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 2014  marzo 18 Martedì calendario

QUEI 1.500 BIMBI ORFANI DUE VOLTE LA MADRE UCCISA E IL PADRE IN CELLA


Non hanno sbagliato, i colleghi di Eraldo Marchetti, a fare subito una colletta per garantire l’aiuto psicologico ai suoi figli, i due gemelli di nove anni che l’altro ieri a Segni hanno dovuto vedere la loro madre agonizzante, con la testa fracassata da un martello. Non hanno sbagliato perché quei bambini, domenica, sono rimasti orfani due volte: della madre, uccisa dal marito, e del papà, che per un po’, almeno, non farà più parte della loro vita. Ed è proprio il modo in cui saranno seguiti da adesso in avanti a fare la differenza nella loro crescita, nell’elaborazione di un lutto impronunciabile, provocato dall’uomo che, insieme con la mamma, rappresentava tutte le certezze dei piccoli.
Sono millecinquecento i minorenni rimasti soli dopo un femminicidio, dal 2000 al 2013. A stimarli per l’Italia è stato il Dipartimento di psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli, all’interno del progetto europeo «www.switch-off.eu» (Who, where, what. Supporting children orphans from feminicide in Europe). Una task force microscopica — soltanto otto persone, compresa la coordinatrice Anna Costanza Baldry — eppure preziosissima, che si appoggia all’Associazione nazionale donne in Rete, Dire, con 65 centri antiviolenza in tutto il Paese.
Potremmo dedurre che la maggior parte di questi ragazzini sono al Nord, ma sarebbe una semplificazione: è vero che il 50 per cento delle donne uccise nei tredici anni presi in esame vivevano tra la Lombardia, il Veneto, il Piemonte; ma, sempre stando alle statistiche, al Nord erano più giovani, dunque forse non tutte avevano figli. C’è poi da aggiungere che spesso i giovanissimi vengono affidati a parenti o a comunità in altre regioni: non è semplice fare una mappatura esatta.
Lo spiega la dottoressa Baldry: «Il nostro punto di partenza sono i nomi delle vittime e non è detto che i cognomi dei figli siano gli stessi. Allora contattiamo gli avvocati, ci rivolgiamo all’anagrafe, ai nonni, ai parenti, alle parrocchie, a chiunque sia direttamente o indirettamente coinvolto con la vita di quei ragazzi».
Le istituzioni molte volte non sono di aiuto. «Fanno resistenze secondo me ingiustificate. Noi comunque non piombiamo all’improvviso nella vita delle vittime. Se chiediamo un colloquio con un maggiorenne è per capire come ha vissuto la fase successiva al lutto, se è stato aiutato e da chi, cosa lo avrebbe potuto far stare meglio. I bambini non li incontriamo: per loro ci bastano i racconti degli affidatari. E per i più grandi, ancora minorenni, c’è sempre bisogno del permesso da parte dell’affidatario».
Questi figli sono orfani due volte, della loro mamma, ma anche del padre che quella madre l’ha uccisa e che dopo, una volta su tre si suicida, negli altri casi va in carcere. «Non vorrei sembrare troppo dura, ma viene da pensare che questi ragazzi siano orfani tre volte, perché pure lo Stato li ha abbandonati nel momento in cui ha ignorato le denunce di violenza presentate dalle vittime» prosegue Baldry.
Ai ragazzi, poi, pensano i parenti o le comunità. Anche qui, l’esperienza dimostra che non esiste una soluzione buona per tutti. C’è l’adolescente affidata ai nonni anziani che non capiscono il suo bisogno di uscire e frequentare coetanei; c’è quello che va a vivere con i parenti del padre, omicida e suicida, per non chiudere completamente i ponti con quel ramo della famiglia, ma l’altro ramo non capisce. E Baldry non nasconde che «c’è bisogno di una grandissima consapevolezza, in queste situazioni, e di risorse: chi è più benestante può rivolgersi agli specialisti migliori per far seguire un orfano. Ma chi non lo è come può essere aiutato?».
I colloqui di questi anni stanno portando ad acquisire informazioni importanti per il «dopo». È utile o no far partecipare un bambino al funerale del genitore? Bisogna portarlo in carcere a visitare il padre? Ogni caso va affrontato singolarmente, però gli esperti ammettono che sia necessario rendere i figli partecipi del dramma familiare facendogli salutare la madre per l’ultima volta alle esequie. Quanto alla visita in prigione, non può avvenire senza una adeguata preparazione psicologica.
In Portogallo il corrispettivo dell’associazione Dire sta lavorando con l’Ordine dei giornalisti per fissare un mini prontuario da adottare sul campo, durante un servizio di cronaca: le informazioni raccolte dal reporter saranno di aiuto a inquadrare l’omicidio nelle giuste categorie.
«Abbiamo bisogno della collaborazione di tutti» conclude Anna Costanza Baldry. «Chiediamo a chi può aiutarci di farlo, sul sito www.switch-off.eu o mandando un’email a info@switch-off.eu. Finita l’emergenza, non dobbiamo dimenticarci di questi orfani».
Elvira Serra

@elvira_serra