Marco D’Eramo, Pagina99 WE 15/3/2014, 15 marzo 2014
BOY SCOUT, SE BADEN-POWELL ERA OMOSESSUALE
La Walt Disney smetterà di finanziare i Boy Scout degli Stati Uniti se l’organizzazione fondata dal generale Robert Baden-Powell nel 1907 non cesserà di proibire ai suoi membri adulti di esternare la propria omosessualità (notizia della Cnn, 2 marzo 2014). In realtà la faccenda è più complicata e non è di poco conto: da un lato, seppur in drastico declino, i Boy Scout d’America (BSA) contano ancora 2,7 miloni di affiliati (da un picco di 6,5 milioni nel 1972); dall’altro lato, la Disney è tutt’ora il più influente “apparato ideologico” (per usare il concetto di Louis Althusser) che plasma l’infanzia statunitense. Fino al maggio 2013 era totale la preclusione dei Boy Scout verso l’omosessualità: solo allora infatti, il Consiglio nazionale dei BSA decise di consentire, a partire dal primo gennaio 2014, Boy Scout e guide omosessuali, pur mantenendo il divieto per gli adulti. Fu una decisione sofferta, imposta dal precetto costituzionale Usa che vieta “ogni discriminazione di razza, genere e orientamento sessuale”. Sofferta perché contraddiceva un atteggiamento secolare dei Boy Scout, ribadito da un solenne proclama del 1991: “Crediamo che la condotta omosessuale non è coerente con quanto richiesto dal giuramento scout...”.
Molta acqua e molti scandali erano dovuti passare sotto i ponti prima che il Consiglio nazionale si decidesse a fare marcia indietro. Il più famoso di questi scandali culminò nel processo in cui l’ex scout Kerry Lewis si costituì parte civile per molestie subite negli anni Ottanta da uno scoutmaster, Timur Dykes (che aveva ammesso con i suoi superiori di aver abusato di 17 ragazzini, ma a cui era stato consentito di rimanere nei BSA e abusare di altri ragazzi): nell’aprile 2010 una giuria dell’Oregon gli riconobbe ben l8,3 milioni di dollari di danni punitivi (The Guardian, 29 aprile 2010). Ma ancora più devastante per i Boy Scout fu la decisione del giudice di permettere la visione di 1.200 dossier in cui erano tracciati i profili dei pedofili tra i ranghi degli scoutmasters: alcuni erano stati rimossi, altri mantenuti nei ranghi, ma tutti protetti dalla polizia. Due anni dopo, i file messi in rete fornirono un ritratto di molestatori di tutte le condizioni, da diciottenni a nonni, single e sposati con figli, studenti universitari, lattai, psichiatri, postini, proprietari di lavanderie, impiegati delle tasse. Campeggi ed escursioni fornivano occasioni ottimali (The Oregon, 18 ottobre 2012). Fu il più grande scandalo di pedofilia dopo quello che aveva colpito la Chiesa cattolica romana.
I vertici dei BSA si trovavano così tra il martello e l’incudine: da un lato far fronte allo scandalo di pedofilia e alle incombenti sanzioni finanziarie; dall’altro ottemperare al dettato costituzionale e alle pressioni politiche ormai bipartisan: nell’ultima campagna presidenziale del 2012 ambedue i candidati, il presidente uscente Barack Obama e lo sfidante repubblicano Mitt Romney, si erano dichiarati contrariai divieto di scout gay.
Ma la soluzione trovata – consentire l’omosessualità tra gli scout e le guide, e vietarla tra gli adulti – ha scontentato tutti. Sono visibili sulla Cnn i filmati di pastori della Georgia e dell’Alabama che dopo l’ammissione dei gay dichiarano non graditi i Boy Scout, mentre si vedono scoutmasters che sfilano nello Utah per chiedere il diritto di manifestare la propria omosessualità. E poi c’è la decisione della Disney.
Ma la questione è delicata anche a un livello più profondo. Perché mette in luce due fenomeni. Da un lato la rivoluzione di mentalità nella cultura anglosassone. La Disney è sempre stata la guardiana dell’ortodossia, la ‘‘narratrice” ufficiale dell’American way of life, anche nei suoi aspetti più conformisti: basti pensare al suo ruolo nella caccia alle streghe comuniste durante il maccartismo. C’è da chiedersi quanto abbia girato il vento se lo stesso zelo ortodosso si esercita oggi in ambito omosessuale.
L’altro aspetto da considerare è che negli ultimi trent’anni la pressione per riconoscere i diritti dei gay è andata di pari passo con una furibonda campagna antipedofilia fino al punto che sono state condannate per pedofilia persone che hanno avuto storie con giovani di 17 anni è 11 mesi. C’è da chiedersi se esiste un legame fra le due tendenze, e se l’allargamento di ciò che è convenzionalmente lecito in un ambito della vita sessuale non sia compensato da un restringimento in un altro ambito. O meglio, se il regime di tolleranza sottobanco sia dell’omosessualità, sia della pedofilia, che aveva caratterizzato le società tradizionali, non sia stato sostituito da un regime di rigida giuridicità che garantisce i “diritti” ma preclude la flessibilità e il flou: è illusorio pensare di poter rinchiudere tutta la corporeità e la sessualità nell’ambito del codice penale. Da qui nuove forme di repressione e inibizioni: sarebbe possibile oggi scrivere un romanzo come Lolita o farme un film? C’è da dubitarne.
Cacciata dalla porta, la repressione vittoriana rientra dalla finestra. Ne sapeva qualcosa il fondatore dei Boy Scout: secondo il suo più meticoloso biografo, Tim Jeal» l’evidenza disponibile punta inesorabilmente alla conclusione che Baden-Powell era un omosessuale represso” (Baden-Powell, Hutchinson, London 1989, p. 103), un uomo che si dilettava nel guardare le foto di adolescenti nudi, amava recitare nelle recite militari vestito da donna, che coltivava solo amicizie maschili e che si sposò solo a 55 anni (con una giovane cui fece appiattire il seno e tagliarsi i capelli alla paggetto) denunciando subito insopportabili emicranie che gli passarono per miracolo quando disertò il talamo coniugale (“Boys will be Boys” di Ian Buruma nella New York Review of Books, 15 marzo 1990).
Rimane un solo mistero ormai irrisolvibile: che ne avrebbero detto le giovani marmotte?
(E magari non dimentichiamo che nel mondo 78 paesi prevedono ancora il reato di omosessualità e che in sette c’è la pena di morte per rapporti omosessuali consensuali).