Anna Bandettini, D Repubblica 15/3/2014, 15 marzo 2014
E’ IN SCENA IL MAGISTRATO
Quando c’è spettacolo, lei è sempre lì, sulla porta del piccolo teatro di via Orcagna, zona Città Studi a Milano. Accoglie e saluta gli spettatori uno a uno e in tanti - si dice - ci vanno proprio per stringerle la mano. Molti sono colleghi: magistrati, giudici, avvocati... «All’inizio forse venivano per farmi un piacere, ma poi sono tornati, segno che il teatro ha toccato anche loro».
Livia Pomodoro, 73 anni gagliardi, parla dal suo tavolo da lavoro di Presidente del Tribunale di Milano, in un imponente, solenne ufficio dove con premura, un segretario le snocciola gli impegni della giornata. Piccola e imperiosa dietro l’enorme scrivania, di eleganza forte a partire dagli occhiali coloratissimi, una tra le donne più potenti d’Italia, che Renzi avrebbe voluto nel suo governo al dicastero della Giustizia (ma Forza Italia ha opposto un veto), al 30° posto tra quelle che contano nel mondo dietro a Marina Berlusconi, la prima a guidare un grande ufficio giudiziario italiano, ogni giorno tra le 6 e le 7 di pomeriggio smette la toga e diventa “direttore di teatro”, al No’hma, lo spazio che vent’anni fa sua sorella gemella Teresa, artista sognatrice, aveva ricavato da una ex-palazzina dell’acqua potabile. Quando nel 2008 Teresa muore, Livia, affranta dal dolore e appena nominata alla guida del Tribunale di Milano, decide che quel teatro deve comunque andare avanti. E impara un altro mestiere: da allora decide spettacoli, invita artisti, organizza incontri, concerti. «Io scherzo e dico che dopo sei anni di questa esperienza potrei dirigere il Metropolitan di New York».
Chiaro che un filo lega questa doppia vita, straordinaria. Da una parte il magistrato, la cui importante carriera sta a malapena in otto pagine di curriculum, da giudice di Cassazione a membro della commissione nazionale italiana per l’Unesco, da docente all’Università Cattolica a componente del Comitato di bioetica, vice capo di Gabinetto (ai tempi di Rognoni) e poi capo di gabinetto al ministero di Grazia e Giustizia, presidente del Tribunale dei minori di Milano dal ’93 al 2007, esperta di diritto familiare e dei minori, oggi alla guida del tribunale più caldo d’Italia («Non mi faccia parlare di processi Berlusconi e relative polemiche», mette le mani avanti. «Pretendo che a questo tribunale vada riconosciuta la bontà della decisione quale che sia l’imputato o la questione che si va a esaminare»). Dall’altra, l’organizzatrice culturale che telefona ad Arbore o a Bennato per un concerto, discute con Salvatore Veca sul tema di un incontro, lavora gomito a gomito col regista Charlie Owens. «La mia giornata comincia alle 7, quando mi svegliano i cani, le mie bambine come le chiamo io: Fio- re e Pesco, due bracchi borbonesi dei Pirenei che aveva preso Teresa 20 giorni prima di mancare. Poi via, verso il tribunale, l’università o qualche commissione. Ho sempre i minuti contati. Ma potermi rifugiare nel teatro dopo una giornata di lavoro è salutare, è come aprire un pertugio nella sensibilità frastornata. Io pensavo che il lavoro a teatro fosse parallelo, duale rispetto all’esperienza giudiziaria di organizzatrice di grandi strutture come questa, e invece mi ha aiutata. Giudicare è faticoso, il teatro, e soprattuto quel genere di teatro che facciamo noi, che è esplorazione dell’animo, è una porta per capire gli individui e le persone».
Magistrato anomalo, anche in questo. Non inaridita sul codice. «Sì, ci sono magistrati più bravi di me, ma io ci ho messo questo sentimento di apertura per l’individuo. Per esempio ricevo valanghe di lettere di cittadini e rispondo a tutti. Se una persona che ha problemi deposita sul mio tavolo il suo sacchetto di sofferenze, lo prendo volentieri. I provvedimenti sono carte. Un buon giudice guarda all’uomo. A pensarci, non so perché non ho fatto il prete».
L’esperienza, la disciplina, l’intelligenza e la salute le hanno fatto attraversare a passo spedito anche prove dure. «Essere capo di gabinetto alla Giustizia al tempo di due stragi, quelle di Falcone e Borsellino, è stata una esperienza tremenda, nel ricordo dei miei colleghi e delle loro scorte, innanzitutto. In quel momento mi sono sentita inadeguata. Confesso che ho anche avuto paura, ero controllata a vista, avevo ricevuto minacce. Ma è in quei momenti che ti viene fuori l’orgoglio dell’appartenenza e il desiderio di fare qualcosa per il tuo paese che vada nel senso della dignità e del rispetto delle persone. A casa mi chiamavano Cocca. Vallo a dire in giro che “Cocca” stava per coccodrillo: dicevano che ero sonnacchiosa ma all’occorrenza pronta a scattare. Effettivamente sono proprio così».
A Milano senza clamori ha rivoluzionato il tribunale: riorganizzato gli uffici per ridurre la durata media dei processi, razionalizzato e riqualificato la logistica delle aule, avviato la revisione dell’organizzazione interna. «Il mio limite è che quando metto in moto qualcosa, poi ho bisogno di fare esperienze nuove. Tra un anno si concluderà la mia presidenza del tribunale. Penso di poter fare ancora delle cose per questo paese».
Oltre che per il ministero della Giustizia, il suo nome è entrato nella rosa dei candidati alla Presidenza della Repubblica. «Mi fa piacere. Anche che si sia fatto il nome di una donna. Quando entrai in magistratura eravamo una decina, tutte oggetto di curiosità, i capi ancora convinti che le donne non avessero la capacità di giudicare. Oggi le donne in magistratura in Italia sono il 60 per cento. Sì, personalmente ho dovuto vincere parecchie diffidenze per fare carriera. E qualcosa ho pagato. Nell’amore, per esempio: sono stata incostante, ho avuto un marito con cui poi è finita. Ma io mi sento come il Candido di Voltaire: non stupidamente ottimista ma una persona che ha speranza anche nelle situazioni più brutte. Aver continuato il lavoro di mia sorella in teatro è una speranza di farla vivere ancora».
Il teatro le fa immaginare un mondo diverso. E c’è poi da considerare che in famiglia sono sempre stati metà magistrati, notai, generali e metà artisti. «Gli scultori Giò e Arnaldo Pomodoro sono miei cugini. Teresa fin da bambina disegnava sui muri della nostra stanza. Io la “coprivo” coi genitori, costretti periodicamente a ridipingere le pareti di casa. Il No’hma per me è una narrazione di ciò che è il mondo, di ciò che siamo noi». In autunno c’è stato il Premio Teatro Nudo Teresa Pomodoro vinto dai palestinesi dello Yes Theatre, e lo spettacolo di Piero Colaprico con Massimo Popolizio dedicato a Milano. «Quest’anno abbiamo titolato la stagione a Lucy, il primo essere umano sulla terra, e gli spettacoli saranno dedicati alla natura e al progresso. Al No’hma viene chi ama la cultura o chi ne vede gli effetti positivi sull’umanità. Se io accolgo gli spettatori uno a uno è perché il pubblico è protagonista e deve sentire che qui è come a casa sua». L’hanno capito anche i suoi colleghi del Tribunale. «Erano scettici, mi guardavano con disagio, adesso per loro sono un presidente teatrante. Ma non sanno che dentro di me mi sento una teatrante presidente».