Raffaela Caretta, Io Donna 15/3/2014, 15 marzo 2014
MASSIMO RECALCATI “AGLI UOMINI DICO: IMPARATE A PERDONARE”
Si entra nell’antro di Massimo Recalcati, in quel centro di Milano dove la città diventa improvvisamente incantevole, con speranza e preoccupazione. Speranza, perché di fronte a uno psicoanalista c’è sempre l’attesa che ci aiuti a capire qualcosa di noi, un frammento nascosto tra le virgole, una scheggia che dorme nei sotterranei delle parole. Preoccupazione per via del tema: non l’amore, ma l’amore durevole che sconfigge la possibilità sempre presente della sua fine. Non è più come prima si chiama il suo nuovo saggio, sottotitolo: Elogio del perdono nella vita amorosa (Raffaello Cortina editore,160 pag., 13euro).Tema che acciuffa con mano di ferro l’attenzione ma impone inevitabilmente qualche pericoloso autoesame in chi ascolta.
Recalcati si richiama a Jacques Lacan, il maestro francese che rileggendo Freud ha rivoluzionato il modo di pensare e fare psicoanalisi. È professore all’università di Pavia e ha fondato la onlus “Jonas” che si propone di operare nelleperiferie, a costi più contenuti. Uno dei suoi ultimi libri Il complesso di Telemaco, indagine sullo struggente tramonto dei padri d’oggi, è stato molto letto e commentato. Rimane da capire perché quest’uomo che ha la faccia più giovane dei suoi 54anni si sia messo in marcia verso un tema così inattuale come l’amore eterno, mentre tutto corre velocemente sulla strada opposta. «Proprio per questo. È un fatto: il tempo delle relazioni si è accorciato, alla prima difficoltà le coppie si disfano. E c’è una ridicolizzazione neanche tanto strisciante dell’idea stessa del per sempre, fondata su un’ideologia imbattibile: l’intensità del desiderio è inversamente proporzionale alla durata dei rapporti. Quanto più un rapporto dura, tanto più il desiderio appassisce. Perciò se non ci si vuole rassegnare al grigiore, alla tristezza, è necessario cambiare continuamente». Non è così?
Diventa così perché questa certezza è dilagata dal cuore stesso del capitalismo e ha avviluppato i sentimenti,dandogli una forma libertina: la vera felicità è in ciò che non si ha, più che nella cura di quanto abbiamo. Ma continuare a cambiare, alla fine, mostra la stessa faccia insoddisfatta. Mentre il nuovo diventa produttivo, genera qualcosa, se riusciamo a vederlo nello stesso corpo, negli stessi difetti, nello stesso viso, che non ci stanchiamo mai di guardare, quello della persona amata. Diventa una possibilità meravigliosa quando il “nuovo” è lo “stesso”. È il miracolo dell’amore.
Si parla molto di femminilizzazione del maschio, eppure la rincorsa generale a conquistare altri territori sembra una mascolinizzazione delle femmine.
La femminilizzazione è un’altra delle menzogne che ci raccontiamo. Il fantasma maschile è profondamente legato all’idea del consumo, per doparsi e mantenere una vita eccitata. C’è dipendenza dal ricambio continuo, un po’come nella tossicomania.Vedo pazienti maschi e, appunto, ormai molte donne, che dai 15 ai 50 anni non sono stati soli: mai una pausa, una discontinuità tra una relazione e l’altra. Il nostro è il tempo del lutto facile. Dove chiedersi il perché di un amore finito, capire le proprie responsabilità, lavorare sulla perdita, è tempo perso.
Mentre l’amore è…?
Salto nel vuoto, esposizione assoluta al desiderio dell’altro, senza calcoli e con molti rischi, perché non c’è garanzia che duri: e tuttavia, il desiderio che sia per sempre è già un’intenzione, un patto capace di orientare la relazione.
Non bisogna proteggersi dalla possibilità che una storia finisca, che un altro ci abbandoni?
È un delirio di oggi l’autonomia, l’indipendenza, il non gettarsi alla cieca in una relazione. La discussione prematrimoniale sulla divisione dei beni è diventata prassi, come la scelta della convivenza. A essere rifiutata non è tanto l’istituzione, e parlo del matrimonio civile, ma ciò che simboleggia: l’intenzione di essere insieme per sempre, a prescindere che vada così. Per questo, nel libro non m’interrogo sulla vita ordinaria delle coppie, ma sul tradimento in quelle che hanno sperimentato un grande amore, un’esistenza comune, un erotismo diffuso.
Ne vede tanti in giro di esempi così?
No, ma esistono. Io sono sposato da 15anni, ho avuto la possibilità di tradire mia moglie e non l’ho mai fatto. È così intenso il legame con lei che non lascia spazio a nient’altro, perché amore e godimento sessuale sono uniti. Se l’erotismo viene meno, diceva Freud, si è fedeli nel cuore, ma spinti a tradire, perché il godimento non sta più nel cuore. Però, si può tenere tutto insieme. Certo, è un lavoro, ma può accadere, accade. Non mi sembra di essere un cigno nero…
I cigni bianchi che popolano il paesaggio si lamentano spesso di non trovare la persona giusta.
I miei pazienti che rimpiangono di non trovare l’amore in realtà ne hanno paura: temono di perdere la loro fortezza vuota. Farsi da sé, in amore, è un fantasma bugiardo. L’uomo dipende dell’altro, sin da quando venendo al mondo emette un grido perché qualcuno lo traduca in richiesta d’aiuto e gli stia vicino. Anche se rimane altro, uno che ha spigoli e durezze sconosciute, irrimediabilmente diverso da noi, inconoscibile. Eteros, appunto. Questa insufficienza della vita è il fondamento dell’amore.
È un’affermazione evangelica: la psicoanalisi non ha mai frequentato molto il cristianesimo.
È vero. E tutta via, io credo che il cristianesimo non sia una religione, ma un modo di ripensare radicalmente l’uomo dicendo: senza amore la vita non ha senso. Nel Vangelo la scena dell’adultera è un passaggio chiave sul perdono. Gesù sta chino, vicino alla terra, si raccoglie in sé. Non assolve perché non giudica, fa un gesto interiore, si guarda dentro.
Chi è senza peccato scagli la prima pie-tra non significa solo chiedersi se c’è un rapporto tra il tradimento subito e come mi sono comportato io. È soprattutto riconoscimento dell’eteros, veramente altro, e perciò meritevole di una seconda chance. Se tradire non diventa un’abitudine, un modo di essere…
Ci vuole una grande forza, non tutti possono averla.
Certo, è dolorosissimo. Ho seguito coppie in cui i traditi non avevano niente da rimproverarsi. Eppure il perdono non può venire da chi ha tradito, non è il suo comportamento che può aprire l’altro alla gioia misteriosa della riconciliazione. Come diceva il filosofo Jacques Derrida, il perdono sfida l’imperdonabile, il limite che non riusciamo a sopportare. Richiede molto tempo, molto lavoro su di sé. E può essere impossibile, perché tutto si è rotto.
Come se la cavano uomini e donne?
Le donne hanno un contatto più intenso con la vita psichica: possono frequentare l’insopportabile, anche se non è meno doloroso. Nel maschio quel confine è contro natura: segna una beffa, una decadenza immediata della sua potenza, della divisa fallica che indossa. La rappresentazione sociale del cornuto, più viva di quanto si pensi, ne è la prova. E quando l’uomo cade, spesso è una caduta verticale. L’alfabeto dei sentimenti compone una lingua femminile, per un maschio assolutamente straniera e fonte di angoscia nella sua indecifrabilità. E questo spiega la violenza alla quale spesso si abbandona dopo la fine traumatica di una storia. La violenza è il contrario del perdono fondato sulla parola:che lui non sa, o non può pronunciare.