi “più esperti” appartenenti agli altri partiti non hanno mai avuto. I tempi sono maturi perché anche i cittadini-portavoce mettano la faccia in campagna elettorale e l’ex comico lo ribadisce con un’iperbole durante la manifestazione milanese: «Adesso le piazze sono piene e io sto a casa mia, e vaffanculo!».
Fedeli all’adagio secondo cui «l’attacco vende i biglietti ma la difesa vince le partite», i due bomber del Movimento guidano mediaticamente il fronte dei portavoce: Alessandro spara col cannone mentre Luigi difende col fioretto. La partita è lunga, potrebbe spingersi fino al 2018 per poi tentare la sortita a palazzo Chigi con governo monocolore e bandiera a cinque stelle. «Ma è il gruppo che vince e non i singoli, così come non trionfa un pezzo di cittadinanza ma tutti i cittadini», questa l’esegesi di Roberto Fico, presidente della Commissione di Vigilanza Rai. La guerra è collettiva e si marcia tutti insieme, ma al momento di una candidatura per la premiership ne resterà soltanto uno. Agli attivisti l’ardua sentenza.